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DIALOGHISOPRA L'OTTICA NEUTONIANA

                                           FRANCESCO ALGAROTTI

 

DIALOGO PRIMO

 

Introduzionebreve storia della fisicaed esposizione della ipotesi del Cartesio sopra lanatura della lucee de' colori.

 

Sopra la costiera di una piacevole montagnettache tra Bardolino eGarda sorge alle sponde del Benacoè posto Mirabelloluogo di delizia dellamarchesa di F*** dove è solita dimorare ogni anno buona parte della estate.Dall'un fianco guarda il bel pianoche irrigato è dal Mincio; dall'altro leAlpi altissime e i colli di Salò lieti di fresca e odorosa verdura; e sotto hail lagoin cui si specchiasparso qua e là di navigli e di care isolette.Quivi io mi ritrovava la state passata a villeggiar con la Marchesail cuiaspetto ben risponde a tale amenità di luogo; e quivi mi convenne ragionar conlei di filosofia. Mi ridusse a questo l'acutezza del suo ingegno non meno chedella sua curiositàla qualesecondo che porta il discorsosi risveglia a unmottoe non si sbrama così di leggieri. Più vaga di sapere che volonterosa diparlarenon meno ella sa fare di belle domande che ne voglia udire la risposta:e tali per altro sono le maniereond'ella suole accompagnare e condire ogni suavogliache quanto piace a leitanto solamente può piacere ad altrui.

Quando noi rimanevamo liberi dalle visite e dal giuocotrattenimentopur necessario dove molti convengano insiemeparte della giornata da noi sitrapassava in una fresca salettaintrattenendoci assai sovente con la letturadi varie cose. Ma il più era di poesia; parendo che appunto alla poesia neinvitasse particolarmente la campagnadov'ella già ebbe la origin suae dovemeglio che in altro luogo si compiace di abitare. Secondo la disposizioned'animo che in noi eraveniva prescelto ora uno ed ora un altro de' nostripoeti. Ed anche talora venivano in campo i poeti di quella nazioneda cui ci sono fornite tante gentilezze per lo spirito e per la persona.Parte si leggevaparte si ragionavadicendo noi liberamente quello che diciascuno ci paresse. Né mai ci pareva più armonioso un verso perché anticonémeno gentile un pensamento perché forestiero.

Un giorno che cadde il discorso sulla poesia ingleseio uscii a direalcuna cosa del robusto pensare del Miltonodel Drydene singolarmente del Popein cui vede la Inghilterra il suoOrazioe il cui stile è di tanto ingagliardito dalla filosofia. Di più non civolleperché si accendesse la Marchesa nel desiderio di assaggiarne alcunacosa; tanto più che assai facilmente si persuadeva che quella nazionela qualeavea così amica Minervanon avesse ad aver per nemiche le Muse. Ioche nullaaltro cercava che fare in ogni cosa la voglia suamandai tosto per un volumedelle opere del Popeche recato avea meco alla campagna: né attesolo granfattopotei introdurre alla presenza della più graziosa donna d'Italia le Museinglesi. Scorsi i titoli delle poesieche in quel volume erano contenute:piacque alla Marchesa di udire in primo luogo un'oda in lode della musicacomposta dal Pope per solennizzare quel giornoche così in Inghilterracome in Italia è sacro a' filarmonici: e sì io mi feci a recarla nel volgarnostro il meglio che per me si potea. Ella l'ascoltava con quell'attenzionechesi accompagna solamente col diletto. Ma ruppe il silenzio appena che io ebbifinito di leggere quel luogo: "mentre con note tarde e allungate spiral'organo profondomaestoso e solenne". - O quanto vivamente - diss'ella  - è espresso e caratterizzato quello istrumento! Io l'ho udito veramentesuonaree parmi averlo tuttavia negli orecchi. Non so se voi l'abbiate uditoaltresì; ma quasi che il creda da un certo atto che in leggendo fatto aveteeforse senza accorgervene. - Madama- io risposi - voi v'intendete così bene dimeche di me giudicandonon è pericolo voi prendiate inganno. E certo quel"profondo"quel "solenne"e gli altri aggiunti usati dalPope sono altrettanti colorio piuttosto sono quegli ultimi tocchi che avvivanola poesiae rendono veramente sensibili e presenti le cose. La mano biancalafronte serenagli occhi soavie tali altri che s'odono tutto il dì qui danoiappena che sieno in paragone uno abbozzo di quello che vorrebbe colorire ilpoeta. E che vorremmo noi dire - ripigliò tosto la Marchesa - di un settempliceaggiunto alla luceche mi è occorsonon è moltodi leggere in unacanzone fatta in lode della filosofessa di Bologna?- Vorreste voi dire - ripres'io con vivezza - di que'versi

 

Odell'aurata

lucesettemplice

ivarioardentie misti almi color?

 

- Appunto - rispos'ella. - E se per voi e' sia abbozzo o ultimo tocconon so; so bene che oscuro geroglifico riuscì a mee a non so chi altriancoraa cui ne chiesi la spiegazione. - Ed io mezzo sorridendo: - Oh grande piùche non pensateMadamaè la virtù di quel settemplice. Non può giàsentirla chi non è iniziato ne' misteri della poesia filosofica. - Che sìchequei versi son vostri? - disse la Marchesa. - Così bene gli sapete a memoriaecon tal calore voi gli avete presi a sostenere. Orsùfate ch'io vegga anch'ioil quadro filosofico su quella tela poetica; che io altro non ci veggo che delconfuso. - Ché non seguitiamo piuttosto - io risposi - ad ascoltar la musicadel Pope? Quale altra cosa potrebbe ora darvi maggior diletto? - Il vostroquadro- ella rispose - se dato mi sarà di vederlo. - Madama- ripigliai io -voi sapete come finalmente le fantasie de' chiosatoriche veggono tali e tantecose per entro al testo de' loro autorisogliano far ridere le persone. E perchévolete voi che io mi ponga a tal rischiodivenendo il chiosatore di me medesimoio? - A buon conto- diss'ella - ne' vostri versi voi non ci dovreste vedere népiù né meno di quello che ci è. E non vorrete poi aver lodato una donna permodo da non essere inteso forse da niun'altra donna. - E così non potendomeneschermireincominciai a toccare alcuna cosa dell'otticaa cui fanno allusionequei versi: e le andava dicendo come la lucesecondo t'opinione del Neutonooper meglio diresecondo la veritànon è altrimenti semplicee puraqualeapparisce agli occhi volgari: ciascun raggio di sole essere un fascettoocomposto di raggi rossidoré gialliverdiazzurriindachi e violati:e da questi sette colori mescolati insieme . . . - Piano a' mai passi-senza lasciarmi dire più avantiripigliò qui la Marchesa - andiamo adagio.Troppo presto voi uscir ne vorrestesenza badarese altri vi possa tenerdietro sìo no. Dichiaratemi un po' più diffusamente tutte queste cose; e nonvogliate che la vostra chiosa abbia più bisogno di chiosa essache non ne aveaforse il testo medesimo. - Oh voi - diss'io allora - non sarete contentachenon vi abbiate un libro su quel settemplice. - Perché no? - ella rispose. -Tanto piùche l'avervi io udito metter del pari la opinione del Neutono con laveritàdee aver fatto non leggieri impressione nell'animo mio. Io ben so chequesto Neutono empie ora il mondo del suo nome; ma sarebbe pur bello saper laragioneperché e' sia salito in così gran fama. E chi potesse veder la lucenon cogli occhi del volgoma cogli occhi di lui? In somma voi avete - soggiunsemezzo sorridendo - destato in me un gran desideriose a troppo non presumessidi divenir neutoniana. - Madama- io risposi - ecco il modo di metter presto ilneutonismo alla moda; e tutti i suoi seguaci avrebbono in molto buon gradocotesto vostro desideriose il risapessero. Ma in verità non so poiquantobuon grado fosse per avervi il Pope- mostrandole il libro che io tenevatuttavia in mano - che più non vi volete leggere avantiper una voglia in cuisiete entratanon so perchédi filosofia. - Ed ella: - Un poeta inglese pienoper appunto di filosofiaquale voi rappresentato mi avete cotesto Popedovrebbe darmi egli stesso la mano a scendere il Parnaso per salire alla verità.- Indarno tentai di mettere in campo l'altezza della materia e la propria miainsufficienza. - Solite formole - ella m'interruppe - che a me non si doveanoper conto niuno far buone. - Né tampoco mi valse domandar tempo insino allaseradicendole come le sere appunto da più anni in qua erano consecrate allematerie scientifiche; che così fatto aveatrovandosi ne' medesimi termini cheioil più gentil filosofo di Francia; e che oramai correva la moda di ragionarcon le dame di filosofia la nottee ne' più segreti boschetti. - Moda peraltro- incontanente ella rispose - che tanto meno fa per noiquanto che diluce è da parlarne il giornoanzi che la notte. - Onde senza più convenne darprincipio. Ma comeo donde? che la Marchesa era bensì di varie cognizionifornitama di filosofia non avea tintura veruna: e della filosofia era purbisogno darle una qualche contezzaprima di venire all'otticae agli ultimiritrovamenti del Neutono. Si aggiugneva a questo il doverle dichiarar l'otticasenza aver alla mano quei vetri ond'essaquasi direiprocede armatae senza i quali male si può venire a capo diquella scienza. E sopra tutto avendole io a parlar di fisica senza l'aiuto dellageometriami pareva quasi che impossibile tor via le spine e non disfogliar larosa. Finalmente dopo averle un'altra voltama indarnoricordato la musica delPopeed anche tale altro men serioso e più caro trattenimentoio cominciai inquesto modo.

- Non pare a voiMadamache l'uomocurioso com'egli è anche in ciòche meno gli si appartieneabbia dovuto in ogni tempo considerare gli oggettiche gli stanno dattornoquelli ancora che lungi sono collocati da luile cosetutte di mano in manoche sopra se gli volgonoe delle quali composto èl'universo? Andò notando i vari sembianti perquanto estendere poteasi la debole sua vistale qualità onde si mostranovestitele vicende a cui vanno soggette: e quindi credette di potere indovinarela varia natura di esse e le cause delle operazioni loroardente nella vogliadi sapere o di mostrare almeno di sapere. Presunse in una parola di comprenderee spiegare il magistero dell'universo; il che si chiama far sistemi difilosofia. Chi immaginò la cosa in un modochi in un altro. Ciascuno ispacciòle proprie fantasie come realitàe tutti ebbero de' seguaci. Quella per altrotra le antiche scuole che pare aver dato meno lungi dal segnoè la italicalecui opinioni concordano con le principali scoperte che nel sistema del mondofatte furono dipoi dalla sagacità dei moderni. Capo di quella scuola fuPitagorail quale avidissimo di sapere andò peregrinando qua e là in cerca diessoe le dottrine a noi recò dell'Oriente e dell'Egittodove sursero ne'passati tempi i più profondi ed esperti osservatori delle cose naturali. Ma ilnome di Pitagorae di tutti gli altri dipoivenne oscurato da Aristoteledicui si gloriava esser discepolo il grande Alessandro; tanto che era chiamatoassolutamente il Filosofoera tenuto una seconda naturae ogni suo detto erain luogo di ultima ragione. Nella quale altezza di fama allora veramente salìche gli Arabiconquistata gran parte del mondosi volsero dalla barbarie allegentilezzee si diedero agli studi delle scienze. Venuti in mano a costoro ilibri di Aristoteleil quale stretto nel ragionaree quasi misteriosolasciada intendere più ancora che non dicesi misero a farvi su dei comentiainterpretarloa chiosarlo. Ne nacque da tutto ciò una assai strana filosofiaparte colpa le varie fantasie degl'interpretiparte colpa il Maestro medesimoche tentò di risalire alle cause prime senza avere debitamente considerati glieffetti; sillogizzò sopra le cose naturaliche avrebbe dovuto innanziosservare; e usò ne suoi scritti un certo suo linguaggioo gergo particolare.Il caso è che gli aristotelici stavano quasi sempre in su' generalisenza maivenire al fatto in che che sia. Non d'altro si udivano risonare le scuole che diqualità occultedi forme sostanzialidi entitàdi modalitàe di similialtri nomi senza soggettoco' quali intendevano render ragione di ogni cosa cheavveniva nell'universoe di ogni effetto di natura. Tale è la scienza chetenne fra noi per più secolipiena di frivolità e di quistioni senza fineosopra l'interpretazione di un testoonde conseguire qual fosse la mente delMaestroo sopra soggetti di niuna importanzane' quali non sapevasi talvoltaqual fosse la mente e l'intendimento di quei medesimi che gli disputavano. Alvedere que' dottori contendere insieme e riscaldarsicome assai spessoavvenivapareva che combattessero daddovero; ma vecchi fanciulli non facevanoin sostanza che alle bolle di vento.

Sorrise qui un poco la Marchesaindi prese a dire: - Mi penso chedurante tal cicaleccio filosoficoa dir cosìe tal divozione versoAristoteledi gran progressi non avrà già fatti l'umano ingegno nellafilosofia. - No al certo - io risposi. - E forse per un gran pezzo sarebbe statasmarrita la buona via; se non che al principio della passata età sorse inToscanaquasi vindice della ragioneun uomo chiamato per nome Galilei. Diedeegli come una novella vita all'antica scuola italicae atterrato l'arabescoedificio dell'aristotelismocon la sesta alla mano pose i fondamenti del tempiodel sapereche fu poi dal Neutono levato tant'alto. Incominciò col suo esempiodal mostrare a' filosofi ciò che si sarebbe dovuto fare in ogni tempoa nonvoler parlare un linguaggio inintelligibilevoto di sensoe pieno di orgoglio;a sottomettersi a cercare quali sieno le proprie e vere qualità degli oggettiche ne stanno dattornofacendo sopra di essi replicate esperienzee dando loroin mille maniere la prova; a interrogar debitamente la naturae non crederciecamente a un uomo: e lasciata da parte la investigazione delle cause primeche non è da noi l'arrivarcia dover mettere ogni studio per conoscere glieffettied assicurarsi come le cose sono in fattoprima di voler spiegare ilperché così elle sieno. Per tal via egli venne a dare nuova faccia alvastissimo regno della scienza fisica. Né forse male avvisò coluia cuisovviemmi aver udito chiamare quel pellegrino ingegno Pietro il Grande nellafilosofia. L'unodiceva eglidiscese dal trono per apprendere a regnare;l'altro dalla cattedra per imparare a sapere. E se le leggi dell'unoebbero forza di render viva la virtù di una nazionequasi da tanti secoliaddormentatail metodo dell'altro risvegliò nella famiglia filosofica laragione oppressa dall'autorità de' testi antichia' quali i filosofi d'allorastavano attaccatinon meno che i popoli della Russia alle loro vecchie usanze.E già il metodo del Galileicol quale si erano scoperte parecchie proprietàimportantissime dei corpie alcune delle primarie leggi onde la natura governala universalità delle cosecol quale riordinata già si era in qualche partela fisicaincominciava a pigliar corsoquando in Francia uscì fuori una settadi filosofi ad attraversarlo. Volevanoanch'essi la ragion dell'uomo libera dal giogo dell'autorità; e degliaristotelici dispregiatori eran solenniil che già era di moda. Di fare tantesperienze e osservazionionde venire in chiaro de' naturali effettinon sidavano gran travaglio. Si davano bensì vanto di spiegare ogni cosa con grandespeditezzae per modo che senza gran fatica potesse intendergli ognuno.Ponevano alcuni pochi e semplici principie singolarmente che le specie dellecose non differiscono sostanzialmente tra loroma soltanto per la variadisposizione e modificazione delle parti della materiache è in tutte lastessa; similediciam cosìa quel legnoche diviene uno scagno o un diosecondo la forma che gli dà l'artefice. Quindi per via solamente di certimovimenti e di certe figureche sapevano immaginaregiusta il bisognone'corpi e nelle parti di quelliterminavano ogni quistione. Né era cosa innaturache in certo modo non operassero a manoquasi testimoni di veduta dellacreazione del mondo. E perché la pronta fantasia di costoro andava di primolancio alle cause più occulte delle coseintanto che il Galilei dopo molteconsiderazioni e molto studiodopo molte prove e riprove si contentavasolamente di stabilire una qualche legge della naturadivennero ben prestosignori delle scuolee sortirono al pari di Aristotele di caldi e zelantisostenitori. - Almeno - disse la Marchesa è forza confessare che il meritaronoassai meglio. Che certoper quanto diteè da credere grandissimo fossel'ingegno di costoroe dovea giustamente levare in ammirazione ogni gente. -Si- rispos'io - ma non di rado avveniva che gli effettiche si osservavanodipoi in naturasmentivano i bei ragionamentiche acquistati si erano applausoe fede appresso i più ed egli era proprio una compassione vedere i piùammirabili sistemi del mondo risolversi in niente al cimento di una solaesperienza. E così va chi troppo s'affretta; voglio direchi vuol far mostrad'ingegnoprima ch'egli abbia adoperato gli occhi abbastanza. E per veritàniun ascolto noi non daremmo a un meccanicoil quale presumesse indovinare lacostruzione del famoso orologio di Argentinasenza aver cognizione né degliaspetti ch'egli mostrané di quelle tante cose che e' sa fareoltre il batterl'ore. Non è così? - Così è - disse la Marchesa. - E che dovremmo noipensare - io continuai a dire - di un filosofo che vorrà descriverne la internafabbrica dell'universocome innanzi tratto egli non abbia posto grandissimostudio per conoscere le operazioni variegli effettile molle e gl'ingegnidella natura? Ciò non ostanteil Cartesiocapo di questa setta di filosoficompose un suo sistema di otticasi mise cioè a ragionare e dommatizzar dellalucesenza prima certificarsi con accurate sperienze s'ella sia sostanzasemplice o compostasenza conoscere le principali affezioni e qualità sue: eun tale suo modo di filosofare pur levò tanto applauso nel mondo. Ben è peròvero che in questi ultimi tempi si è forte intiepidito quell'applauso. Chiarosi conosce più che mai chedove per troppa lentezza in prender partito corronoassai volte pericolo gli affari di statoil contrario appunto succede dellespeculazioni della filosofia. E presentemente tutte le accademie di Europa vannonotando ciascuna particolaritàche la industria o la fortuna presenta lorotanto nell'otticaquanto nelle altre parti della fisica; e vanno cosìammannendo di che forse ordire un giorno il vero sistema dell'universo.

- Quando però bisogni - soggiunse la Marchesa - ad aver un verosistemasapere tutte le particolaritàcome voi ditenon è credibile che noisiamo per averlo così di breve. E se altre volte conveniva aspettare un secoloperché ricorressero certe tali feste che si celebravano in Romaconverràforse ora aspettare le migliaia di secoliperché venga a illuminare il mondoquesto vero sistema. Intanto mi par cosa pur ragionevole esser contenti a quelliche meritarono più applausoed ebbero più voga. E chi non avrebbe vaghezza disentire quanto di più ardito e di grande seppe riuscire dalla fantasiadell'uomo? Comprendere il magistero della naturapenetrare le cagioni dellecose è lo stesso che salire in cieloe sedere alla beata mensa degl'iddii. Che se i filosofi non colgono in tutto nelverosaràmi pensoche pur sentono del mortaleanche gli occhi loro. Starà poi a noi a discernere dove hanno dato nelsegnoe dove noe a far giusta ragione de' loro sistemi. - Non furono maidette - io risposi - più sensate ragioni per udir delle follie. Come è delpiacer vostro. Ma vedeteMadamail bel campo che mi aprireste per pigliarmi divoi un po' di vendettache mi fate stare a questo nobil sìma sottil cibodella filosofia. Io potrei prendere il principio da altocome si suol fare insomiglianti casie dirvicome alcuni hanno affermato la luce esser l'atto delpellucido in quanto egli èpellucido; altrilei esser l'animaonde il mondo sensibile viene ad essercollegato con l'intelligibile; i colori essere una certa fiammolina che svaporadai corpile cui parti hanno proporzione con l'organo del vedere. Tutto ciòpotrei dirvinon senza toccare alcuna cosa del furto mistico di Prometeoo che so io. E pensate pure che in somiglianti concetti stavasi altrevolte racchiusa la scienza dell'uomo. - Non fate voi ora meco - disse laMarchesa - come i tiranniche il male che non han fattolo mettono in conto dibenefizio? Ma a ogni modo gran mercéche voi entrar non vogliate in mondiintelligibiliin furti misticie in così fatte altre cose; che io per me nonne verrei a capo in un anno a intenderne parola. - Qual maraviglia- rispos'io- quando che forse quegli che ne furono gli autorinon le hanno intese eglinostessi. Ben voiMadamaintenderete con facilità grandissima il sistema delCartesioche vi mostrate tanto desiderosa di averne contezza.

Ora figuratevi tutta quanta la materiadi che fatto è il mondononaltro essere stata da principio che una massa uniformee la medesima in tutto eper tutto. Tale immensa materiaquanta ella èfiguratevela divisa inparticelle della figura di un dadopicciolissimeed eguali tra loro. Di questeparticelle figuratevi che una grandissima moltitudine qua giri intorno ad unpuntolà un'altra moltitudine intorno ad un altroe nel tempo stesso girinotutte in se medesime; e ciò in guisa di ruotache nel correre ch'ella fa vassituttavia volgendo sopra di sé. In tal modoMadamaimmaginerete pieno divortici ogni cosa: che vortice si chiama uno ammassamento di materiaqualch'ella siache vada intorno a un puntoo centro comune; come si vede farl'acqua ne' gorghi di un fiumeo la polvere raggirata dal vento. E tuttoquestoMadamaè ben facile ad esser compreso. - Facilissimo - ella rispose. -Or bene - io soggiunsi - e voi vedrete per via di così semplici e pochi ordigniformarsi il solele stellela lucei colori. E che cosa non vedrete mai? Ilsistema de' vortici è quasi un palazzo magicodove uno ha solamente la brigadi chiedere ciò ch'e' vuoleche sel vede comparire innanzi di presente. - Siavrà dunque da credere - ripigliò la Marchesa - che da sì picciola cosaconceduta al Cartesio abbiano da seguitare tante maraviglie? - Madama- iorisposi - voi non sapeteche ogni tantino che si conceda a' filosofieprocedono a modo degli amanti; e passo passo là recano le personedove ellenon avrebbon pensato giammai? - Io m'intendo- rispose la Marchesa - così pocod'amore come di filosofia. Ma non saprei vedere a che cosa possa riuscire illavoroo il giuoco di que' dadicciuoli. - Ora lo vedrete - io risposi. -Adunque que' dadicciuoli della materia del Cartesioch'erano contigui tra loroe come stivati insiemenon potean fare chenel girare intorno a se stessinonurtassero continuamente gli uni contro degli altri. Così ciascuno venne asmussare i propri angolio sia punteonde s'impedivano tra loro il potergirare liberamente; e cosìnon altrimenti che veggiamo accadere delle pietreche un torrente rotola in bassosi ridussero in altrettante politissimepallottolineo vogliam dire globetti. Delle rastiature poilevate via diciascun dadosi venne a formare una nuova materia finissimaagitatissima; laqual materia vale tant'oro al Cartesio. Egli vuolecontro alla opinione dialtri filosofiche nell'universo sia tutto pienosenza che vi resti il piùminimo spazietto voto di corpi. Ed eccoper primoche questa tale materiafinissima gli viene a riempiere tutti que' piccioli vaniche altrimenti tral'un globetto e l'altro sarebbon rimasi. Che ben vedeteMadamacome queiglobettiancorché si toccasser tuttigià non poteano per la propria lororotondità combagiarsi insieme. Ma un vano vie maggiore sarebbe senz’essa rimaso nel bel centro di ciascun vortice.Tutti i corpi che muovono in girofanno ogni sforzo di allontanarsi dal centrointorno a cui girano; e ciò vedesi manifestamente nel sasso girato nellafrombolache è presto a scappar via per linea dirittatosto che si rilascidalla mano l'un capo della funicella che il ritiene. I globetti adunquechemuovono in giro e formano il vorticerimpiccioliti e logori dal continuostropicciare tra loropigliavano il largodiscostandosi dal centro. E già sarebberimaso un gran vano nel mezzo del vortice medesimoquando vi accorseopportunamente a riempierlo quella materia inimica del voto. Ed ivi tenendo ilcentroquasi noccioloe girando anch'essanon si può direqual vigore equal vita venga a comunicare al restante del vortice. - Cotesta materianon hadubbio- ripigliò la Marchesa - adempie bene alle parti sue; e quasi pare chenon abbia fatto nullase alcuna cosa riman da fare.

- Ma sapete voiMadama- io risposi - quale altre cosa faccia quellarastiaturaquella minutissima polverech'è detta la materia del primoelementoo sottile? Ella fa la sostanzala persona medesima delle stelle e delsole. Il sole non è altra cosa che un immenso pallone di materia sottilechegirando rapidamente intorno di séfa suo sforzo di espandersi per tutti ilatie così viene a premere per ogni intorno. E questa gagliardissimapressione della materia sottilecomunicata alla massa globulosao materia delsecondo elementoche è tutto intorno al soleè dessa la luce.

- Ed è pur vero - ripigliò immantinente la Marchesa - che noi siamgiunti in un attimo a far la luce. Ed io risposi: - Così è. Dite oraMadamach'egli era un concedere un niente al Cartesioa fargli buoni que' suoidadicciuoli. Ma di grazia levate l'occhio a quella infinità di vortici seminatie sparsi per ogni lato del cielodove in tutta la sua maestà a noi si mostrae risplende la grand'opera del Cartesio. Ciascuno di essi è un gran pallone dimateria sottileche vorrebbe espandersi per ogni verso ed uscire de' suoitermini; ma egli ne vien contenuto dagli altri vortici che gli sono d'intornoeche vorrebbon pur fare il medesimo. E come le pietre nelle voltecontrastandol'una con l'altrasi sostengono insiemecosì tutti quei vorticiper la loroscambievole e contraria pressionevengono a equilibrarsi tra loro. Che se illume che a noi vien dalle stelle non è tutto della medesima vivacità; ciònasce non dalla più o meno forza del loro vorticema dalla varia distanzaprincipalmente in che elle si trovano da noi. Di qui è che il solenel cuivortice pur siamoe la cui lontananza da noi è di soli cento milioni dimigliaal suo apparir

 

 .. . turbae scolora

letante stelle ond'è l'Olimpo adorno.

 

Tra le stelle poi quellache col brio della sua luce supera ogni altraed e credibile che sia a noi più vicinaè chiamata Sirio. - Forse - disse laMarchesa - che volete dire quella lucidissima stellache qui in contado èchiamata la bella stellae che veggiamo ogni sera uscir fuori la prima ditutteappena tramontato il sole. - Ed io: - Madamaprendete guardia di nonconfondere due cose di ben differente naturacome un corpo che luce per séeduno che per lucere ha bisogno di altrui; un sole e un pianeta. Vero è che labella stella (che Venere dagli astronomi è detta)MarteGiove con gli altripianeti furono un tempo altrettanti solicosì nello stato primitivoo secold'oro dell'universo; ma egli è anche vero che ora sono decaduti da quel grado.Oltre alla materia sottileche si formò dalla globulosase ne formò un'altraancorache il Cartesio chiama del terzo elementoed è cagione delle piùstrane vicende che sieno descritte negli annali di quel suo mondo. E sapete checosa è questa materia? la scoria o la feccia della sottile: e per essere le sueparticelle di figura uncinataramosairregolareavviene che l'unascontrandosi con l'altra si appiglino insiemee vengano talvolta a ricrescerein assai vaste moli. Queste dipoiin virtù del motoe della forza dellamateria sottilesono rigettate dalle parti interne della stellao del soledentro a cui si formanoinsino alla superficie di quello. E là in quel latodove in molta copia si trovano adunate insiemetenendo in collo la pressionedella materia sottile sopra la globulosala luceche pur in essa pressioneconsisteviene intercetta. Nè ad altra causa voglionsi attribuiresecondo ilCartesioquelle macchie che di tempo in tempo appaiono sulla faccia del solegrandi talvolta come la nostra terrae anche piùe che i nei del sole piacquea un celebre filosofo di chiamarlemostrandole col cannocchiale a unaprincipessa del norte. - Dei nei grandi come la terra - disse la Marchesa -dovrebbonoanzi che abbelliresfigurare qualunque faccia si sia. - Certo- iorisposi - come ecclissano il sole in partecosì potriano ecclissarlo in tutto.E da gran tempo l'avrebbon fattose prevalso non avesse sinora la materiasottilela quale col rapidissimo suo bullicame discioglie e dissipa cotestisuoi neidi mano in mano che si vanno formando. Ma è forza dire che la virtùdi tal materia in tutti i soli non è stata tanta da superare la opposizione ela resistenza degli ammassamenti di quella del terzo elemento. Ciò avvenne intutti quei soli che del grado loro decadetteroe singolarmente nella nostraterra. Vedete metamorfosi più strana di quante ne racconti Ovidio. Incrostatasia poco a poco tutta dintornovenne a languire il suo vortice separato dalnocciolo e dall'animache gli dava vita; fu rotto l'equilibrio tra esso e ilvortice del soleche gli era vicino; e così la terrauno altre volteanch'essa degli occhi del cielo e immobile nella sua sededivenuta scura edopacafu rapita viae come ingoiata dal prepotente vortice del solefucostretta a dar le volte intorno da luicome una secca foglia dentro a un gorgod'acqua. - La terra adunque - disse la Marchesa - è condotta a dover girareintorno al sole! Ben so che i filosofi non fanno troppo il gran conto di questanostra terrae per loro il farla girare è un niente. Ma certo un mal giuocopare a me le abbia pur fatto quella materia del terzo elementoo vogliam direque' suoi neiche troppo l'hanno fatta decadere da quel glorioso stato in cuialtre volte trovavasi. - Forse- rispos'io - ch'ella non è poi tanto dacompiagnere. Ha perduto la luce e la sua quieteè vero; ma di una cosauniforme ch'era in prima e da per tutto la medesimaè venuta anche arivestirsi di quella tanta varietà che ora vi ammiriamo per ogni lato; e potédi tanti avvenimenti divenir teatrosu cui dovevateMadamaessere unpersonaggio voi medesima. Del resto - io continuai a dire - nello stesso modoche la terrafurono dal sole conquistate le comete che appariscono nel vorticesuoe gli altri pianeti che gli fanno corona.

- Con queste tante conquiste - disse la Marchesa - che ha fatto il soleben fu da lui trasgredita e rotta in cielo ogni legge di equilibrioper cuitanto si combatte qui in terra. Ed io mi penso che nella storia celeste eglidebba tenere quel luogo che tengono nelle nostre istorie gli Alessandri ed iCesari. - Per quanto si creda- io risposi - e vi sia ragione di crederechealtre stelle abbiano anch'esse un corteggio di pianeticerto si è che nonveggono sino ad ora i filosofi un più gran conquistatore del sole. Ma vedete orvoiMadamala differenza che ci ha da un corpo luminoso a un opacoda un solea un pianetada Sirio a Venere. E vedete insieme a che fu principalmenteordinata la gran macchina del Cartesio. Il soleche è corpo di assai maggioreche tutti i pianeti presi insiemestandosi nel centro del suo vorticevolgesiintorno a sé in venticinque giorni e mezzo. E lo sterminato oceanodirò cosìdi materia che lo circondao sia il gran vortice di cui anima e centrogirandopel medesimo verso che fa eglimena d'intorno a sé i pianetia quel modo cheuna corrente fa le navi che in essa s'abbattono. Di tutti il più piccioloeche gira anche più vicino al soleè Mercurio. Compie suo giro in pochesettimaneperché la materia del vorticericevendo principalmente l'impulsodal solemuove assai più rapida ed ardente vicino a luiche non fa nelleparti lontane. Appresso Mercurio e più tarda gira Venerequel bel pianeta ilcui dolce lume fa ridere il cieloe ne confortadicono i poetiad amare.Viene la terra per terzala quale raggirasi intorno al sole nello spazio di unanno. Più sopra è Marte; appresso a Marte seguita Gioveche è il più vastotra' pianeti; e finalmente si trova Saturnoche muove più lento di tuttiedè di tutti il più lontano dal sole. I pianeti minoricome la nostra lunaiquattro che girano intorno a Giovee i cinque di Saturnofurono anch'essi abantico altrettanti solie sono ora un segno della passata grandezza de' pianetimaggioria' quali ancora appartengono. Avendo questi nella loro decadenzaconservato gran parte del loro vorticecome narra il Cartesioconservanoancora le prede e le conquisteche fatte aveano ne' tempi migliori. Che se ditali cosee particolar-mente del girare che fa la terravorrete più minutacontezzaleggeremo i Mondi del Fontanelledove conoscerete la più amabilemarchesa di Franciaa cui però non avrete altro da invidiare fuorché ilfilosofo.

- Piacemi oltremodo - disse la Marchesa - quanto ioho udito da voi di un sistemache con tanta facilità e felicità rende leragioni delle cose. Per far girare i pianetiil sole non ha che a girare eglimedesimo; e per illuminare tutto il mondoche è pure un gran chenon ha dafar altro che premere la materia globulosa che il circonda. In ciò fare non cirimette niente del suo; e il tesoroper così dirdella luce non è mai pervenir meno. - Non si può negare - io soggiunsi - chestando alla opinione dicoloro i quali vogliono che la luce sia una effusione della sostanza medesimadel solequasi un'ardente pioggia ch'egli mandi fuori del continuotalunopotrebbe viveree non a torto; in grande apprensione. Per quanto finissimesieno le particelle della lucepiù fine ancora delle particelle odorose cheesalano da' corpii quali nulla però perdonoanche in lunghissimodel loropesoci sarebbe da temerenon quel tesoro venisse finalmente al bassoe diavere un giorno sul bel mezzodì da restare al buio. E forseper li tantidispendiche fa di continuo il soledicono i filosofi del Malabareche di sette occhi ch'egli aveasei ne sono giàchiusie non glie ne rimane ora che un solo di aperto. Ma ecco che per questoconto noi possiamo essere più animosi. Talecome voi avvertiteMadamaè lacondizione del solech'egli può ogni momento fornir di luce tutto quanto ilmondoe non perder egli mai niente del suo. E se proprio è della lucech'ellatrascorra in un istante uno sterminato camminoe che il suo corsocome dice unpoeta ingleseè finito allorché incominciavedete come la luce cartesiana lofaccia con un niente: che per lei appunto un niente sono i milioni e milioni dileghe. E questo avviene perchésecondo il Cartesioogni cosa è pienosenzache vi sia il più minimo spazietto di voto. Immaginate una picca quanto sivoglia lunghissimala qualemossa che sia dall'uno de' capimuove nel tempoistesso anche dall'altro. Né più né meno è da pensare che avvenga dellapressione che ricevono ad un tratto le file de' globettichesenza lasciareintervallo alcuno tra essisi stendono dal sole insino a noi. E così appenapreme il solee allumato è ogni cosa.

- Quale spiegazione più semplice e più chiara -disse la Marchesa - degli effetti della luce potremmo noi cercare di questa? Egià mi penso che il simile debba essere de' coloricheper quel ch'io credosono anch'essi un effetto della luce. - Per certoMadama- io risposi -avreste il torto di non stare anche per questo a fidanza del Cartesio. Egli vidiràche siccome la pressione o il moto de' suoi globetti eccita in noi ilsentimento dellalucecosì la diversità de' loro moti fa che noi apprendiamo colori diversi. Equesta diversità di moti è cagionata dalla diversità delle superficie deicorpiche ricevono la luce che vi batte sue la rimandano all'occhio nostro.Hanno esse potere di alterarlao variamente modificarla: e quindi neappariscono variamente colorate; non altro essendo i coloriche la lucevariamente modificata. Quei corpi adunquele superficie dei quali sono dispostein maniera da accrescer notabilmente ne' globetti di luceche vi dan suilproprio loro moto di rotazioneci si mostran rossi; e gialli quelli che loaccrescono un po' meno. Se le superficie poi sono tali da sminuire quel motoinluogo d'accrescerloquelle che lo sminuiscono assai riescono azzurre: e verdiquelle che poco. E finalmente se tali sono le superficieche rimandino iglobetti in gran copia e colla medesima quantità di moto con che gli ricevonosenza rinforzarlo in alcuna parte o debilitarloallora ne risulta il bianco: eil nero per lo contrarioquando le superficie sono talmente disposte daammorzare essi globettie in certo modo assorbergliper entro a se stesse.EccoviMadamacome in un batter d'occhio abbiam fatto i colori. Cercate void'avvantaggio ? Ricordateviche noi siamo nel palazzo magico del Cartesiodovebasta chiedere per ottenere. - Nono- ella rispose - fermiamci per ora su'colori: e dichiaratemi onde nasce che questo corpo accresca ne' globetti di luceil moto di rotazione; lo diminuisca quell'altro. - Ciò nasce - io risposi -dalla varia qualità e disposizioneche trovasi nelle particelle componenti lesuperficie de' corpi medesimidalla loro inclinazionepositurafigura esimili altre cose: le quali essendo diversedebbono altresì diversamentemodificar la luce che in essi corpi si avviene. E così il filosofo vi dà diche dipingere

 

L'erbettaverdee i fior di color mille

 

diche variare a vostro piacimento la faccia dell'universo.

- Veramente- ripigliò la Marchesa - con questivortici si viene a fare ogni cosa. Dica chi vuolenon si potria mai abbastanzaammirare il sistema del Cartesio. Non ci è quistione che egli non siaprontissimo a scioglierla; e ciò non fa con lunghi raggirima con unasemplicità che è un incanto. Il solele stellecol moto de' pianetila lucee i colori noi abbiamo voluto faree furon fatti. Ma ditevi è occorso eglimai di ragionare con altra donna di filosofia? - No al certoMadama- iorisposi - nè ci voleva niente meno di voi a farmi soccombere. Ma che mi fatevoi una tale dimanda? -Ed ella: - Per sapere come essa si fosse comportata; comeavesse fatto con questo Cartesio. - So ben io- ripigliai tosto - quel che vifate voi. Che occorreMadamail nasconderlo? Voi vi siete un po' troppolasciata andare all'immaginazione

 

dolcicose ad udiree dolci inganni.

 

Eglisembra siavi caduto di mente quella fretta madre di tanti sistemiche nonreggono poi alla flemma degli osservatori. - Che debbo io dirvi? - ella rispose.- Se io me ne sono scordata cosìforse la colpa è del palazzo magicodovevoi mi avete introdotta. Ben sapete che questi tali luoghi han virtù di fardimenticare alle persone le cose migliori. - Alla quale io risposi - Madamaalmeno non vi dimenticate che i palazzi magici si risolvono in fumo alsopraggiunger di Logistilla con quel suo libretto.- Chi avrebbe mai potuto credere- riprese a dir laMarchesa - che da una supposizione tanto semplicecome fu quella di non so chedadicciuoli portati in giroavessero a riuscire le tante maraviglie che in sìpicciol tempo mostrate mi avete? In assai maggior pregio senza dubbio si hanno atenere coloroche con pochissimi ordigni fanno far quello per cui altri nemettono in opera moltissimi. E la varietà de' colori tanto più ora mi dilettaquanto io duro meno di fatica nel vernirmegli formando dentro alla fantasia. Senon che male saprei immaginare come va la faccenda in quei coloriche solamenteappaiono sopra le cosese un traguarda per un certo vetro; siccome mi sonoabbattuta a vedere in non so che villanon è gran tempo. Io non mi metterò afarvene una descrizioneche male ne riuscirei: e d'altra parte a voi non puòesser nascosto di che vetri io m'intenda di parlare. Di tanto mi ricorda:ch'egli era posto a rincontro d'una finestrae sospeso dalla volta dellastanza; e ch'era proprio un piacere a veder per esso la campagna e il cielocome un tappeto o un panno di mille colori. - Anche di questo - io risposi - voiavete in pronto la spiegazione. Quel vetro a tre facceche voi ditefatto comequegli stipetti che sogliono porsi negli angoli nelle stanzesi chiama prisma.Guardando a traverso di esso le cosenoi le veggiamo pezzate di vari colori; eciò in virtù di nuove e varie modificazioniche valicando per esso ricevono iglobetti di luceche sono ribalzati da' corpi. Fategli acquistare o perdere delmoto di rotazionesecondo che qua vedete un coloree là un altro; è fattoogni cosa. Ma quanto a quella distinzione accennata da voiMadamatra i coloriverie gli apparentinon troverete alcun filosofo che possa usarvil'agevolezza di farvela buona: io diconé anche il vostro Cartesio. Il qualevi dice risolutamente che il porporino d'una bella guancia e quello del prisma odell'iridenon sono altro che rotazioni di globetti; sono tutti coloriapparentinon reali; tutti di un modoquanto all'esserese non quanto aglieffetti che producono. In somma ogni qualità di colori non sono altro chesemplici fenomeniche appaiono con la luce; e tolta via quellanon son più. -Volete dire - replicò la Marchesa - che non sono più veduti. Come si potriapensare che i colori di quel quadro non sono piùun'ora o due appresso ilcader del sole? La tela rimane pur tuttaviabenché non veduta. - La tela nonha dubbio- rispos'io subito - rimane dopo il cader del sole; e sopra essasimilmente certe disposizioni rimangono nella figura e tessitura delleminutissime parti di quei vari generi di materiache adoperar sogliono ipittori. Ove sopravenendo appresso la luce secondo la qualità ch'ella prende daesse disposizionii suoi raggi ribalzano indietro sotto varie tinte e coloridiversi. Per le tenebre poi ogni cosa da capo svaniscee non è più; come uneffetto di quelle disposizionie insieme della luce.

La Marchesa recatasi in sé alquantoriprese a direin tal modo: - Per verità io ho creduto sempre il color esser nelle cose; e nelprisma o nell'iride esser solo una illusione. - Ed io: - Cotesto toglier viaquella distinzioneche comunemente si fa tra i colori veri e gli apparentiegli è pure un ridur le cose a quella semplicitàche tanto vi va a genioMadama. Se non cheforse l'amore di voi stessa contende a questa volta colvostro amore per questa medesima semplicità. Troppo vi duole di non dover piùtenere e riconoscer per vostro quello su che in grandissima parte si fondal'imperio delle belle donne. Né io vi posso dar torto che vi mostriate perquesto conto un po' difficile col Cartesio. Ma finalmente a chi è tanto oquanto tenero del suo onor filosofico non è lecito di ammettere i principi diun sistemae non voler poi ammetter le conseguenze che necessariamente daquelli derivano. I corpi non sono altra cosa che materia del terzo elemento; iquali differiscono solamente tra loro per una certa tessitura e configurazionedi particelle: e ne' globetti della luce non è altra cosache quel moto dirotazione che le particelle de' corpi vi modificano nell'atto di ribalzargli dasé. Questi dipoi muovono l'organo del vedere; e così nasce in noi il concettodel colore. E in fine di questo colore il nostro animo ne riveste le cose difuorilà riferendolo donde gli vennero i globetti di luce. Ma in effetto lecose ne son nude. Anzi non solo del colore; che anche il saporel'odoreilsuonoil freddoil calore e la luce medesima non sono altrimenti ne' corpi.

La Marchesa allora disse: - Poco manca voi nondiciate non aver realità alcuna quanto un vede et ode: che io non debbo credereesser qui questo marmoche io pur tocco con mano; esser voi . . . - Tal cosa -io risposi subito - non vi dirò già io. Benché non manchi di quelli chesostengono i corpi tutti non esser altro che ombree sogni perpetui di genteche è desta; io per me credo che sogni sieno i loro: né mi potrò mai indurrea credere che io sognoquando io vi veggo. Crederò bensì che le cose sienomolto differenti da quello che paiono. E lo stessoMadamadovrete fare purvoi. Quelle qualità soltanto hanno da risiedere ne' corpi senza piùle qualidipendono dalla materia di che sono composti; le altre vi saranno apparenti. Cosìchefuor che nella mente nostranon si trovano in nessun luogo. E le proprietàdella materia il Cartesio le ristringe alla estensioneper cui i corpi sonolunghilarghi e profondi; alla impenetrabilitàper cui un corpo non puòtrovarsi nel luogo di un altro; al muoversi; all'aver questao quella figura;all'aver le parti così o così modificate e disposte. Ora chi vorrà mai ilcolorela luce e similiessere un certo motouna certa figurao tessitura diparti? Adunque sono nella nostra mente. - Ma - qui soggiunge la Marchesa - voimi diceste pure un certo moto di rotazione ne' globetti della luce esser cagionedel coloreche è nei corpi. - Piuttosto occasione - io ripresi - che se nedesti il sentimento in noi: come appunto quella proprietà che hanno i corpi dipremere i globetti del secondo elemento è occasione che si risveglia in noi ilsentimento della luce; e quellaond'essi fanno brandire e ondeggiar l'aria sinoal timpano dell'orecchioil sentimento del suono. Similmente una certa figuradi particelleo pure certi piccioli animaletti che sono ne' corpistuzzicandoin una maniera o in un'altra i nervetti della linguasono occasione che in noisi desti l'idea di quello o di quell'altro sapore. E l'istesso avvienedell'odore e delle altre qualità somiglianti. E così da noi chiamasiimpropriamente qualità della materia quello che in realtà è soltantopercezione della nostra mente. - Io già intendo: - disse la Marchesa - noisiamo i conquistatori del mondoche ci è dattorno; e divenghiam ricchi allespese altrui. Il filosofo non lascia a' corpi che a malapena lo scheletrodiròcosìdella estensione; e il restodi che e' paiono rivestitilo dàall'anima nostra. - E con ragione - io soggiunsi. - Quando uno si trova al buiofaccia di premere col dito l'un canto o l'altro dell'occhiogirandolo a unostesso tempo parte opposta; e vedrà tosto un cerchietto di colorisimile incerto modo a quelli che veggiamo nella coda del pavone. Onde questo? mentrecertamente al di fuori non ha nè colorené luce. Non da altrosalvo chedalla pressione del ditoil quale opera così grossamente nell'occhio quelloche i raggi di luce vi san fare con tanto maggiore isquisitezza. - Veramenteveggo anch'io - disse la Marchesa - che non può stare altrimenti la cosa daquel che voi dite. Ma come è mai che in virtù di un certo moto di rotazione ioapprenda il rosso o l'azzurro? Qual corrispondenza ci può egli essere tra icorpi in qualunque modo sieno dispostie un concetto di coloreuna ideachel'anima forma dentro a se stessa? che pur parmi che i sentimenti dell'animasieno una faccenda diversa in tutto da qualunque movimento si sia. - Comprendetevoi meglioMadama- io risposi - qual corrispondenza ci sia tra il dolorecheè pur dell'anima nostrae la puntura di un agoche altro non fa che lacerarealcuna fibra della persona; tra un certo moto di un ventaglio maneggiato dadotta manoe il sentimento ch'e' fa nascere in altrui della speranza? - Ed ellaaccennando di no: - Pur nondimeno - io soggiunsi - tali cosebenché didifferentissima naturavanno di compagnia: e l'una è cagioneo per lo menooccasione dell'altra. - Si dovrà dunque dire - ripigliò la Marchesa - che trai movimenti della materia e le idee dell'anima ci sia quella corrispondenza cheera negli Elisi tra Enea e l'ombra del padre Anchise. Conferiscono insiemeragionanorispondono l'uno all'altro. Ma quante volte Enea tentò diabbracciare Anchisealtrettante se ne tornò con le man vuote al petto. -Questi pur sono - io ripigliai a dire - i misteri della filosofiaalla qualeMadamavoi domandate assai più ch'ella non può veramente rispondere. Chipotria dirvi come lo spirito sia legato in questi nocchi della materiacome glioggetti corporei cagionino certe idee nell'anima; ella all'incontro certi motinel corpocome senza estensione ella sia in ogni parte di noiinvisibil veggae intangibil tocchi? Sebbene non è punto da credere che si rimanessero muti ifilosofise noi gli domandassimo del come tutto ciò succeda. Ci metterebbonoin campo gli spiriti animaliche scorrono per la cavità dei filamentisottilissimi dei nostri nervie portano le sensazioni degli oggetti corporei alcervelloed esso poi le imprime nell'anima; le cause occasionali; l'armoniaprestabilita: ci farebbono dei laghi di filosofiache noi poco intenderemmoeche nulla conchiudono. E già cotesti grandi ragionatori furono paragonati co'ballerinii qualidopo gli più studiati passi del mondo e le più bellecavriolesi trovano alla fine del ballo nello stesso sito per appunto che ilcominciarono. Ma comunque sia del come e del perchéegli è indubitabile - ioseguitai a dire - esservi più specie di cosele quali in noi ne producono dicerte altre di ben diversa natura. Onde non maraviglia che certi movimenti ne'globetti di luceeccitandone degli altri nella retinache è una pellicellanel fondo dell'occhioe questi comunicandosiin qualunque modo ciò avvengaal cervellonon maravigliadicoche questi tali movimenti possano creare innoi certe idee di colore. E già dell'istesso occhioe della maniera con che siformano dentro di esso le immagini delle cosesarebbe ora forse da parlare: senon che eccoMadamache io veggo comparire lo scalcoil quale viene adavvertirvi esser già messe le tavole: ed egli è oggimai tempo di vedere chequalità di sapore noi riferiremo coll'animo alla zuppa. - Non so - disse laMarchesa - se colui che tutta mattina ci ha studiato sue crede di averglielorealmente datosi accorderebbe così di leggieri con voi altri filosoficheridur vorreste ogni cosa all'apparenza. Ch'ei non risappia giammai - io risposi- de' nostri ragionamenti. Egli non è persona da disgustare per così pococome è una opinione di filosofia. - E il dir questo e il levarmi su fu unacosastimando che così ancora far dovesse la Marchesa. Ella al contrario voleapure che io le dicessi più avantie non così tosto si tralasciassel'incominciato nostro ragionamento. Sopra di che io la pregai a volersi ridurrea memoria e ponderare il detto di quel poeta francesenominato il poeta dellaragione: come vivande riscaldate buon sapore non resero giammai. Della qualverità pur convenne dopo qualche contrasto la Marchesa; e finalmente a' piaceridella tavola ebbe a cedere il campo la filosofia.

 

 

DIALOGO SECONDO

 

Nel quale si espongono i principi generalidell'otticasi dichiara la struttura dell'occhioe la maniera onde si vedeesi confutano le ipotesi del Cartesio e del Mallebranchio intorno alla naturadella luce e dei colori.

 

Nel tempo che durò la tavolaora andavaimmaginando la Marchesa certe particolari specie di animalettida' quali levenisse destato quello o quell'altro sapore; ed ora raggirar faceva in uno o inaltro modo i globetti della lucesecondo la diversità dei colori delle coseche se le presentavano innanzi. E mostrava avere non picciol obbligo alCartesioda cui riconosceva d'essere messa a parte de' segreti della natura. Senon che una qualche noia parea pur darle che de' suoi colori ei ne l'avessespogliata. Dove io pur la veniva certificando che con una semplice disposizionedi particelle ella avrebbe seguitato ad operar quello che per l'addietro operarcredeasi col colore medesimo; e ch'ella poteva starsene sicura nel suo regnocontro a tutti i macchinamenti della più sottile filosofia.

Levate le tavolee preso il caffèella si ritirònelle sue stanze: e dopo avere nelle ore più calde del giorno pigliato alquantodi riposovenne nella galleria dove io mi trovava godendo della vista di unameno e ombroso giardinosopra cui essa risponde. Da più di un motto che gettòla Marchesaben m'accorsi del desiderio ch'ella aveva di ripigliare il nostroragionamento. Ond'iosenza altro invito aspettarepresi a dire così: - Tantoio vi veggoMadamainfervorata della filosofiache il parlarvi di qualunquealtra cosa sarebbe senza dubbio indarno. Converrà dunque dirvi due essere iprincipali accidenti a' quali è sottoposta la luce: la riflessione e larefrazione. Quando le particelle della luce vengono a dare nelle parti solidedei corpiribalzano da essinon altrimenti che fa una palla dando in terra; equel ribalzar che elle fannochiamasi riflessione. E per riflessione diraggi noi vediamo le cose tutte che diconsi opachecioè che non hanno il lumeda sé. La fiamma della candelaper esempiomanda raggi del suo: è unvorticetto di materia sottilesecondo il Cartesioun picciolino solechepreme la materia globulosa che gli è dintornoe sì alluma ogni cosa; laddovegli altri corpi opachii pianetiquegli alberiqueste colonnee che so ionon ci si rendono visibili se non in virtù delle particelle del lumeo sia de'globetti che riflettono. Regolarmente sono rimandati i raggi della lucedandoin una superficie spianatapolita e tersaquale è quella dell'acqua stagnanteo degli specchi; come appunto una palladando in un terreno spianatoribalzaregolarmentecioè risale su colla stessa inclinazione che è scesa. Tutti iraggiper darvi un bello esempioche dal vostro volto vanno allo specchioneritornano indietro per niente disordinati o confusima con la stessainclinazione e con la stessa situazione appunto tra loro con cui vi andarono.Così è ripetuta o rimandata fedelmente dallo specchio la vostra effigie; e voipoteteMadamapresentarvi ogni mattina dinanzi a voi medesimae consultare atutta sicurtà sopra il modo di lasciar cadere con più eleganza un riccioosopra il più vantaggioso sito da collocare un neo. - Gran mercé - disse laMarchesa - che io son giunta a sapere il perché di cosache avendola sotto gliocchi tutto il dìera quasi vergogna non saperlo. Ma ben vi so dire che chi miavesse l'altr'ieri parlato di raggiche venendo dalla mia faccia sono poiriflessi dallo specchioe che so ioio avrei creduto un tal linguaggio quelsolito formolario che per vecchia tradizione ne suol ripetere la galanteria. -Al contrario - io seguitai - di quello che succede nello specchiosono riflessii raggi della luce se cadono in una superficie irregolare ed aspraquale èquella di una muraglia. Rimanda essa bensì i raggi del sole da cui siailluminata; ma per la scabrosità sua confondendogli insiemee sparpagliandogliper ogni versonon ne restituisce la immagine. Quando poi i raggi della lucetrascorrono dall'ariaper cagion d'esempiodentro nell'acquaimboccano i porio i vaniche rimangono tra le particelle di quella (ch'essa purebenché nongli vediamoha i suoi pori); e sì passano oltre. Ma nel passar che fannositorcono dal primiero cammino che tenevanovenendo a piegarsi e quasi aspezzarsisecondo il linguaggio degli ottici. E questo spezzamentoonde s'indrizzanoa nuova stradadiversa da quella che innanzi facevanoè ciò che refrazionesi chiama. I corpi diafani o trasparentiche danno la via al lumecome l'arial'acquail cristalloil diamantesi appellano mezzi. E però dicesi larefrazione avvenire nel passar della luce d'uno in altro mezzo. Ed ella èmaggioresecondo che i mezzi hanno in sé più di materiao vogliam dire sonopiù densi. Onde i raggi si spezzano maggiormenteo mutano maggiormentedirezione nel passar dall'aria nel cristallo che non fanno dall'aria nell'acquaper essere il cristallo più denso che non è l'acqua. - Bene sta; - disse laMarchesa - ed egli è ben naturale che il cristalloper essere più materialedirò cosìdell'ariaabbia anche maggior forza nello spezzare i raggi dellaluceche per esso trapassano. Ma come è mai che il Tasso dicese ben miricordo

 

Comeper acquao per cristallo intero

trapassail raggio?

 

-Ché non continuate più avantiMadama- io replicai - quei suoi versi per ilrimanente della stanza? Mi pare che e' venga a inferire come in sulle tracce delraggioche trapassa intero per lo cristallo o per l'acquacosì pure osava ilpensiero degli eroi cristiani penetrare per entro al chiuso manto della bellaArmida. - Qualunque cosa - replicò la Marchesa - ne venga a inferire eglinonè egli vero che da noi si dovrà inferire non accordarsi gran fatto insiememesser Torquato e la scienza dell'ottica? - No certamente - io risposi. - E diquante simili discrepanze non troveremmo noi ne' poetichi volesse cosìsottilmente esaminargli? Il licenzioso Ovidio non fa egli scorrere in un giornotutti i dodici segni del zodiaco al sole quando l'astronomia non gli consente che la trentesima parte incirca di unsegno pel suo corso giornaliero? Fatto è che i poeti non parlano ordinariamentené a dottiné a voiMadama; parlano al popolo. E purché arrivino a muovereil cuore e a dilettar la fantasia del popolohan toccato il segno. Tuttaviaaliberare il Tasso da quella taccia di errorepotremmo direse così v'è ingradoch'egli ha inteso parlare di quei raggi che investono le superficie deimezzi non obliquamentema a diritto: come sarebbese un raggio cadesse sullasuperficie dell'acqua a perpendicolocioè senza deviare da alcuna delle bandedal filo del piombo. Che quel raggio sì bene passa oltre intero senza spezzarsio piegarsi nè da questonè da quel lato; dove tutti gli altriche vi cadonoobliquamente o di sghembosi romponoe nel rompersi s'indrizzano ad altra via.Ora diversamente frangono i raggi passando da mezzo raro in densoche non fannoda denso in raro. Per esempiodall'aria dando nella superficie dell'acquasipiegano nel penetrar l'acquaindrizzandosi verso il perpendicolopiù che nonfaceano prima di toccarla. E così un raggioche da un punto di questa muragliaandasse fuor per la finestra a percuotere colaggiù appunto nel mezzo del fondodi quella vascavota ch'ella fosse d'acquariempiuta poi come ella è oranonpuò più dirittamente dare in quel segno di prima; ma tuffandosi nell'acqua sitorce di tal manierache viene a percuotere di qua del mezzo; cioè in un puntodi esso fondo a noi più vicino. Che se quell'acqua divenir potesse uncristallopiù ancora si torcerebbepiù addentro tuffandosi; e più ancorase per opera di una qualche Alcina si convertisse in diamante. Ed ecco tutte lelinee e tutte le figureche io vi segnerò. - In fatti- disse la Marchesa -che bisogno vi ha egli di linee e di figureper intendere che un raggiopassando da un mezzo raro in un densosi accosta al perpendicolo; e più vi siaccostaquanto più denso è il mezzo dov'entra? - Così però- io soggiunsi- che il perpendicolo s'intenda sempre dirizzato sopra la superficie del mezzoche penetrano i raggiin qualunque modo sia posta una tal superficie: in quellaguisa che la candelache è piantata nel piattello del candelierevi è semprea perpendicolo in qualunque modo il candeliere si tenga o il piattello. -Benissimo- disse la Marchesa - e naturalmente all'opposto anderà la cosaquando un raggio trapassa da un mezzo più denso in un meno; voglio dire cheallora si scosterà dal perpendicolo. - Così è - io risposi. - Niente vi ha dimalagevole a comprendere per voiMadama. E già voi vedrete in un batterd'occhiocome queste refrazionio deviazioni dei raggidi che assaiimperfetta notizia aveano gli antichisieno cagione di mille giocolini ches'osservano tutto dìe de' quali moderni sanno render la ragione. Per esserefrazioni noi riceviamo i raggicome se venissero da altro luogo che da quelloove gli oggetti realmente si trovano: e l'occhioche non sa nulla di tuttoquestoriferisce poi sempre gli oggetti colà donde pare che i raggi glivengano; vale a direvede secondo la direzione dei raggi che lo feriscono. Unodi questi giocolini ve lo voglio far vedere pur ora; da che abbiamo qui inpronto quel bel catino di porcellana e una brocca d'acqua. Ora ecco io pongo nelfondo del catino questa moneta. PiacciaviMadamadi scostarvene tanto che lasponda del catino vi copra la moneta e v'impedisca il vederla. - Così fece laMarchesa: ed ioriempiuto d'acqua il catino sino al sommo: - Non vedete voisubito - ripigliai a dire - la monetasenza punto muovervi dal vostro posto? -Sì bene - rispose la Marchesa. - Ma come ciò? che ben sono lontana dal vederneil perché in un batter d'occhio. - ConsiderateMadama- io ripigliai - comela moneta manda raggi per ogni verso; sia pieno il catinoo pur voto d'acqua;ma quei raggi che da essa moneta sarebbono venuti per dirittura all'occhiovostroquando voto era il catinovenivano intercetti dalla sponda del catinomedesimo; e quelli che dalla sponda non erano intercetti andavano tropp'altoperché voi gli poteste ricevere: e in tal modo a voi si toglieva il potervedere la moneta. Non così avvienequando il catino si riempia d'acqua. Queiraggi che andavano tropp'alti si piegano alquanto in basso verso di voisidiscostano cioè dal perpendicolo nell'atto dell'uscir fuori dell'acqua; e perògiungono a ferir l'occhio vostroil che prima fare non potevano: e voi vedetela monetama fuori del luogo dove realmente ella è. Di somiglianti scherzi viricorderete avervi fatto il prisma. Oltre al farvi apparir le cose variate dicolorive le mostrava altresì fuori del luogo loro. I raggi degli oggettientrando per la faccia del prisma che era loro rivoltavi refrangevano dentro;e uscendo dipoi dalla faccia di essoche vicina trovavasi all'occhio vostrotornavano a refrangere. Talché da voi si ricevevano dopo due refrazionicomese venissero o di più alto o di più basso; d'altronde in somma che in fattinon venivano. - Così è veramente - riprese la Marchesa. - Secondo che situatoera il prismaora mi conveniva guardare in super vedere gli alberi e lacampagna; ed ora in giùper veder l'aria. Pareva che talvolta il cielo fossein terrae poi la terra in cielo. Comprendo ora il perché di tutte quellebizzarrie; e parmi si potesse dire che le passioniche tanto ne fannotravederee ne mostrano le cose fuori del loro debito luogosono altrettantimezzio prismiche tra il vero si frappongono e l'occhio della mente. - Buonper noi- io risposi - se tali prismi noi gli sapessimo così ben maneggiarecome i prismi dell'ottica; e potessimo almeno assegnar così bene e prevedernegli effetti. Qualunque sia la posizione o la materia di questisi puòfacilmente sapere quale esser debba l'aspetto delle cose per essi traguardate;poiché le refrazioni vi si fanno con certissima regola. E generalmente ellesuccedono con tal proporzione e con tal leggechenota la inclinazione delraggio diretto alla superficie del vetrodell'acquao di qualunque altro mezzosi siavi sanno dire a capello quale esser debba la inclinazione corrispondentenel refratto. Della qual scienza è riputato fondatore il vostro Cartesio. Edove ella gioca principalmenteè in quegli scambiettidirò cosìche fa laluce passando a traverso un vetro d'occhiale colmoo convesso da amendue lepartiche si chiama lenteper la similitudine ch'egli ha con un grano dilenticchia. FigurateviMadamadue raggi di luce che camminino paralleli traloro: ciò vuol dire che mantengano sempre in camminando l'uno rispettoall'altro la medesima distanzacome fanno le spalliere di que' viali. Se questiraggi vengano a cadere sopra una lentevannosi ad unire in un punto di là daessa per la refrazione che ne patisconocosì sopra all'entrarvicome sottoall'uscirne. Tal punto si chiama il fuoco della lenteove raccogliendo i raggidel sole ha potere di ardere e di levar tosto in fiamma la polvere di archibusoche ivi sia collocata. - Vengo ora in chiaro - disse la Marchesa - di ciò chealtre volte ho udito dire; come con un vetro posto dinanzi al sole altri puòardereniente meno che si farebbe con una bragia viva. Col ghiacciomedesimamente ciò può farsi - io soggiunsi. - Come col ghiaccio? - ripigliòella in atto di maraviglia. - Figuratevi - io risposi - un pezzo di ghiaccioconformato a guisa di lente; e vedrete ch'egli potrà arderecome un vetrosino a tanto che non sia disciolto dal sole. - Verissimo - ella riprese a dire.- E qual ricca fonte di concetti e di arguzie non sarebbe egli stato a' nostribegl'ingegni di un tempo fa cotesto potere ardere col ghiaccio! - Certo- iorisposi - Madamanon sarebbono andati esenti i vostri occhi da una qualchefredda comparazioneallora quando i nostri poeti s'udivano cantare

 

DehCelia all'ombra giace!

Vengachi veder vuole

giacereall'ombra il sole.

 

Macontinuando il nostro ragionamentoi raggi checadono sopra una lente paralleli si riuniscono nel foco di essa; e quelli chenon sono tra loro parallelima che procedendo da un punto si vanno discostandol'uno dall'altrosi riuniscono essi altresì in un puntoma più lungi dalfoco. E tanto più lungi quanto più presso è il punto dond'e' procedono. - Digrazia-  entrò qui la Marchesa -non v'incresca ripetere queste ultime parole. - Voglio dire- io ripigliai -chequanto più presso alla lente sarà il punto donde procedono i raggi chevanno sopra di essa a caderetanto più lungi dal foco sarà il punto dove egliandranno ad unirsi. E per lo contrario sarà tanto più presso al foco il puntodella loro unionequanto più lungi dalla lente è il punto dond'e' procedono.Che sìMadamache questa mia diceria incominciava a parervi alquantolunghetta? - No per certo - ella rispose. - Troppo volentieri ho seguito le viedella luce. - Orsù- io ripresi a dire - per queste vie ch'ella tienesigiugne da noi ad avere la più dilettosa vista che un possa immaginare. Mapergodernebisogna un bel dì di sole essere in una stanza affatto buiasalvo unpiccolo pertugiodietro al quale intendasi congegnata una lente. Ciascun puntodegli oggetti di fuoriche sono in faccia al pertugiovi manda dei raggi. Iqualitrovando ivi la lente che gli aspettavengono da essa riuniti dentrodella stanza in altrettanti puntiche hanno rispettivamente tra loro lamedesima situazione e il medesimo ordine che i punti degli oggetti donde e'partono. E così vengonoquasi punte di pennelloa dipingere sopra un fogliodi cartache dietro alla lente si ponel'immagine di quegli medesimi oggetti.E ben vi so direMadamache di tal forza e di tal precisione è quellapitturache un paese di Marchetto Ricci o una veduta del Canaletto male vistarebbono a fronte. Maravigliosa vi è la degradazionearmoniosoquanto maidir si possail coloritoesattissimo il disegno. Non solo vi è animato ognicosama si muove veramente. Vi vedreste camminar le personetremolar le fogliedegli alberiveleggiare una barchettao dar de' remi nell'acqua. Che più? Super l'ondache rompono i remivi vedreste scherzar variamente ed isfavillareil lume.

- Che non mandiamo tosto- entrò qui a dire laMarchesa - per una lente? Mi par mill'anni di vedere così fedelmente copiati ibei siti che abbiamo qui d'attornodi vedere un quadro di mano di cosìeccellente maestroquale è la natura. - Grande senza dubbioMadama- iorisposi - sarà la vostra maraviglia; né minore il piacere che ne prenderete.Ma non vi fareste poi anche le maravigliesecontinuando io nella stanza buiaa ragionarvi di filosofiadicessi così: Ora ecco fate ragione di essere colpensiero in uno dei vostri occhie di vedervi quello che avviene là entro. Lastanza buiadove siamoè la cavitào camera interna dell'occhio. Ilpertugio della stanza è la pupillache è nella parte anteriore di esso: lalente è un certo umore detto cristallinoil quale appunto di lente ha figurae stassi a rincontro della pupilla: il foglio di cartache riceve la immaginedegli oggettiè la retinache è una pellicella che soppanna il fondodell'occhioed è tessuta de' filamenti del nervo otticoper cui l'occhiomette nel cervello. Mercé di tali ordigni si dipingono nel vostro occhio lecose che vi si fanno innanzie voi vedete. Per certo- ripigliò la Marchesa -io non mi sarei mai pensata che quel bel quadro fosse tanto filosofico. E non èegli il Cartesio che lo intese il primoa dir cosìe ce lo rese altrettantoutilequanto era dilettevole? - O felice il Cartesio- io risposi - al qualevoi vorreste aver obbligo di ogni cosa! Ma di questa conviene averlo a untedescoper nome Kepleroa cui la fisica haparecchi altri obblighie non piccioli. Credevasi comunemente ne' tempiaddietroche dalle superficie dei corpi traspirassero del continuoe siandassero distaccando certe membraneo pellicellea guisa di effluvi: e questepellicelleche chiamavano simulacrisomigliantissime a' corpi donde partivanovolavano per ariaed entravano poi nell'occhionon si sa comee vi recavanodentro una fedele immagine delle cose poste al di fuori. Così spiegavano ilcome per noi vedeasi; o piuttosto così folta era la nebbiache ricopriva leviste di quei filosofi. Presentemente è chiaro ogni cosaper la similitudineche ha l'occhio con la camera scurache camera ottica medesimamente si chiama.Gli oggetti mandano raggi da ciascun punto a traverso della pupilla all'umorcristallino; ed essoriunendogli in altrettanti puntirestituisce la immaginede' medesimi oggettie la porta sulla retina. E perché i raggi che formano leimmagini degli oggetti si uniscono dietro all'umor cristallino a varie distanzesecondo la varia distanza donde procedonoperciò è necessario che la retinasi faccia quando più dappresso all'umor cristallinoe quando se ne allontani;acciocché la immagine di ciascun oggetto possa nell'occhio riuscir netta edistinta. Nè più nè meno che nella stanza buia convien fare col foglio dicarta; che se non è posto ivi giustamentedove per la refrazione della lenteconcorrono i raggi di un oggettola immagine di esso ne torna sfumata econfusa. A tale effetto si vuole sieno ordinati certi muscoli che fasciano ilglobo dell'occhio. Ciascuno de' quali ha in oltre un proprio e particolar suoufizio: questo di volger l'occhio all'in suquello all'in giù; questo adestraquello a sinistra; ed uno ce n'èal cui governo presiede chi governabuona parte della nostra vita. Muove esso obliquamente l'occhioe gli dà quelmuto favellareche suole essere più eloquente e più caro di qualunque piùespressa parola. Tutti dipoi insieme quei muscoli si vuole che concorrano aportare la retina ora più dappresso all'umor cristallino ed ora adallontanarnela; secondo che da noi or qua or là si viene rivolgendo la vistaed ora quella cosa si adocchia ed or questaposta più vicina o più lungi danoi. Ma qualunque sia l'ingegnoper cui si ottenga di conformar diversamentel'occhiosecondo le varie distanze degli oggettici sono di quelli che perproprio difetto noi possono conformare in maniera da veder distintamente le coselontanee dagli ottici sono detti miopi: ed altri all'incontroche noi possonoper le vicinesono detti presbiti. - E per questi tali- disse la Marchesa -mi penso sieno fatti gli occhiali. - E di varie specie occhiali - io risposi. -Gli ordinari non sono altro che una lente convessa da amendue le bande; etrovati furono solamente quattrocento anni fa a consolazione de' presbitio siade' vecchi. L'uno de' tanti incomodi che mena seco la vecchiaia è lo appassiredell'occhioe il soverchio accostamento della retina all'umor cristallino. Daciò ne viene che i raggi degli oggetti viciniche dalla lente sono raccolti piùda lontanoarrivano alla retina prima di essere riunitie vi stampano unaimmagine confusa e sporca. - Non maraviglia dunquedisse la Marchesa - secotesti vostri presbitiquando hanno da leggere una letterae non trovano gliocchiali in prontola tengano molto lungi dall'occhio. In tal caso la immagineche cade all'umor cristallino più vicinapuò riuscir netta e distinta. - Esimilmente avviene - io soggiunsi - setenuta la lettera alla consuetadistanzala lente dell'occhiale aiuti la refrazione del cristallinoe faccia sìche i raggi si uniscano a minor distanza a esso che fatto non avriano:malinconie per altrodelle quali non si conviene parlare a chi hacome voi

 

chiar'almapronta vistaocchio cerviero.

 

A voiMadamasi conviene piuttosto parlare degliocchiali de' filosofi; voglio dire dei microscopi e telescopimercé i qualipur possono contentare in parte e sbramare la loro curiosità. Di moltissimioggetti avviene che la immagine non riesca per conto niuno sensibile alla nostravistaa cagione della estrema sua picciolezza; di alcuni oggettiperchéminutissimiquantunque a noi sieno vicini; di altriperché da noi sommamentelontaniquantunque in sé sieno vastissimi. Intorno a quelli si adoperano imicroscopii telescopi intorno a questi: e per via di varie sorte di lenti inessi congegnate ingrandiscono quelle piccioline immaginiper modo che ci è oradato veder quello che altre volte non vedeasi; o vedere con distinzionegrandissima ciò che solamente vedeasi così in confuso. Non si potrebbono maiesaltare abbastanza così nobili trovatide' quali siamo debitori al nostroGalilei cheprese di Linceo meritamente il nomee resesi potrebbe anche direlincei gliocchi dell'uomo. Cogli aiuti del telescopio l'uomo si è fatto più d'appressoal cieloe si mescolain certo modocon le cose che tanto sono al di sopra dilui. Quante stelle non siamo noi giunti ad scoprireche isfuggono l'occhionudo? E la via latteache veggiamo biancheggiare la nottee stendersi dall'unoall'altro polonon è altro che una moltitudine infinitauno esercitoinnumerabile di stelle. Delle montagne e de' valloni che sono nella lunasaràsenza dubbioMadamagiunta la voce anche a voi. Sono esse pure una scopertade' telescopii quali nelle macchie di quel pianeta ci hanno fatto vedere dellebassure e delle alture grandissime: a tale che ce ne ha che superano di moltoqueste nostre Alpi. Per via poi delle macchie che ci hanno mostrato sulla facciadi Giovedi Marte e del solesiamo pervenuti a conoscere il giro ch'e' fannointorno a se stessi. E solamente dal passato secolo in quache sonosi trovatique' belli ordignisappiamo che Giove ha intorno di sé una corona di quattrosatelliti o luneche vogliamo chiamarle; e Saturno ne ha unadi cinquecon di più un bello anello luminoso che gli aggiorna di continuo le notti. Per essi finalmente si conobberocon precisione le grandezze de' pianetiquelle distanze di tanti milioni dimiglia che sono tra essi e noi; si è venuto in chiaro del vero sistema delmondo; e se già disse un antico poeta che Giove guardando la terranon vipotea veder nulla che non fosse trofeo dell'armi romaneforse i filosofipotrian dire al presente cheguardando il cielonon vi può veder cosa che nonsia scoperta e quasi conquista de' telescopi. Feci io qui un po' di pausa. E laMarchesa riprese a dire: - Con tali e si magnifiche parole avete voirappresentate le gesta de' telescopiche non so già io qual figura vi potrannofare i microscopi al paragone. - Di moltoMadama- io ripigliai - hannodisteso anch'essi i confini dell'umano sapere. Se i telescopiallungando lavista degli astronomine hanno fatto conoscere mondi remotissimi da noie imicroscopi ne hanno fatto conoscere noi stessiassottigliando la vista deglianatomici. E se gli unimostrandoci le valli e i montila notte e il giornoche a somiglianza della nostra terra hanno ancora i pianetine hanno fornitoargomenti per non credergli paesi oziosi e mortima abitati anch'essie glialtri ne hanno veramente mostrato innumerabili nazionidirò cosìdi viventiincognite agli antichie in cose che non pareano gran fatto acconce ad essereabitate. In una gocciola di aceto e di altri liquori moltissimi vi si èdiscoperta una tal popolazione di animaluzziche la Ollanda e la Cina sono inparagone un deserto. Lascio poi a voi a pensareMadamaquanto minutissima siala picciolezza di quegli animaluzzi. Basta dire che dentro a un granello dimiglio ce ne capirebbono i milioni. Né pare che sia meno mirabile di quellestrabocchevoli grandezze che ci ha fatto conoscere il cannocchialequellapicciolezza incredibileche pur ci ha fatto vedere il microscopio.

- Ben pare - disse la Marchesa - che l'uomo tengadel divino; là singolarmentedove ha saputo col suo ingegno trovare aiuti ondeaccrescere la picciolina sua forzae farsi come maggiore di se medesimo. Masovra ogni altra cosa ammirabili mi paiono questi strumenti per cui ora lanostra vista si stende quasi in infinito di qua e di là degli strettissimiconfini che pareva averle prescritti la natura. Che cosa vedevanosi può diregli uomini avanti la invenzione del cannocchiale e del microscopio? Non altroche la scorzae un barlume delle cose. Starei per dire che gli antichiriguardo a noifossero quasi ciechi. - In questa parte non è dubbio - iorisposi. - Sebbeneciechi erano reputati coloroo almeno aver le traveggoleiquali vedeano con quegli strumenti quelle tante cose che hanno di tanto ampliatola sfera del nostro sapere. Ben ebbe a provarlo il nostro Linceo medesimoalquale toccò di pagare assai cari i benefizi che colle sue scoperte si avvisòdi fare all'uman genere. - Come? - ripigliò in atto d'impazienza la Marchesa. -Non si alzarono le statuenon si arse l'incensonon si appiccarono i voti a untal uomo? - Al contrario- io risposi - la ricompensa che egli ebbe fu lastessa cheper avere discoperto un nuovo mondoavea avuto alcun tempo innanziil Colombo: accuseprocesso e carcere. Né altrimenti succede a coloro i qualia fil di ragione pigliano a combattere le opinioni radicate nelle menti degliuominie colla verità alla mano fannosi ad atterrare gl'idoli dellaprevenzione. Le discoperte del Galilei contraddicevano a quanto insegnavano imaestri di allora sulla struttura del corpo umanoe sulla fabbricasingolarmente de' cieli; andavano per diritto a ferire quanto sulla parola diAristotele credevasi a quei tempi nella filosofia essere più solenne e piùsacro. Ed ecco quanto bastò perché egli fosse contrariato da ogni parteperseguitatocondannatotenuto reo. Oltre di che le nuove scoperte sidisprezzavanoperché nuove; gli errori che messo aveanodirò cosìtantisecoli di barbasi sostenevano come le verità le meglio dimostrate. Tanto èvero che la caligine dell'antichità suole ingrandire nella nostra apprensival'altrui meritocome appunto gli oggetti per nebbia sogliono apparir piùgrandi del giusto. Né io mi maraviglierei punto che anche al dì d'oggi alcunici fossero tra noitanto innamorati delle cose antichei quali facesseromaggior caso dei sogni di Parmenidesecondo cui il sole è freddo e caldolavia lattea un miscuglio di denso e di raroche de' più bei trovati de' nostrifilosofi. - Per quanto venerabile - riprese a dir la Marchesa - essere possa lanebbia o la barba dell'antichitànon credo però già io il facesserounavolta che avessero veramente assaporata la filosofia modernache con tantachiarezza rende le ragioni delle cosee udito avessero quanto da voi mi èstato esposto sinora.

- Peccato- io risposi - Madamache tutto quelloche avete udito non sia per star saldo alla prova. Non dico già che dobbiateaver dubbio alcuno intorno al refrangere e riflettere della luceche abbiamodiscorso; intorno alla perfetta similitudine che corre tra la camera oscura e ilnostr'occhio: né che dobbiate ritrattarvi della rinunzia che avetegenerosamente fatta del coloreche tenevate più vostrodel misto di rose e diligustri. Ma finalmente del sistema del Cartesio voi dovete fare quel contoenon piùche si vuol fare d'un bel giuoco di fantasia. - Ecco adunque soggiunse qui prestamente la Marchesa - che la miglior parte del miosapere è ita in fumo. Con quanta facilità non poteva io render ragione dimille cosee tra le altre formarmi dentro alla mente qual colore più mipiaceva? E Dio sa quanti pensieri mi costerà da qui innanzi una sola mezzatinta! Io vi confesso che mi sa malagevole a dovere abbandonare il Cartesio: eio pur mi sentiva affezionata a quel suo sistema. - Ma senza dubbioMadama- io risposi -molto più il sarete alla verità. Il sistema del Cartesio ebbecome Ercolesin dalla culla di gran nimici a combattere; maal contrario di Ercolequasiche nella culla medesima fu spento. Appena comparì al mondoche fu obbiettatoda alcuni come il lume delle stelle non potrebbe in niun modo giugnere a noiperché la pressione di un vortice rintuzza ed uguaglia la pressione degli altrico' quali è in equilibrio; cosicché lungo i confini di ciascun vortice la luceè come ammorzata da una contraria luce. Da altri più sottili esaminatori dellecose naturali fu poi mostrato lo imbarazzoanzi la impossibilità che avrebbonoi pianeti a muoversi nei vortici del Cartesio; e molto più le cometeche vigirano talvolta per un verso contrario a quello de' pianeti. - Non mi diceste giàvoi - soggiunse qui la Marchesa - che dal vortice sono portati in giro ipianeticome giù a seconda sono portate le navi da una corrente? - Così è -io risposi; ed ella: - Pel giro adunque de' pianeti pare non ci abbia luogodifficoltà alcuna. Niente immaginare potrebbesi di più chiaro. E tra lecorrenti del vorticeche vanno tutte per un versonon potria egli avvenire chese ne formassero alcuneche andassero per un verso contrariocomeperrivolgimento delle acque ritroseavvenire pur talvolta si vede ne' fiumi? E nonpotrebbero esse correre per di assai lunghi trattiatteso la vastità medesimadel vortice? E queste correnti contrarie saran desseche ne porteranno lecomete a ritroso e per un verso contrario a quello de' pianeti. - L'amore - iorisposi - che avete posto nel vostro Cartesiovi rende più ingegnosa che mai.E ben voiMadamacercate ogni viacome fanno i veri amanti; vi atterreste adogni ragioneper non dipartirvi da lui. Se i pianeti non facessero altro chegirareo danzare a tondonon ci saria che dire. Il male si è che il fanno concerte particolaritàcon certe tali leggile quali non ci è versoper quantitentativi sieno stati fattidi aggiustarle con quello che vorrebbe la proprianatura e l'indole del vortice; e guastano ogni cosa. E quanto al vostro sistemadelle cometeben può ne' fiumi venirsi formando alcuna corrente contraria alfilo dell'acquaper la più o meno profondità del letto del fiumeper lavaria posizione delle sue riveo che so io. Ma simili causecome trovarle nellibero corso di un vortice nell'ampiezza del cielo? senza che qualche particolarcorrenteche si venisse anche formando sarebbe assai prestamente vinta dallacorrente generalee quivi si perderebbe; come vediamo appunto avvenire ne'fiumiche il filone dominantea parlar cosìdell'acqua porta via seco eassorbe ogni cosa. In una parola molte e gravissime obbiezioni furono mossecontro a quel sistema che ha trovato tal grazia dinanzi a voie per cui hatanto combattuto il fiore dell'accademia di Francia. Ma una tra le altre ce n'èche gli dà l'ultimo crollo.

 

Quivinon fanno i Parigin più testa.

 

- E qual è mai - disse la Marchesa - questa cosìterribile obbiezione? - Ecco quaMadama: - io risposi - la pittura di questomuro è quello che gli fa così cruda guerra. - Se egli non ha a temere -soggiuns'ella - altro nemicoio fo tosto cancellarla quella pittura. - Oramai -io risposi - il vostro amore per il Cartesio non conosce più terminenè segnoalcuno; che gli vorreste anche sacrificare il vostro Paoloche ha saputo così ben ritrarre su questo muro lapittura omerica dell'ira d'Achille. Ma troppe bisognerebbe cancellarnedelle pitturee secondo l'uso d'oggidì dar di bianco a ogni cosa. OrsùMadamaio pianterò questo mio coltello qui nella tavolache è in mezzo dellagalleria. Voi rimanetevi qui; io andrò a pormi là in quel canto. Or benevoiMadamatenete l'occhio fisso nella clamide rossa di quell'Achille; ma fate ditraguardare per mezzo l'estremità del manico di quel coltello. - Volete dire -ripigliò qui la Marchesa - che io faccia come i cacciatoriquando prendon lamira. - Così per appunto - io risposi. - E intanto che voi state mirando quellaclamide rossaio traguardo per simil modo quell'azzurro del mare; cioèprendendo la mira anch'io per mezzo alla estremità del manico del medesimocoltello. Ora egli è indubitabile che iviper quel punto per cui da noi sitraguardapassa un raggio che viene dalla clamide ed uno che viene dal mare. Iquali due raggi altro non sono se non due filze di globettil'una delle qualisi stende dalla clamide al vostro occhiol'altra dal mare al mio. E ancora èindubitabileche questi due raggi si tagliano insieme nel punto da noi presoper mira; e però si trova ivi un globettoche è comuneed appartiene cosìall'un raggio come all'altro. - Io non vedo ancora - disse la Marchesa - dove sivada a parar la cosa. Ed io: - Acciocché quei raggi facciano impressione innoisarà mestiero che i globetti del raggio che viene dalla clamide premanodalla clamide sopra il vostro occhio; e i globetti del raggio che viene dal marepremano dal mare sopra il mio. E così quel globettoche si trova esser nelpunto per dove da noi si traguardae che appartiene ad amendue questi raggibisognerà che prema a un tempo e sopra il vostro occhio e sopra il mio. Chesarebbe lo stesso che dire cheessendo voi in capo di due vialivi avviastenel medesimo tempo e per l'uno e per l'altro. E questo non è il tutto. Parmiperò - disse la Marchesa - essere tanto che basti a rovesciare ogni cosa.Bisognerebbe ancora - replicai io - che in quell' istesso globettosolido comeegli èci fossero due differenti moti di rotazione a un tempo: quello che èvoluto dal Cartesioper muovere in voi l'idea del color rossoe che dallaclamide scorre per il vostro raggio; e quello che è necessario a muovere in mel'idea dell'azzurroe che dal mare va scorrendo per il raggio mio. Voicomprendete adunqueMadamache con questi globetti non potremmo veder nulla diquello che noi pur veggiamo. - Comprendo ora - ripigliò la Marchesa - conquanta ragione dicevasi della poca fede che si vuol dare a' sistemi difilosofia. Ma certo non avrei pensato mai che questo dovesse dare in terra cosìfacilmente. - Lo stesso Mallebranchio- io risposi - una delle più fermecolonne del cartesianismofu scosso egli medesimo da quella difficoltà; e pensòdi metter mano nel sistemacercando di assestarlo in modo che non repugnasseall'esperienzeche con ragione furono da lui chiamate revelazioni naturali. - Evenne egli poi fatto -disse la Marchesa - a cotesto Mallebranchio di raddrizzarein qualche modo l'edifizio?

- Il Mallebranchio - io seguitai - ha fatto inpicciolo nel sistema della luce quello che nel sistema del mondo avea fatto ingrande il Cartesio. Per ispiegare i moti de' pianeti aveano immaginato gliantichi ch'e' fossero portati in giro da certe sfere solide dette epicicli: eper render ragione delle varie apparenze di essi motifacevano entrare cosìsgarbatamente quegli epicicli gli uni entro degli altrich'era proprio unaconfusione; lo che diede motivo allo scandaloso motto di quel re matematico: chese Iddioquando fece il mondol'avesse chiamato a consigliol'avrebbe assaimeglio consigliato. Il Cartesioper far giocare i pianeti più liberametesostituì a quegli epicicli i suoi vortici. E similmente il Mallebranchiopermeglio spiegare gli effetti della lucein cambio dei globetti duri immaginatidal Cartesiovi sostituì dei vorticetti di materia sottile od etereapicciolissimi e fluidissimide' quali ha riempito nel mondo ogni cosa. Il corpoluminosodic'eglia guisa di cuore nell'uomosi ristringe a ogni momento e sìdilata; il che è causa di ondeggiamento nel mare dei vorticettiche da ognilato l'attorniano. Ora questi ondeggiamenti medesimi sono la luce; e la varialoro celerità il colore. Di qui egli ricava un'assai stretta parentela checorre tra la luce e il suonoond'altri non s'era avvisato per ancora. Gliondeggiamenti che concepisce una cordaquando percossae ch'essa comunicaall'ariae l'aria dipoi all'organo dell'uditorisvegliano in noi il sentimentodel suono; e gli ondeggiamenti che da una fiaccola vengon comunicati allamateria etereae quindi al nervo dell'occhiorisvegliano in noi l'idea dellaluce. Nella maggiore o minor forza degli ondeggiamenti dell'aria sta la maggioreo minore intensione del suono; enella maggiore o minor forza degli ondeggiamenti dell'etere sta la maggiore ominore intensione della luce. Anzia quel modo che la varia frequenza nelguizzar dell'aria fa la varietà de' tuonicome graveacutocon quelli chesono di mezzocosì la varia frequenza nel guizzar dell'etere fa i vari colorirossogialloe gli altriche si possono considerare come i tuoni della luce.- Io non so - disse la Marchesa - se mai similitudine sia statae direi anche da certi nostri oratorispintatant'oltre. E più oltre ancora lo è - io risposi - da cotesto filosofo. Non èdubbio che i vari ondeggiamenti dell'aria si tagliano insiemesenza che l'unorechi un minimo turbamento all'altronon che si distruggano tra loro: comeveggiamo tutto dì avvenire nei concerti di musicadove il violino non siconfonde col bassoo il basso col violino

 

edove in voce voce si discerne.

 

Persimil modoè ben naturale a pensare che succeda dei vari ondeggiamentidell'etereche dai diversi colori delle cose si trasmettono a varie parti; iquali potranno tagliarsi fra di loro senza confondersiovvero alterarsi inalcun modo. E ciò perché un vorticettoche sia comune a due filze cheondeggianopotrà da una parte ondeggiare per un verso e dall'altra perl'altrodividendosiper la medesima cedevolezza delle sue particome in due.E così i vorticetti del Mallebranchiomercé la fluidità lorovagliono a farquello che non potean fare i globetti del Cartesiocolpa la loro solidità.

- State: - qui m'interruppe la Marchesa - chi veggoio là nel giardino? Il signor Simplicio che viene alla volta di noi. Che partito prendere per difenderci daquella noia di sonetticon che egli mi rifinisce; e ciò non falla maiin ognisua visita? Ché non viene un qualche vortice a seco rapirloe a torlo via dalnostro sistema? - Alla quale io risposi: - Madamanon vi lasciate vincere atroppa pulitezza; tenetevisempre in sulla filosofia: ed ella sarà il vortice o l'Apolloche ne salveràda tale seccaggine. -La Marchesa disse che le piaceva. Mentre tra noi erano questi ragionamentiedecco il poetail quale in sul primo abbordo prese occasione da un "comesta ella?" di ragguagliarne che da un tempo in qua pareva lo avessero inira le Muse; che la vena d'Ippocrene e dell'usato ingegno era omai secca perlui. Avendogli noi fatto il piacere di contradirgliegli ne rispose esserpresto a provarne quanto detto ne avea con due sonetti e con una canzonecomposti in quella istessa mattinada' quali ben avremmo potuto conoscerequanto poco gli prestasse Apollo di quel favore del quale altre volte gli solevaesser così largo e cortese. - Quando sia così- riprese la Marchesa - io permese fossi voivorreimi or ora spoetare. Venite terzo tra noi a ragionardella luce e de' coloriche hanno oggi fatto la materia de' nostri discorsi: equesti boschetti diverranno un'Arcadia di filosofia. - Egli se ne schermìdicendo non aver ala così robusta da salir tant'alto. Aggiunse non potersimeglio temperare la severità de' discorsi filosofici che con la poesia; eadduceva l'esempio del divino Platoneil quale non isdegnòdiceva egliconquelle stesse mani che scrissero il Timeo di toccar la cetera: ed entravain più altre novellequando la Marchesa pur ferma a non voler dar retta a'suoi sonettirivoltasi a metornò in sul discorso del Mallebranchiodicendoche veramente con que' suoi piccioli vortici si veniva a scansare la difficoltàche era stata tanto fatale a' globetti; ch'ella per altro non si teneva granfatto sicura della sussistenza di quella riformaper la fresca memoria delledisavventure del Cartesio. - Pur troppo è vero- io risposi - della naturadelle cose umane essere la caducità: - cosa che il signor Simplicio nel'avrebbe confermata con molti bei luoghi di poetiea un bisognoancora co'suoi. - Ma quelloMadama- io continuai a dire - che certamente non viaspettereste maisi è ch'egli è pur forza rinunziare al sistema o allariforma del Mallebranchioper quella medesima similitudine tra il suono e laluceche al primo ispetto gli dà tal aria di verità. Ella vien meno questasimilitudine al maggior uopo. Ogni moto di ondulazioneil quale dal suoprincipio si dilata d'ogni intorno per cerchi via via più grandise viene adincontrar nel cammino un qualche impedimentonon per questo si ristà egli; cheanzi piegando da' lati di quelloe facendogli alaprocede innanzi in cerchiordinati tuttavia. Non vi sovvieneMadamache noi l'altro dì udimmo moltobene il suono di un corno da cacciache veniva di oltre quel colle? Segnomanifesto chenon ostante lo interposto impedimentogiugnevano a noi i cerchiondeggianti mossi dal suono nell'aria. Lo stesso vedremmo avvenire in quellavasca: che se altri vi gettasse dentro un sassolinol'onda non si arresterebbegià nel mezzo di essascontrando il piedestallo di quel gruppo; ma ben sidilaterebbe da ogni latoe cercherebbe con la fluttuazion sua tutta la vasca.Adunquecome si ode il suonodovrebbesi ancor veder la lucead onta diqualunque cosa frapposta. In conclusione non avremmo mai ombra; chemassime aquesti dìnon sarebbe la più dilettosa cosa del mondo: come neppur l'avremmocon la pression del Cartesio. Ogni globetto di lucetoccandone molti altria sécontiguie questi toccandone degli altridovrebbe col suo premere sparpagliarla luce per qualunque versoe illuminare anche colà dove non può dirittamenteil sole. Talché nel colmo della mezza notte ci vedremmo così chiaro come dibel mezzodì. - Ecco - disse la Marchesa - una nuova difficoltà contro alsistema del Cartesiodi cui per altro io non avea bisogno a sapere da quantoegli fosse. - In fatti - io ripigliai  avremmosempre luce senza interrompimento d'ombratanto nella supposizione delCartesioquanto in quella del Mallebranchiosiccome ha dimostrato il Neutono;il quale non si contentò di scoprire nell'ottica gli errori altruiche visostituì del suo le più belle verità.

Dette queste cose noi scendemmo nel giardino apigliare un poco d'aria. E quivi entrammo in altri discorsicercando peròsempre di distornare in un modo o in un altro la vena poetica del signorSimplicio.

 

 

DIALOGOTERZO

 

Esposizionedel sistema d'ottica neutoniano.

 

Non così tosto io fui avvertito la seguentemattina che erano aperte le stanze della Marchesache io mi vi rendei; e dopo iconsueti convenevoli: - Madama- io presi a dire - sete voi ben preparata adentrare nel sacrario della filosofia? Ben sapete che ne sono esclusi i profanie coloro che sonosi lasciati vincere ai globettiai vortici e a simili altremondane immaginazioni. Prima di farsi alla sogliaconviene purgar del tutto lamente da quella vana curiositàdove ha radice la superba follia degli autoridi sistemi generali; conviene ricordarsi chein pena di tal peccapare chesieno condannaticome il Sisifo de' poetia rotolare e a innalzar tuttavia digran sassiche hanno tosto a rovinare al basso. - Indarno adunque - disse laMarchesa - sarà nato con esso noi il desiderio di sapere il perché delle cose.- Non indarno- io risposi - se un tal desiderio condur ne possa a sapere comeelle sono in fatto. - E sarà poi questo - disse la Marchesa - un così granguadagno? E il saper questo solamente dovrà tanto esaltare il filosofo sopragli altri uomini? - Madama- io risposi - non crederete voi che metta assai piùconto sapere la storia degli effetti che si osservano in naturache perdersidietro al romanzo delle cause? La marcia di un Montecuccolinon è ella più instruttiva di assai che tutte lecorse non sono de' cavalieri erranti dell'Ariosto o del Boiardo? D'altra partetale si è la condizione dell'uomo che l'assicurarsi come le cose sonoil bendistinguere l'apparenza dalla realitàil saper vederenon è cosa da tutti.Egli sembra che di assai folta nebbia sieno per noi ricoperti gli oggetti;quelli ancora che ne sono più negli occhi. Gli effetti dipoi primitivi edelementarila natura ce gli ha nascostiquasi direicon eguale industria chele cause medesime. E se non si può giugnere a veder l'ordine e la dipendenzache hanno tra loro tutte le parti dell'universoa scoprir le cause primevoinon crederete peròMadamache si faccia un così picciolo guadagno acommettere insieme effettiche pareano tra loro differentissimiriducendoglisotto a un principio comune: e per via di osservazioni ricavare dai particolarifenomeni delle cose le leggi generali che osserva costantemente la naturaecolle quali da essa governato è il mondo. - Sino a qui- disse la Marchesa -io non ho veduto delle osservazioni altra provase non che vagliono moltissimoa distruggere. Un sistema è egli belloelegante e semplice? ecco che tosto glimuovon guerrae non han posa che non l'abbiano posto in fondo. E non so ses'abbia a dire ch'elle tengono un poco dell'umor bizzarro di colui che dalloannientare le cose più belle cercava di salire in fama e di esser nelle bocchedegli uomini. -Tra i sistemi - io risposi - che fecero nel mondo la loro comparsaforse nontiene l'ultimo luogo quello che fu immaginato sulle qualità dei raggi dellaluna; e che potrete aver veduto voi medesima essere anche in voga tra i più. Insul fondamento che la luna presiede alla nottecome il sole fa al giornocheil colore del sole tira all'oro e il colore della luna all'argentoe di similialtre varietàavvisarono alcuni speculativi che i raggi della luna dotatiesser dovessero di qualità totalmente contrarie ed opposte a quelli del sole. Eperò se i raggi del sole sono caldi e secchicome pur essere gli proviamotuttodìquei della luna esser doveano per propria natura freddi e umidi. DaIche ne veniva in conseguenza che fossero anche mal sani. In fatti il più dellepersoneappena che la luna incomincia a innalzarsi sull'orizzonte e i suoiraggi piglian forzasi ritirano in casao credono avere il male di caposetanto o quanto passeggiando all'aria hanno bevuto della malignità del suo lume.Qui ancora inframetter si vollero gli osservatori delle cose naturalie porreun tal sistema al crociuolodella esperienza. Iraggi della luna vennero raccolti insiemeonde invigorire la operazion loronel foco di grandissime lentie quivi fu collocato un termometro; è questo unostrumento che per la dilicatezza e sdegnosità suadirò cosìmostraall'occhio il caldo ed il freddo: è fatto di una palla o caraffa di vetroconun sottilissimo collola quale contiene dello spirito di vinochea ogniminimo grado di calore che sentasi dilata e monta su per il collo dellacaraffae si ristringe a ogni minimo grado di freddo e dibassa. Osservaronoadunque che non si ristrinse puntobenché nel foco di taluna di quelle lenti iraggi della luna umidi e freddicome si credeanovenissero ad esser dilunghissima mano più stretti insiemee più densi che nol sono quando battonodirittamente sopra di noi. Talché oltre al rischiarar le nottie ad inspirarnel cuor degli amanti un non so che di appassionato e languido che dolcementegli attristanon hanno i raggi di quel pianeta qualità altra niuna. - Eccodelle osservazioni - disse la Marchesa - che pur dovrebbono andare a genio ditutticome quelle che lasciano stare le cose bellee ne guariscono da vani emal fondati timori. - I filosofi da sistemi - io rientrai qui a dire -paragonare si potrebbono a quella generazione di statistiche per via disistemi di altra natura promettono mari e mondie dannosi vanto di arricchiredetto fatto le nazioni. E già non manca chi porga loro orecchioché tuttivorrebbono in picciol tempo divenire dottinon meno che ricchi. Se non che gliuni trovansi alla fine di non aver fatto tesoro di altra cosa che di cedole diniun valore; e gli altri di moti di pressionedi rotazione e di simili altrecedoleo false monete della filosofia. Non picciolo adunque sarà l'obbligo chenoi aver dovremo alle osservazionise elle ne guariscono ancora dalle vane emal fondate speranze. A chi mai potrebbono andare a genio

 

larghepromesse coll'attender corto

 

ilvolere abbracciar tutto il mondoe finalmente non istrigner nulla? Meglio èsenza dubbio poter far fondamento su quel poco che uno ha: e il vero filosofo hada rassomigliare a quei savi principi che amano di avere uno stato non tantoestesoquanto sicuro. Benchédi quanto non hanno mai le osservazioni esteso iconfini del nostro sapere? Voi medesimaMadamaconosceste pur ieri comemercéle osservazioni del microscopioha penetrato la nostra vista nel seno piùriposto dei corpie come ha scorso l'ampiezza tutta dei cielimercé leosservazioni del telescopio: e così di mille scoperte bellissime arricchite nevennero la storia naturale e l'astronomia. Non altrimenti che con lo studiodell'osservare si perfezionò la chimicache arriva a risolvere i corpi ne'principionde sono compostie quasi quasi a rimpastargli di bel nuovo; nonaltrimenti la nauticaper cui con tal sicurezza e rapidità si volapresentemente dall'uomo dall'uno all'altro emisfero. Né già vi può esserenascostoMadamacome la medicinadove i sistemi sono tanto pieni di pericolonon si può in altro modo perfezionare ed accrescerese non che ragionandosobriamentee osservandoper così direcon intemperanza. Ma che più?all'osservare attentamente noi medesimial tener dietro passo passo alfanciulloe ai progressi che fanno di mano in mano le facoltà dell'animanell'uomoabbiam l'obbligo del poco che siam giunti a discernere della originee della formazione delle nostre idee nel profondo buio della metafisica. IlNeutono dipoimercé l'arte più fina dell'osservareaperto ne ha i piùocculti tesori della fisica: e dispiegandocome di lui cantò un suocompatriottala lucida vesta del giornone trasse fuori e svelò finalmenteagli uomini le fino allora nascoste proprietà della lucedi quella cosacheanima tutte le altre cose e rallegra il mondo. Le più bellee ammirabili tessiture di essa luce voi vedrete al presenteMadama; e la veritàvi ragionerà nella mente per bocca del Neutono.

Un raggio scagliato dal sole- io ripresi - unraggio di luce per sottilissimo ch'e' siaè realmentesiccome io vi diceaieriun fascetto d'infiniti altri raggima non già tutti di un colore. Alcunison rossialtri ranciati o doréaltri giallialtri verdialtri azzurrialtri indachied in fine altri violati. Primitivi ed anche omogenei si chiamanocotesti raggiciascuno de' quali ha un proprio e particolar colore; e da essimescolati insieme ne vien formato uno eterogeneo o compostocome è un raggiodel sole di color biancoo per meglio dire che pende al doré. E così la luceè la miniera de' sette colori primaridi che si vengono poi dalla naturadipingendo variamente le cose: che non è già da credere ch'alcun raggio sitinga di rosso o di azzurro per la diversità della superficie in cui si scontrao de' mezzi per cui passa; ma dal seno istesso del soleinsieme col lumerecaseco un proprio ed inalterabil colorebenché non veduto da noi. - E come fu -disse la Marchesa - che il Neutono il vedesse egli? - Certo - io risposi - dimolta acutezza qui gli fu bisogno: ma certo è altresìche egli medesimo nonl'avrebbe veduto maiquando i raggi primitivi per natura non fossero tali checadendo tutti con la medesima obbliquità d'uno in altro mezzoper esempiodall'aria nel vetroquesti non refrangessero più e quelli meno; onde vengono astralciarsi e separarsi l'uno dall'altro; e il raggio totale o composto sirisolve in tal modo ne' suoi componenti e parziali. Soggetti a maggiorrefrazione o più refrangibili si trova essere sopra tutti gli altri i violati;a minor refrazione gl'indachi: seguitano gli azzurriappresso i verdiindi igialli e i dorée finalmente i rossiche refrangendo si torcon meno che tuttigli altri. - Nuove e maravigliose cose in vero- disse qui la Marchesa - voi miraccontate di questa luce. Ben parmi che aveste ragionequando mi dicestel'altro dì che nel picciolo tragittoche uno fa di Francia in Inghilterratrova tutto cambiato: non solo la linguail governoi costumigli umori ed ilclima; che tutt'altra cosa è per sino la luce ed il sole. Ma se a discopriretal novità era bisogno di un gran filosofonon sarà manco bisogno di lunghidiscorsi a farla vedere agli occhi volgari. E se bastante si trova essere ogniminima cosa a rovinare un sistemaquanto non ci vorrà egli mai a stabilirquello che sia d'accordo col vero?

- Basta - diss'io - che voiMadamacol pensierofinghiate d'essere in una stanza privata d'ogni lumetrattone quel poco che peruno stretto spiraglio e rotondo v'introduce un sottil raggio di soleonde vienea stamparsi sul pavimento della stanza un'orma luminosao vogliam dire unapicciola immagine del sole medesimo: indi a qualche distanza dello spiragliointendiate trovarsi congegnato un prisma di vetroche per traverso riceva quelraggio. Deve essere il prisma situato in maniera che con una faccia guardi a lavolta della stanzacon l'altra lo spiraglioe con la terza il muro che allospiraglio è di rincontroe con uno degli spigoli guardi il pavimento. Ilraggio di soleche penetra la faccia che guarda lo spiraglioesce dipoi daquella che guarda il muro: di modo che il prismache nel raggio si ficcaquasicuneo lo spezzalo refrange e viene a buttarlo dirittamente sopra il muro dellastanzache allo spiraglio è di rincontro. Ora la traccia luminosache ilraggio refratto imprime su pel muronon è gia simile a quella che il raggioretto imprimeva sul pavimento. Quella era biancae poco meno che rotonda;questa è lunga cinque volte più che la non è largadi figura quadrilungamatondeggiata negli estremi: e in oltre ella è distinta de' sette coloriannoverati poco avanti. Sono essi disposti in una schiera dirittacon talordine che il rosso tiene la parte inferiore; contiguo a questo è il doré;appresso è il gialloindi il verdepoi l'azzurroseguita l'indacoefinalmente il violato sale più su che tutti gli altrie tiene la parte supremadi quella schiera: così però che tra l'un primario e l'altrotra il rosso eil doréil doré e il gialloe via discorrendoci sono innumerabili mezzetinteche legano insensibilmente insieme l'un primario e l'altro.

- Pensate - disse qui la Marchesa - se la scala de'colori sarà perfetta. Non ci è dubbio che l'occhio vi abbia nulla dadesiderare. - Ed io continuai: - Rivolgendo un poco il prisma intorno a sestessoora per un verso ed ora per l'altrosenza punto muoverlo di luogovoiintenderete agevolmenteMadamache il raggio di sole si fa più o menoobbliquo alla faccia su cui cade. Con ciò si viene a mutar l'ordine dellarefrazionee si vede la immagine colorata salire o scendere su pel muro. Sifermi il prismaquando il raggiocosì all'entrare come all'usciresiaegualmente inclinato alle facce del prisma; che allora appunto la immagine èdella lunghezza che io vi dicevae i colori sono anche più belli ed accesi.Tanto che

 

Néil superbo pavon sì vago in mostra

spiegala pompa dell'occhiute piume

nél'iride sì bella indora e innostra

ilcurvo grembo e rugiadoso al lume.

 

-Io mi figuro - disse la Marchesa - questi colori vivissimie comefiammeggiantinella profonda oscurità di quella stanza. Certo che insino a quimolto dilettosa e vaga è questa osservazione; e il cammino che conduce allaverità non è altrimenti coperto di spine. - Ora per render ragione - iocontinuai - di così gran cangiamento converrà dire l'una delle due: o la luceesser composta di varie specie di raggi diversamente colorati e diversamenterefrangibili; e in tal caso il prisma altro non fa che scompagnarli al tragittoche fanno per esso; ed essicosì separati l'uno dall'altrosegnano su pelmuro quella immagine colorata e bislunga: oppure converrà dire la luce tingersidi nuovi colori in virtù della refrazione del prismaed in oltre ciascunraggio aprirsidividersi e dispergersi in più e più altriperché laimmagine del sole torni non solo diversamente coloratam più lunga ancora a piùdoppi che larga; e a questoche fu supposizione di un nostro filosofo dettoGrimaldifu da lui posto nome dispersione della luce. Egli è forzadicochinon ammette la diversa refrangibilitàricorrere alla dispersione del Grimaldia voler render ragione di quelle strane apparenze della immagine del solerefratta al prisma. - Adunque - disse la Marchesa - se di cotesta esperienza nepuò render la ragione tanto il Grimaldì quanto il Neutonola cosa rimanetuttavia in pendente; ed io m'aspettava di dover sentire una prova decisiva pelNeutono. - La prova decisiva - io risposi - la vi darà or ora l'istesso Neutono.Altrimenti non potrebbe sfuggire quella solenne e gravissima taccia che gli fudata da un grande oppositorech'egli ebbenon ha gran tempoin Italia: dicavare cioè da' suoi sperimenti più conseguenze che cavare non si possonoedi avere espressamente da questo sperimento cavata la diversa refrangibilitàde' raggi solari. Ma tanto è lontano ch'egli fosse troppo corrivo a fermare ilsuo giudizioche a trova lui medesimo avere asserito potersi da quellosperimento inferire la dispersion del Grimaldi; ed ancora quelle straneapparenze della immagine del sole poter forse in gran parte avvenire da unadisuguaglianza di refrazioni fatta dal prismanon già con regola costantemaper abbattimento e a caso; e però non potervisi fondar ragionamento di sortealcuna. Adunque per chiarir sé ed altri sopra tal faccendaegli avvisò di farquesta prova. La immagine colorata fatta dal prisma la fece ricevere da un altroprismaposto alla distanza di qualche braccia dal primo. Ma dove il primo eracome il pavimento della stanzaorizzontalel'altro era perpendicolarecome imuri di essao vogliam dire dirittamente in piè; e n tal modo la schiera de'colori che usciva dal primo prisma veniva a battere lungo la opposta faccia delsecondo: il rosso nella parte inferioreil violato su in altoe gli altricolori nel mezzo. Il prisma che è orizzontale refrange i raggi di basso inaltodal pavimento della stanzadove andavano a batterevolgendogli al muro;e questo secondo in piè gli dee refrangere da un latoponghiamo da destra asinistra: e così i raggiche refratti dal primo prisma andavano a ferirdirittamente il murovengono ora buttati a sinistraa ferire il medesimo muroobbliquamente e di sghembo. Non soMadamase m'abbia qui spiegato abbastanza.- E la Marchesa fattomi cenno di sìio seguitai: - E cotesta nuova refrazionede' colori doveva essere il paragone o della diversa refrangibilità neutonianao della dispersione del Grimaldio in fine di quella fortuita disuguaglianza direfrazioniche non è di niun sistema. Ed ecco il perché. Se la immagine delsole fatta dal primo prisma orizzontalee refrangente di basso in altoeradiversamente colorata e bislungamediante una dispersione di ciascun raggioche si faceva anch'essa di basso in altola seconda refrazione del prisma in pièdovea disperger di bel nuovo i raggi già dispersi dal primoe doveadispergerli da destra a sinistrapoiché da destra a sinistra gli refrangeva:con che la immagine del sole refratta da questo secondo prisma avrebbe dovutoesser diversa ne' colori e nella figura da quella del primo. Che se la immaginedel primo prisma era diversamente colorata e bislungaper una accidentaledisuguaglianza di refrazionisallo Iddio quale strana cosa avesse fatto nascereil caso per la nuova refrazione che veniva a patir la luce. Ma ogni altra cosane avrebbe dovuto nascerefuorché quello che richiedeva a un puntino ilsistema neutoniano. E già comprendeteMadamaquel che ciò fosse. Se larefrazione del primo prisma non fa altro che separare i raggi diversamentecolorati e refrangibiliche sono dentro alla lucesicché la immagine del solene riesca colorata e bislungae la seconda refrazione da destra a sinistra nonpuò fare altrose non chedi diritta ch'era la immagineinclinarla sopra ilmuro. Del resto ella dee rimanerein quanto a' coloriquale era dianzi. Assaichiaro - disse qui la Marchesa - mi sembra tutto questo. Se non che io nonintendo onde avvenga quella inclinazioneche voi dite doversi fare dellaimmagine sopra il muro. - Pur agevole vi sarà ad intenderloio risposi - solchéconsideriate essere di necessità che anche dal secondo prisma sieno refrattimaggiormente i raggi violati che i rossi; ciò vuoi dire che sieno quellibuttati più a sinistra di questi. Con che la estremità superiore dellaimmagine andrà a trovare il muro più a sinistra che la inferioreed essatutta verrà quivi ad imprimersi non pur in piedi o dirittama in posituraobbliqua e pendente. Così pur devee può solamente avvenire nel sistemaneutonianoe non in qualunque altro sistema; e così per appunto avviene. Delqual fatto io medesimo co' prismi alla mano ne ho preso certezza più volte.Oltre a ciòse appresso del secondo prisma in piedi ne vengano posti uno o piùaltri parimente in piediacciocché la immagine già refratta dal primotragittando per essivenga a refranger nuovamente e sempre più da destra asinistratutte queste prove tornano a capello con la prima.

- Poiché in favor del Neutono - disse la Marchesa- si è così chiaramente spiegata la naturanon ci sarà oramai più alcunoche non  stia a una tale sentenza. Enel veroper non dir nulla di quella disuguaglianza accidentale di refrazioniche non ne porta il pregiola dispersione del Grimaldi avea in sé non so chedi compostoche non mi andava gran fatto a verso. - Il crederesteMadama? iosoggiunsi - l'oppositoredi cui parlammonon ci volle già stare egli a quellasentenza; che disse non avere in somma il Neutono fatto altra cosa checonfermare la opinione del Grimaldi con di assai piacevoli esperimenti. - Io nonprendo - ripigliò prestamente la Marchesa - tanta ammirazione delle strane coseche può dire unoche pur voglia farsi oppositorequanto io fo dellanegligenza del Grimaldi medesimo. Come non si avvisò egli di mettere alla provala sua opinione con un esperimento così facile come fu quello del Neutono? Eche altro finalmente ci volevase non che collocare in secondo prisma dopo ilprimo? - Ma forse - io risposi - il saper collocare quel prisma era piùdifficile che immaginare un sistema. Vedesi per prova come in tutte le cose cisono alcuni piccioli artifizidifficilissimi a trovarsiedopo trovatipaiono un niente; ed è pur vero quello che diceva un certo valentuomo: quantomai è difficile questo facile! - Anche di questa verità - replicò con boccada ridere la Marchesa - se ne han prove nel nostro mondo femminile. Credete achi ne fa la esperienza tutto il dìche un'acconciatura disinvolta e semplicecosta il più delle volte molti pensierie qualche sdegno.

- E che si dirà egli - io ripresi - aver costatoal Neutono le altre belle sperienzeche da lui furono immaginate in prova delladiversa refrangibilità? - Come? - disse la Marchesa - non resta ella forsebastantemente provata per la sperienza che descritto mi avete: che di altreancora è bisogno? Mi sarei io forse lasciata persuadere troppo presto? - Chipotria pensareMadama- io risposi - che ciò fosse per avvenir mai? Ma ilNeutonobenché quella sperienza sia concludentissimanon vi vuole ancoraneutoniana. Vedete fantasia che può solo cadere in mente a un filosofo.

 

Nonvuol che l'uomo a credergli si muova

sequelche dicein sei modi non prova.

 

-A chi non dovrà piacereripigliò la Marchesadi avere a fare con una personache non vi mette così alle strettee vi lascia campo a fare tutte leriflessioni che bisognano? Or via; che quanto ho udito m'invoglia viemaggiormente di udire. - Madamaio ripresi a dire - fate di tornare colpensiero nella nostra stanza buiae fingetevela non più con uno spiragliosoloma con duepoco lontani tra loro. E i raggi del solech'entrano per queispiraglirefratti da due prismidipingano due immagini colorate sul muroopposto a quello per cui hanno l'entrata. A poche braccia da questo murofiguratevi un funicello biancoteso orizzontalmente in ariadi cui parte ha daessere illuminata da' raggi rossi di una immaginee parte da' violatidell'altra; così però che que' due colori nel funicello hanno da toccarsiinsieme. Ciò si otterrà ora girando quel prisma un pocoed ora questo; poichénel girare del prismail raggio si fa più o meno obbliquogià il sapetealla faccia su cui cade; e si vede la immagine coloratache egli formasalirescenderecamminare su pel muro. Ma ciò non basta. Conviene anche storcere cosìun poco i due prismi l'uno verso dell'altroaccioché le due immagini vengano amaggiormente avvicinarsi tra loro e a combaciarsi insieme. E bisogno in oltreche il muro sia coperto di un panno neroacciocché i colorich'eglialtrimenti rifietterebbenon turbino la esperienzaov'hanno a spiccareanzi amostrarsi quei soli del fu-nicelloe non altri. Or finalmente si pone un prismaall'occhioe si osserva questo funicello; cheper la varia positura delprismaparrà più alto o più basso che non è in fatti. Mettiamo che paia piùalto. Non è dubbio che la parte tinta in violato ha da soffrire maggiorrefrazione dal prismache non fa l'altra tinta in rosso: e però esso funicellodovrà apparire rotto e diviso in due parti; e la violata sarà un po' più altadella rossa. - Nel vero- ripigliò la Marchesa - così pare ch'esser dovesse.- E così - rispos'io - puntualmente succede. Anzi vi diròMadamache tuttequante le varie apparenzeche nascono in questa esperienzarispondono cosìesattamente al sistema neutonianoe non a nessuno altro immaginabileche èuna maraviglia. Facciasi che altri giri pian piano de' due prismi quello chemandava al funicello i raggi violatitanto che in quella vece sopra vi mandigl'indachiche è il colore prossimo al violato: ed allora chi guarderà ilfunicello col prisma all'occhiolo vedràa dir cosìmeno spezzato di prima;e l'una parte di esso si verrà un tal poco accostando all'altraper essere larefrangibilità minore tra i raggi rossi e gl'indachidi quel che sia tra irossi e i violati. Che se per simile modo quella parte d'indaca diverràazzurrarimanendo l'altra tuttavia rossae voi per simile ragione vedrete ilfunicello spezzato meno; e meno spezzato ancora il vedretese di azzurra ellasi faccia verde; e meno ancorase gialla; e sempre menose rancia o doré;sinché fatta rossacome è l'altra parteil funicello non vi parràaltrimenti spezzatoma continuato ed intero per la uguale refrangibilità cosìdell'una sua parte come dell'altra. Questa stessa cosa si dimostra ancora conun'altra simile esperienzache senza tanti preparativi si può fare da ognuno.Pigliasi una carta di due coloriuna metà tinta in rosso e l'altra in azzurro;e ponendola al lume della finestra sopra un tavolino coperto di neroa chi laguarda col prisma apparisce come spezzata in mezzoe divisa in due. Ed io misono pensato di pigliarne una dipinta di quattro colori: rossogialloverde edazzurrocon quell'ordine tra loro che gli ho nominati. A guardarla col prismasi vede divisa in quattro parti: sicché l'una soprastà all'altraa foggia digradini; e l'azzurrosecondo che variamente io andava ponendo il prismaall'occhioora si trovava il più alto di tuttied ora il più basso. Ecomunque si mutino e rimutino le circostanze della sperienzaella semprerisponde così a puntino a' principi neutonianiche meglio non risponde alledita del sonatore uno strumento di bene temprate cordeo a' cenni di belladonna il più provato cicisbeo.

Qui la Marchesadopo essere stata alquanto sopradi sériprese a dire in questa guisa: - Quante mai non sono le prove cheaccumulate si veggono insieme a stabilire e a confermare questa variarefrangibilità! Io per me non saprei immaginare qual certezza possono averemaggiore le cose della geometriacheper quanto ho udito direhanno sole ilvanto della evidenza; e quasi che io mi sentissi tentata di credere non troppoil gran caso si faccia dalle persone di cotesta geometria. - Grandissimo è ildivario- io risposi -    Madamache corre tra il genere di prove su cui si fondano le verità geometrichee ilgenere di quelle onde sono fiancheggiate le verità fisiche. Una sola provadella geometriala quale risale alla essenza delle cose stesseche sono ilproprio suo obbiettovale per parecchie prove della filosofiache non le puòraccogliere se non da molti e molti particolari che prende ad osservare.

 

Quantopiù s'armatanto è men sicura.

 

Leprove nondimeno della varia refrangibilità pare che abbiano una così fattaforzaciascuna per séche vano sarebbe ogni contrasto. E finalmente convienconfessare che quell'uomoche sì forte ora vi stringeMadamanel campo dellafilosofiaera anche il fiore de' geometri. - Vorremo noi dire - ella soggiunse- che il Neutono avea virtù di far divenir geometriche ogni sorte di provecheogni metallo tra le sue mani si convertiva in oro?

- Quell'oro per altro - io risposi fu creduto orpello da alcunie singolarmente da quell'oppositore di cuiabbiamo parlato; il qualetra le altreprese a convincere di falso ilprincipio della varia refrangibilità. Forse egli credette venire in fama coltitolo di oppositore di un Neutono; ma certo egli si fece a contraddire l'otticaingleseperché egli era della setta di coloro tra' nostri uomini che alledottrine forestiere hanno per professione giurato odio e nimistà. - E donde ciò?- disse la Marchesa. - Pare a loro - io ripigliai - che gl'Italiani ci rimettanodella loro riputazionericevendo da' forestieri un qualche insegnamento; essicheconquistata già con le armi la terrala illuminarono dipoi colle scienzela ripulirono con le arti; essi che tra i moderni furono i primi a levar latesta nel mondo letterarioe furono in ogni cosa i maestri delle altre nazioni.Non possono costoro comportare per niun conto che le scienze facciano oracammino verso il Settentrione; e che da molti anni in qua sieno venuti in campogli oltremontani. - E perché mai - disse la Marchesa - non dovea anche a lorotoccare la volta? Stiamo noi pur contenti alle tante nostre glorie di un tempofaconfessando ingenuamente non esser questo il secolo degl'Italiani: né in ciòci rimetteremo punto del nostro onore. Egli è ben naturale che prenda riposocolui che ha faticato di molto; e che dorma alcun poco fra il giorno chi si èlevato prima degli altri di gran mattino. Ma infine che possono eglino apporrealle verità che scoperte furono oltremontie di là vengono in Italia? - Vannodicendo - io risposi - che giace per avventura il serpente tra' fiori e l'erba;che si vuole stare in grandissimo timorenon tra quelle verità vi sia nascosauna qualche infezion d'errore. - Avremmo adunque - disse la Marchesa - dariguardare la filosofia d'oltremonti come le mercatanzie di Levante? Ma al veroconvien pure dar pratica da qualunque paese e' ci venga.

- Pensando così giustamenteMadama- io risposi- come voi fatevoi ben sentirete tutta la forza di un'altra prova delladifferente refrangibilità che nasce dalla varia distanza di focoche i varicolori hanno nella lente; qualunque cosa siasene detto in contrarioda chivolle accecar se stesso e gli altri davanti al lume del vero. Differenti raggicolorati venendo tutti a una lente dal medesimo punto non dovranno già riunirsidi là da essa nel medesimo puntose vero è che gli uni refrangano più e glialtri meno. I più refrangibili che la lente storce più degli altriavranno ilpunto della loro unioneo sia il focopiù vicino ad essa lenteche nonl'hanno i meno refrangibili. Non è così? - Appunto - diss'ella. - E la provaè questa: - io continuai - nella stanza buia al murodove feriva la immaginecolorata del soleil Neutono metteva un libro aperto; e disponeva le cose inmodo che il prisma mandasse sopra i caratteri del libro non altri raggifuoriche i meno refrangibilio sia i rossi. A rincontro del libroe in distanza diparecchie braccia da essoalzava una lente convessa; la qualeraccogliendo inaltrettanti punti dietro da essa i raggi che le venivano dal librone ritraevala immaginecome appunto fa la lente nella camera ottica degli oggetti che lestanno in faccia e sono illuminati dal sole. E tale immagine la riceveva sopradi un cartoncino bianco. Bello era a vedervi i caratteri negrissimi in camporossoe impressi così netti e taglientiche potevan leggersi come nel libromedesimo. Dipoi senza toccare né il cartoncino né la lentefaceva solamentecosì un poco girare il prismaacciocché i caratteri del libroche illuminatierano da' raggi rossiquegli stessi ne venissero illuminati dagli azzurri: edecco che si vedevano sparire d'in sul cartoncino quei caratteri; o almeno viapparivano in campo azzurro così sporchi e confusiche per conto niuno non sene poteva rilevare la forma. Ma accostato un poco alla lente il cartoncinotornavano a farsi vedere bellivivi e taglienticome erano innanzi. - E non fuegli opposto - disse sorridendo la Marchesa - che il libro era per avventurainglese? dove convenivaperché ci si potesse leggere il veroch'e' fosselatino o italiano. Una simile esperienza - io risposi - a cui far non potriasiuna così fortissima obbiezioneho io presa di notte tempo con quattro pezzi dicartal'uno de' quali era dipinto rossol'altro giallol'altro verde el'altro azzurro; e sopra ognuno erano tesi certi reticelli di seta nerachetenean luogo de' caratteri del libro. Ciascun pezzo di carta venivasuccessivamente attaccato nel medesimo sito della muraglia di una stanzaeposto in faccia a una lente. La muraglia era coperta di neroe le cartegagliardamente illuminate da più fiaccole; ma tra esse e la lente eracongegnato un riparoaffinché alla lente non vi giugnesse altro lumesalvoche il riflesso dalle carte medesime. Ciascuna adunque veniva posta nello stessosito in faccia alla lente; ma l'immagine loro distintache pur scorgeasi alladistinzione e nettezza di quei reticellinon si ritraeva già nello stesso sitoal di là di essa lente. La più vicina di quelle immagini era l'azzurrapoi laverdeappresso la gialla; e la rossa era la più lontana.

- Da quanto scorgo - riprese tosto a dir laMarchesa - aver voi operato per questa filosofiaa voi ben si conveniva cantaredella luce settemplice; né io dovea cercarne altro comentatore che voi. Peraltro io non so comprendere come si trovino al mondo persone così ostinate ecaparbieche non si lascin volgere a prove di tanta evidenza. Il foco de' raggidi un colore è più presso alla lente che il foco de' raggi di un altro; gliazzurri concorrono più al di qua che i rossi. Non è egli chiaroquantoappunto la stessa lucela causa non ne potere esser altrose non la differenterefrazioneche provano nella lente i raggi di differente colore? - State pursicuraMadama- io risposi - che per l'altrui immaginazioni il ver non cresceo scema. Si ebbe un bel sottilizzare che in tale esperienza bisognava rimutarealcune circostanzeche in tale altra non si eran prese le debite precauzioni:erano tutti cavilli o falsi supposti; e per tali erano riconosciuti da tutti gliuomini di mente sana. Per qualunque ostinata guerra l'oppositore facesse alladottrina del Neutonoella ebbe la sorte di quel podere vicino a RomadoveAnnibale avea piantato gli alloggiamenti: che messo allora in venditanienteper questo calò di prezzo. Ma che? In mezzo alle acclamazioni del trionfo uscivano le pasquinate dellicenzioso soldato; e il merito sovrano dovette sempre pagare al pubblico la suatassa. Qual fu mai bella donnache non fosse argomento alle altre donne dellacritica più severa? Ci andavastarei per diredella riputazione del sistemaneutonianose non veniva contrariato da più parti. Chi si doveva levar suenegare la diversa refrangibilitàe chi la immutabilità dei coloriche èun'altra proprietà di quelliscoperta dal Neutono. E questa immutabilità fuappunto negata in Franciagià sono molti annidal Mariottofilosofo di non leggieri dottrina e di molto grido.Rifatta da lui la esperienzadonde principalmente dipendeva la decisione di talveritàtrovò la cosa tutto al rovescio che fu trovata in Inghilterra. Grandefu lo scandaloche ne nacque; moltissimo si sparlò delle novelle opinionivenute d'oltremare: e un sistematardo figlio del ragionamento e dellaesperienzafu riposto dalla maggior parte tra le sconciature dell'umanafantasia.

- Donde mai può avvenire - ripigliò allora laMarchesa - che la medesima esperienza mostri a chi una cosaa chi un'altra?Sarebbe mai che la voglia di contraddirel'amore della novitàuna inveterataopinione facessero velo anche all'intelletto de' più riputati filosofi; eaccadesse loro come a coluiche gli par vedere

 

donnee donzellee sono abeti e faggi?

 

-Pur troppo è vero - io risposi - che la maggior parte di essitrattasi la togadi dossosono uomini fatti come gli altri. Il perfetto filosofo è pur cosarara a trovarsicome ben potete immaginare. Oltre alle molte scienzedellequali ha da esser fornitoconverrebbe che tale pur fosseche né autorità mailo movesse oltre al debito segnoné il seducesse fantasiané lo sgomentassedifficoltà niuna; ch'ei fosse destroattivocuriosoe insieme sagacecircospetto e profondo. Tutte le buone parti che qualificano le varie nazioni diEuropatrovarsi dovrebbono in colui che ha da interrogar la naturaesaminarlametterla alle provefar giusta ragione degli andamenti suoi e anchea unbisognoindovinarla. La diligenza poi ha in lui da dominare sovra ogni altracosa. Tali qualità si trovarono riunite tutte nel Neutono: e la sua diligenzaegli allora singolarmente manifestòquando volle dar la prova a' colori eassicurarsi se sieno veramente immutabili e ingeniti alla luceo pure soggettia mutamentoe di essa luce uno accidente e una modificazione. Nella stanzaquant'esser può tenebratatutte le cose si dispongono come innanziperché visi dipinga la immagine colorata del sole. Soltanto si pone quasi per giuntavicino al prisma una lente convessala quale riceve il raggio di sole ch'entraper lo spiraglio della stanza e lo tramanda ad esso prisma: e questoaffinché i colori nella immagine tornino piùseparati e più sinceriche altrimenti non farebbono: ch'egli importa il tuttoche tal separazione diligentementeanzi scrupulosamente sia fatta. La lentetorce i raggi del sole per raccoglierli nel foco; ma refrangendogli il prismaprima che sieno raccolti gli viene a dividereper la varia loro refrangibilitàin altrettanti fochi di vario colore. La immagine in tal modo dipinta si ha dariceverla sopra un cartoncino alla distanza appunto del foco della lente; ed iviapparisce come una striscia sottile tinta di vari colorima oltremodo vivi edaccesi. Nel mezzo del cartoncino ci è un picciolo traforoper cui a mano amano vi possano tragittare i raggi di diverso colore: e dietro al cartoncino negli aspetta un prismail quale gli refrangerà nuovamenteper esempio di bassoin altol'uno dopo l'altro. Se avviene che questa nuova refrazione producaalcun nuovo coloreconverrà dire il colore non altro essere che una certamodificazioneche acquista la luce dal prisma; e sarà lecito a' filosofiallentar le briglie alla fantasiae immaginare quali motiquali figurequalirotazioni di globettiod altrosieno a ciò far necessarie. Se poi il raggioconserva costantemente il suo coloretutte le belle immaginazioni dei filosofie il tempo da esso loro speso nel raccozzarle insiemese ne andranno incompagnia de' versi di tanti poetie delle speranze di tanti cortigiani araggiugner nella luna dell'Ariosto le altre cose perdute. Ora ecco ciò chesuccede. Se due raggil'uno rosso e l'altro azzurrocadano sul secondo prismacolla obbliquità medesimal'azzurro dopo refratto ferirà il muro della stanzapiù in altoche non fa il rossoe i colori di mezzo ordinatamente in varisiti di mezzo; quelli che aveano dal primo prisma sofferto maggior refrazionemaggiore sofferendola anche dal secondoe ricevuti a diritto sopra una cartasegneranno tutti sopra di essa una immaginetta tondae non di figura bislungacom'è quella del primo prisma; e cotesta immaginetta sarà di un color solosenza giunta o mescolamento di nessuna altra tinta che sia. - Lasciatemi pigliariena- disse la Marchesa - che io l'avea quasi perduta nel tenervi dietro. -Basta - io risposi - che con le lunghe mie parole io non abbia pregiudicato allachiarezza delle cose - Non occorre - soggiunse la Marchesa - che abbiate timoredi questo. Io ho raccolto benissimo che la refrazione non fa nulla per laproduzion de' colori; ch'e' sono immutabiliingeniti alla luce; ein oltreche ciascun colore ha un proprio suo grado di refrangibilità. - Ed ioprestamente risposi: - Manco male che io potrei dirvianche nello stile degli Asolanie voi non penereste ad intendermicome questa è la sperienza che ilMariotto rifece in Francia per dar la prova al sistema inglesedove più siopponeva al Cartesio; e trovò che dopo la seconda refrazione aggiugnevasi alrosso e all'azzurro non so che altri colori. E da credere che ciò venisse dadifetto di diligenza; dal non avere il Mariotto bene accecata la stanzasicchévi trapelasse altro lumeoltre a quello dello spiraglio; o piuttosto dal nonavere ben separato i raggi d'insiemecolpa il prisma non abbastanza buono; dalnon avere in somma usato quelle precauzionitanto necessarie all'esito di cosìdilicata esperienza. Da qual cagione ciò procedessefatto è che si levaronoin Francia le grida contro al sistema inglese; e grandissimocome vi dissifuil bisbiglio che se ne fece. Se non chepoco tempo appresso la esperienza fusolennemente rifatta in Inghilterra alla presenza di alcuni letterati uomini francesiivi tratti dall'amordelle scienze; e chiaritisino all'ultimo scrupoloche il Mariottoosservatore peraltro giudizioso e diligenteavea pure fallito quel trattofurono su questo punto accordate le due nazionile quali divideassai più cheil mare frappostogara di dominiodi dottrina e d'ingegno.

Mercé di tal pace filosofica - io seguitai a dire- l'ottica inglese godé per molti anni della più gran riputazione nella dottaEuropa. Quando sursero a un tratto in Italia quei fieri nemici delle dottrineneutonianeche vi ho detto. Non contenti costoro d'impugnare la diversarefrangibilitàaggranellavano sino alle cose rifiutate contro all'immutabilitàdel colore; rimettevano in campo la esperienza del Mariotto; assicuravano chediligentemente da essi rifatta era loro riuscita come al Mariotto medesimo; nonvolevano stare a quella sentenzaalla quale era pur stata la Francia; facevanoquanto era in lorod'intorbidar di nuovo ogni cosa. - Perché forse - ripigliòla Marchesa - si avesse a dire che quella nazionela quale gl'Italianitrovarono una volta così difficilesiccome ho uditoa sottomettere con laforzaora debba trovar noi egualmente difficili a sottomettere con la ragione?- Perché no? - io risposi. - Pureperché anche tra noi fosse chetato ogniromoreio feci sì che si ripetesse la esperienzagià cagione di tantoscandalo tra i dotti di Europa. E ciò fu in Bolognacittà famosa pergl'ingegni che vi allignanoper l'Accademiache ivi fioriscee insieme neutrale nella disputa.- Ben veggo - disse la Marchesa - che si cercò da voi ogni mezzo per togliervia ogni dubbietà ecompor le cose. E crederò facilmente che un ministro di stato condursi nonpotesse con più politicaper iscegliere un luogo atto a tenere un congresso. -Vedete sventura - io risposi - che si oppose al mio buon volere. Benché siusasse ogni maggior diligenza a far la separazione de' colori della immagineeil luogo fosse d'ogni luce mutocome quelle nottiche per nascondere i dolci loro furti sogliono invocare gli amantipurnondimenocontro a ogni nostra espettazione la cosa non riuscì. Aggiungevasi sempre a' colori refratti dal secondoprisma una certa luce azzurrignairregolarea dir veroed instabile; ma cheavrebbe pur bastato a' sofistici di attacco ea un bisognodi ragione. Molti evari furono i discorsi che si ebbero. Alla fine considerando noi attentamente a'dintorni della immagine renduta dal prismaci accorgemmo non essere stati cosìnettiquali aspettare pur si doveano da un prisma limpido e sincero. Ancoraluccicava intorno ad essi un certo lume azzurrigno di una medesima qualitàappunto con quello che si univa a' colori refratti per la seconda volta; ealcune strisce di questo lume tagliavano la immagine per più versie venivanoin certo modo a coprirla di un velo. Sicché ben ne pareva esser certi cherefrangendo irregolarmente la luce nel prismanon fosse possibile ad aversinella immagine quella perfetta separazione de' colorich'era assolutamentenecessaria al buon esito dell'esperienza. E di fattosperando il prismaall'ariachiaro appariva non esser netto; ma vedeasi sparso di moltissimepulichedi bocciolinee razzato di vene qua e là: e queste pur erano le cause dello irregolarmenterefrangere e dello sparpagliarsi che vi facea dentro il lume. - Qual contentezza- disse la Marchesa - non sarà stata la vostraquando vi chiariste dondeprocedeva il male? - La importanza - io risposi - era trovarvi il rimedio. Eindarno lo cercammo con vari prismi d'Italiai quali ben possono intrattenerel'altrui curiositàe servir di trastullo appesi alla finestra di una villamanon già soddisfare a' bisogni della fisicacosì sono mal ripuliti e nebbiosichi sottilmente gli guarda. In una parolaera presso che morta ogni nostrasperanzaquando la fortuna ce ne presentò alcuni lavorati in Inghilterrapurinobili e lustrantiquali erano le armi di cheal dir de' poetisolevanoanticamente agli uomini far presente gli dei. Se con essi si ritentasse tosto laprovavel potete pensareMadama; e potete anche pensare ch'ella fu vittoriosa.La immagine colorata del sole per essi dipinta riuscì schiettissima senzaadombramento alcunoe senza velo: e i colori refratti la seconda voltarestarono così immutabiliche l'occhio il più sofisticol'occhio dellostesso Zoilo del Neutononon vi avrebbe potuto scorger dentro un minimo pelo di alterazione.

- Forse - disse sorridendo la Marchesa - che havoluto la natura concedere a' prismi inglesi il privilegio di mostrare il vero;a quei prismi cioèper mezzo de' quali lo ha da prima manifestato agli uomini.- Uno assai strano fenomeno - io risposi - sarebbe cotesto. Ma caso è che lerisposte della naturadebitamente interrogata che sianon si contrarian mai esono sempre le medesime. Bene accecata la stanzae perfettamente depurati chesieno i raggi da un buon prismai colorinon che una solama tre e quattrovolte refrattitali si rimangon semprequali realmente sono. Ed ancorachiguarderà col prisma un oggetto illuminato da un lume omogeneorossoverdeoaltro che sianol vedrà punto cangiato né di colorené di figura; masolamente fuori del luogo suo: e i più minuti caratteri posti a un tal lume siveggono distintie si possono leggere senza una fatica al mondo col prismaall'occhio. Dove al contrario i medesimi oggetti posti al lume eterogeneodell'aria o del solee guardati col prismaper la diversa refrazione chesoffrono dal prisma medesimo i raggidi che sono illuminatioltre al vedersipezzati di coloriappaiono altresì sfigurati non poco e confusi. Allora sìche vuolsi lasciare il prisma in balìa de' poetiche se ne servano in quellecomparazioni che non gli fanno grande onore. Quell'inglesedi cui ieri voitanto ammirasteMadamae lasciaste sul bel principio la canzonelo paragonaal falso spirito e alla depravata eloquenzala quale offusca la faccia delveroprodigalizza senza distinzione alcuna gli ornamentie sparge sopra ognicosa la lucentezza de' suoi colori. - Perché non paragonarlo piuttosto - dissela Marchesa - al vero spirito? Le cose semplici non vengono punto da essoalterate; nelle composte sa discernereseparare e distinguere i variingredienti che entrano nella composizion loro; e l'ufizio suo sta nel mostrarneche che sianon altrimenti da quello ch'egli è.

- Madama- io continuai - oramai voi conoscetetanto il prisma e le operazioni sueda poterlo paragonare con franchezza alvostro spirito. Ma non so qual paragone trovereste alla immutabilità delcolorese già non la cercaste nel vostro animo; quando saprete che contro diessa niente ha più di forza la riflessionedi quello si abbia la refrazione: eperò meglio ancora la conoscerete che ora non fate. Se i colorionde paionoessere rivestiti i corpifossero una modificazione che viene acquistando laluce nell'atto dello esser riflessa dalla superficie di quelliun corpo cheapparisce rosso al lume del solerosso dovrebbe apparire altresìposto nellume azzurro della immagine colorata; potendo essocome ha modificato la lucediretta del solemodificare eziandio questa luce refratta e già modificata dalprisma. Il contrario mostrano le sperienze deI Neutono. Vedreste l'oroloscarlattol'oltramarel'erbacon ogni altra specie di cose variamentecolorateche tutte rosseggianose nella stanza buia vi cadon su i raggi rossidella immagineverdeggiano ne' verdiazzurreggiano negli azzurri; e cosìdiscorrendo per tutti gli altri. Con questo peròche ogni cosacome ènaturale a pensareapparisce più vivace e più vaga a quel lumeche è delsuo stesso colore: toltone però le cose biancheche pigliano indifferentementedi qualunque tinta si voglia; come quelle cheper la propria loro qualitàdello apparir biancheriflettono indifferentemente qualunque coloree chiamarsi potriano il vero camaleonte ed anche il Proteo dell'ottica. - E questodiamante - soggiunse allora la Marchesa alzando alquanto la mano - basterebbeporlo ne' diversi raggi della immagine a trasformarlo in un rubinodirò cosìin uno smeraldoin un zaffiro? - Non ha dubbio: - io risposi - e similmentequei minutissimi atomi che volan per ariaallo scorrere che fanno d'uno inaltro raggio della immagineche listan l'ombracambian coloreed hanno giustosembianza di lucidissima polvere or di rubinoor di crisolito ed ora di altrapietra preziosa. Non così fannocome io vi dicevai corpi colorati. Ilcorallo per esempio lo vedreste spiritoso ne' raggi rossiillanguidir ne'verdie negli azzurri presso che spento. Tutto all'opposto il lapislazzoliilquale si mostra brioso negli azzurrismonta o smarrisce ne' verdie piùancora ne' giallied è quasi perduto ne' rossi. Così ogni corpo riflette in grandissima copia o trasmettese èdiafanoque' raggi che sono di quel colore che mostra; gli altri più o menoin proporzione che sono più o meno vicini al suo colore per grado direfrangibilità; ma niuno ha forza di trasmutare il colore dei raggi della luce.Che debbo io dirvi di piùMadama? Immutabile si conserva il colorequand'anche incontri che raggi di differenti specie si taglino tra loro: unverdeper esempioe un violato; un rosso e un azzurro. Dopo l'incrociamentotali si mostranoné più né menoquali erano in prima. In una parolainvincibili si mantengono i colori della lucee somiglianti sempre a semedesimi a qualunque cimentoa qualunque torturadiciam cosìe' venganoposti dalla sagacità de' filosofiqualunque sia l'assalto che loro si dia.

- Veramente - disse la Marchesa - un grande esempiodi costanza si è cotesto; né so se altro somigliante fosse sperabile diritrovarne nelle cose sotto alla luna. - Ben credereiMadama- risposi - cheda straordinaria maraviglia dovessero esser prese le donne gentili all'udire dicotestanon più uditacostanza neutoniana. E ce ne avràson sicuroassaidi quelle alle quali andrà più a sangue la vecchia sentenza: che i colori sonomutabili per natura.

 

 

DIALOGOQUARTO

 

Nelquale si continua ad esporre il sistema di ottica del Neutono.

 

La seguente giornata trovavasi ancora lontano dalmeriggio il solequando si levò la Marchesa: e senza darsi gran pensiero diquello che la mattina suol essere lo studio delle donnemi mandò dicendo comeera del piacer suo cheil più presto che per me si potesseio mi rendessinelle sue stanze. Io mi vi rendei senza indugio; ed ellatosto che mi videsifece a dire così: - Vedete bel frutto che io colgo di cotesta vostra filosofia.Buona parte della notte ella mi ha tenuta destafacendomi or l'una spondacercare del letto ed or l'altra; e quando finalmente vinta dal sonno miaddormentaiimmagini colorateprismi e lentinull'altro che quelle sperienzeche mi avete descritte ieriandavami per la fantasia. - Madama- io risposi -guardate il bell'onore voi mi farestese venissero a risapere che io non vi fosognar d'altro che di prismi e di lenti. - Non dubitate - ripigliò ella subito- io pur aveva il pensiero a voi; io mi studiava d'imitarvi; e andava mecomedesima fantasticando di recare anch'io alcuna novella prova nel sistemaneutoniano. - E non era egli più naturale - io risposi - avere il pensiero alfilosofoe prescindere dalla filosofia? - Per la parte mia- riprese a dir laMarchesa - era più naturaleil confessopensare a tutt'altroche fatto nonho. Troppo male a proposito ho voluto inframettermi a cercare di quello che iltrovarlo non era cosa da me. Una Bradamante o una Marfisa poteano sì beneentrare in lizzae giostrare co' paladini; ma una Fiordiligidovea esser contenta a starsi sul suo ronzinoelasciargli fare. Immaginate da questoquale esser dovesse l'agitazione dellamia menteche si lasciò trasportareio non so comea così arditi ed elevatipensieri. - Alle grandi passioni- io risposi - che più scaldano gli animi egli mettono in azionenoi siamo debitorianche nelle letteredelle cose piùbelle: e ne' tempi appunto che più bollivano le passioni nel mondonacquero laIliadel'Eneidei poemi di Dante e del Miltono. Non so che di maggiore è forse nato la scorsa notte.

- Or vedete sconciatura - ella riprese. - Un raggiodi soleio diceva meco medesimanon è egli un fascettouna moltitudineunamatassa di fili di diverso colore? E dallo essere i vari fili intrigati emescolati insiemenon ne viene egli che bianca ne apparisca tutta la matassa?Ora chi potesse rimescolareintrigare di bel nuovo insieme quei filidopo ched'insieme sono stati scompagnatine dovrebbe di bel nuovo risultare il bianco.Maper quanto io abbia pensato e ripensato al modo da tenersi per venire di ciòin chiaroal come fare una tal provanon mi è stato possibile di venirne acapo. - Per vostra gloria- io ripresi - vi dee pur bastareMadamachepotrete dire di aver pensato nello stesso modo appunto che pensò un Neutono: eben poi si conveniva ch'egli vi liberasse dalla briga di mettere in esecuzioneil pensiero. - E come ha egli fatto? - riprese a dir prestamente la Marchesa. -Più esperienze - io risposi - egli immaginò a tal fine; ed eccovene una. Laimmagine del sole dipinta dal prisma nella stanza buiaegli la faceva caderesopra una lente convessaaffinché i raggi di diverso calore separati dalprisma fossero dalla lente raccolti nel focoe quivi rimescolati insieme. -Verissimo: - disse prontamente la Marchesa - eccola lente intriga di nuovo ciòche avea strigato il prisma. Maohimè! come a me non è bastato l'animo difarlol Tutte le coseche bisognavanoio le avea innanzi; restavami solo acongegnarle insiemee non ho saputo. - RicordateviMadama- io risposi - diquel facileche è tanto difficileed è sempre ultima cosa che si trova. Gliantichi usavano improntar nomi e cifere con forme rilevate e gittate di metallo.Perché non fare di ciascuna lettera dello abbiccì parecchi simili improntiaccozzargli insiemestampare? E forse non vi vollero tre secoli e piùdopo lainvenzione degli occhialia fare il cannocchiale; cioè a congegnare aproporzionata distanza delle lentiche tutto il mondo avea tra mano? e questoistessopiù che degli uominisi può dire opera del caso. A uno indottoartefice di occhiali in Olanda venne un tratto veduta una così fattacombinazione di lentiper cui gli oggetti per esse traguardati ingrandivano dimoltoe ne venivano come trasportati più da vicino. Sparsosi di ciòconfusamente il romore per tutta Europae pervenuto al Galileiegli vialmanaccò sopra; trovò quale esser dovesse quella tal combinazione di lenti; efabbricò il suo cannocchialecon cui si mise tosto a ricercare il cieloe viscoprì quelle tante novità e maraviglieda esso lui annunziate dipoi agliuomini sotto il nome di Messaggero celeste.Ma talimaraviglie ne sarebbono forse ancora nascostese all'occhialaio di Ollandastato non fosse così benigno il caso.

- Veggo bene - disse la Marchesa - che voi mivolete consolata a ogni patto. Ma non è egli vero che quel luogodoveconcorrono i raggi coloratiè perfettamente bianco? - Così è - io risposi. -Bianco veramente si trova essere il bandolo della matassadove fan capo tutt'ifili. Non così tosto i raggi sono passati al di là della lenteche l'uno siaccosta all'altroincominciano a confondersi tra lorosino a tantocheincorporati tutti insiemene risulta una immaginetta tonda e biancao piùpresto tiranteal dorécome era appunto la luceinnanzi che si scontrasse nel prisma. Tuttociò si vede ponendo un cartoncino dopo la lentee quindi via via rimovendoneloe fermandolo finalmente nel luogo dove concorrono insieme e s'incrocicchiano iraggi. Che se viene ritirato più làtornano a poco a poco a svilupparsi e acomparire di bel nuovo i vari colori della immagine. E ciò ben mostra che nelfoco della lente nulla perduto aveano delle naturali loro qualità: ed è forzadire la ragion del candoreche quivi si osservanon esser altro chel'aggregato di tutti i colori.

- Un tal fatto - entrò qui la Marchesa - dovevatenaturalmente avere in vistaquando ieri mi diceste che la immutabilità delcolore si mantiene anche allora che raggi di differenti specie si taglino traloro. Se così non fossenon si vedrebbono di bel nuovo comparire i colori delprisma di là del luogo ove si uniscono. - Su questa esperienza appunto- iorisposi - benché a ciò giustamente non intesaera fondata la mia asserzione;poiché in virtù del legame quasi geometrico che hanno tra loro le proprietàdella luceuna sperienza del Neutono non si ristringe già essa d'ordinario aprovare una cosa sola. - La filosofia del Neutono - disse la Marchesa si direbbe che rassomigli alle guerre degli antichidove una solagiornata ch'e' vincesseroeran soliti conquistare più di una provincia. -Quello che voi dite - io replicai - tanto più è giustoMadamaquanto chepare che la filosofia degli altri rassomigli giustamente alle guerre de'moderni; dove il frutto della più compita vittoria suol consistere in prendereuna fortezzache mediante un trattato si ha da restituire pochi mesi appresso.

- Ma tornando - disse la Marchesa - alla nostrasperienzae chi chiudesse la via a un coloresicché non passasse oltre per lalente? - Anche in questo- io risposi - Madamail Neutono ha prevenuto ivostri desideri. Egli tagliò il passo vicino alla lente ora ad un raggio e oraad un altro; e il colore del bianco cerchietto trasmutavasi in quello che doveariuscire dalla mescolanza dei raggi che scorrevano oltre. Quandoper esempiorestavano esclusi i raggi rossiil candore traeva all'azzurro; ed al rossoquando restavano esclusi i violati e gli azzurri; perché allora predominavanella mistura l'azzurroovveramente il rosso. Che setolto via ogniimpedimentoi raggi tornavano tutti quanti al cartoncino rintruppati insiemeil bianco tosto vi riappariva.

- Oh! qui - disse la Marchesa - vorrei vederel'oppositore del Neutono e sentiredalla di lui propria bocca che sorta di obbiezioni egli potesse fare contro acosì chiare prove e così evidenti.

- Nè queste - io continuai - sono le sole che siabbiano a mostrare che dalla mescolanza di tutti i colori ne risulta il bianco.La immagine colorata che da un raggio di sole disviluppa il prismaguardatelaper modoponendo un altro prisma dinanzi all'occhioche e' ne ravviluppiinsieme i colorie trasformata la vedrete in un cerchio tutto bianco. Ciò sifa in tal maniera. Voi già sapeteMadamache il rosso della immagineche èdipinta sul muro della stanza buiaè nella parte più bassa; sieguono dipoi ildoréil gialloil verdel'azzurroe l'indacoe finalmente il violatocheè di tutti i colori il più alto. Ora immaginatevi che altri postosi dirimpettodi essa immaginee guardandola col prisma all'occhiodebba vederla per larefrazione più giù che non è in fatti: e immaginerete anche agevolmente comeil prisma portando più in giù il violato e l'azzurroche il giallo e ilrossocioè portando più in giù colori più refrangibiliche i menoquellivengono ad accavallarsi sopra questie tutti si confondono insieme nell'occhio.Confusi insieme mostrano il bianco. Guardata per simil modo mostrasi pur biancal'irideo arco baleno che dir la vogliamo; e dispariscono i bei coloride'quali ella dipinge e rallegra il cielo. Essa non è altro che l'effetto dellaseparazione che si fa de' raggi del sole nell'acquosità delle nuvoleche glisono in faccia: e l'occhio nostroche posto è di mezzo tra il sole ed essenuvolevede i coloriche si separano da' raggi solaridisposti in altrettantefasce intorno intorno da lui. Ora tutto l'arco dell'iride bianco apparisceeassai più ristretto di primacome io ho più di una volta osservatochi laguardi col prisma rivolto in modo da fare accavallare le une sopra le altre lefasce coloratenelle quali esso arco è variato e diviso.

- Egli è proprio un danno - disse la Marchesa -che questa così bella esperienza non si possa prenderla sempre che un vuole; eche la pioggia convenga per ciò aspettare ed il mal tempo. Non così avverrebbechi abitasse presso la cascata di un qualche fiume. Non è egli vero che ivigodono ogni giornoche è sereno il cielodella vista dell'arco baleno? - verissimo: - io risposi - se hanno le orecchie del continuo intronate dalromoreche mena l'acqua grandissimohanno anche il piacere di veder l'iridenello spruzzo che si rialza dalla medesima acquala qual rompe ne' soggettisassie si sparge tutto intorno in sottilissima nebbia. Un così bel fenomenosi osserva tutto giorno alla cascata di Ternia quella di Tivoli tanto da'pittori studiatae a quella tanto strepitosa dì Niagara; ed ivi non è guariveduto che dagli occhi poco eruditi degli Americani. Ma ben sapreteMadamachel'arte è giunta a contraffare facilmente un così bello effetto: e oggimai piùnon abbiamo da portare invidia a coloro che ne sono favoriti dalla natura. Ifontanieri sanno rompere così fattamente uno spillo d'acquafacendoloschizzare a traverso di minutissimi traforich'e' si viene a dispergere peraria in una infinità di minutissime goccioline. E sol che uno si ponga tral'acqua ed il solepuò avere a talento suo la dilettosa vista dell'iride. Uncosì bel giochetto mi sovviene di averlo veduto in non so qual villa di Roma. -State pur sicuro: - disse la Marchesa - un simile gioco d'acqua non passeràl'estateche in questo giardino l'avremo anche noi. Potremo quivi a nostraposta veder l'iride ed osservarla col prisma all'occhio: e tal fontana lachiameremo la fontana dell'ottica. - Perché non farle onore - io soggiunsi - diun bel nome grecoe chiamarla Leucocrene? che significa fontana del biancocome Ippocrenefontana di quel cavallo che d'Elicona fece scaturir quelle acquedelle quali tanti hanno setee a pochissimi è dato di berne. - Così lachiameremo: - disse la Marchesa - ed io avrò nel giardino le prove del sistemadel Neutono; come nella galleria ho le obbiezioni contro al sistema delCartesio.

- Intanto - io seguitai a dire - rientrar potremose vi piacenella stanza buia; che vi vo' far vedere una assai vaga cosachemi era fuggita di mente. Tornate col pensieroMadamaa quella esperienzaincui dopo il prisma è collocata una lenteed essa raccoglie i raggi colorati inun bianco cerchietto. Già a voi non è fuggito di mente chequalora l'uno ol'altro de' raggi veniva alla lente intercettoil cerchietto non appariva piùbianco. Ma se altri tirava in su e in giù vicino alla lente un ordigno fatto aguisa di pettinee forte spesseggiavasicché i raggi colorati per via de'denti a quello alternatamente ne venissero intercetti e trasmessisapete voiche avveniva? Il cerchietto non mutava punto coloree rimaneasi bianco deltutto. Le impressioni che i differenti colori fanno nell'occhio di chi guardaduranociascuna in particolareper alcuno spazietto di tempo; ma succedendosil'una dopo l'altra con somma prestezza nello stesso luogo della retinaessevengono per conseguente a scontrarsi tutte in un sito nel medesimo tempoondeviene a generarsi in altrui il sentimento del bianco. E ciò stato confermatoancora con una palla dipinta a spicchi de' vari colori del prismache appariscepur biancagirata ch'ella sia rapidamente intorno a sé - Ecco - disse laMarchesa - delle novelle provee più ancora che non bisognaa mostrare che labianchezza è la confusione o l'aggregato di tutti i colori. - E volete voiMadama- lo soggiunsi - che questo ver più vi s'imbianchicome dice il poeta? Tenetecome ha fatto ilNeutonodirimpetto all'immagine dipinta dal prisma un foglio di cartacosìche i colori vengano tutti a illuminarlo ugualmente. Egli resta bianco come sefosse tenuto all'ariama se si muove più qua che làsi tinge subito di quelcoloreche gli sarà più vicino.

- Certamente - disse la Marchesa - la malconsigliata fui iopensando a cosaa che ci avea pensato tanto un sìgrand'uomo:

 

Commettial savio e lascia fare a lui.

 

Comeavrei io potuto mai trovarne una sola di queste esperienzeper semplici efacili che paiano? - Voi trovate ben facilmente - io risposi - quello chedarebbe di che pensare a' filosofi. A voi si convien più di sapere in qual dosesieno da temperare insieme le cortesie e le ripulsela speranza e il timoreper tener viva una passioneche in qual dose sieno da mescolare insieme materiepolverizzate di più colori per formare il bianco. Anche questo fu provato dalNeutono. E in fatti di tale mescolanza il biancosiccome era suo avvisonerisultò; ma era smortofoscoe come nuvolosoin comparazione di quel biancoche danno i colori del prisma. E non maravigliada che si vede assaichiaramente

 

chequel vantaggio sia tra loro appunto

ch'ètra il panno scarlattoe i panni bui.

 

Senon chemettendo al sole quella composizione di varie polvericon che altronon facevasi che accrescere in lei la forza del lumequel biancodi smaccatoed ottusodiveniva più spiritoso e più vivo. Sì bene: un bianco bellissimoche è il risultato di tutti i colorice lo mostra la schiumache si levadall'acqua agitata con sapone. Chi la osserva da vicinovede le gallozzole obollicelle di essa quasi formicolate di vari colori; mase egli si fa alquantodalla lungeque' vari colori vengono a confondersi insiemee bianca appariscein ogni sua parte quella moltitudine di gallozzole.

- Da quale picciola cosa - disse la Marchesa - nonsi ricava un testimonio e una riprova per una bella e importante verità. Parmiche nella scienza delle cose naturali il più leggieri fenomenounafanciullaggineun niente sia di una così grande importanzaper gli occhi diun bravo osservatoreche nel gioco degli scacchi è tra le mani di un valentegiocatore una pedina. Quella sperienza della schiuma era pur bella e fatta: fupur in ogni tempo dinanzi agli occhi di tutti; e niun altro seppe farla giocarefuorché il Neutono. - Madama- io risposi - voi sapeteche in ogni cosa tuttivedonoe i pochi osservano: e della scienza dell'osservare poco o niun conto nefacevano i filosofi ne' tempi addietroquando acremente sostenevano il coloreesser l'atto del pellucidoinquanto egli è pellucido; che erano dati solamentea studiare Aristotelead interpretarea stiracchiare e distorcere i testi diluiche chiamavano il maestro di color che sanno. Facendosi ancora piùaddietrogià non pare che nell'arte sperimentale si lambiccassero gran fattoil cervello coloro che ragionarono sopra le cose naturali. Seneca ne dàcontezza di una verga di cristallo che gli occorse di esaminare; di una certaspecie di prisma chericevendo da un lato il lume del sole rendeva i coloridell'iride; ed entrato a ragionare della causa a tal effettocrede aver datonel segnoparagonando quel suo prisma al collo di una colombain cui non èaltrosiccome egli diceche un'apparenza di colori falsi ed incerti. Maperpoco che esaminato avesse quel suo prismae fattovi su una qualcheosservazioneavria conosciuto agevolmente da quanti piedi zoppicasse quel suoparagone. - Egli riesce assai strano a pensare - disse la Marchesa - come gliantichi filosofiper dilucidare i loro dubbiper decider le litiche insorgerpotevano nella scienza naturalenon ne appellassero alla esperienza; tanto piùche nella medicina non si può già mettere in dubbio che delle osservazioni nonfacessero gran capitale; quando sia verocome si diceche i loro prognosticisi verificano anche oggigiornoe le loro prescrizioni sono a nostri dottori lapiù fidata scorta ch'egli abbiano. Ma il cuore umano che in quelle loro poesiesapeano volgere a lor talentonon aveano certamente appreso a così benconoscerlose non profondamente osservandolo. - Che volete - io risposi - cheio vi dicaMadama? Non è questo il solo esempioche delle contraddizionic'instruisca dello spirito umano. Non avete voi tante e tante volte veduto lamedesima nazioneil medesimo uomo prudentissimoragionevolissimo in una cosaimprudente e irragionevole in un'altra; benché in amendue gli dovessero puresser di regola le stesse massimegli stessi principi? Nella medicina sitrovarononon è dubbiotra gli antichie in ogni maniera d'arti ancoradegli osservatori finissimidei Neutoni. Non così nella filosofia; doveperla maggior parte dati tutti allo speculativostimavano forse che l'artesperimentale sentisse troppo del meccanico. In troppo picciol conto la tenevano;né si sarebbero avvisati giammai ch'essa sola potesse arrivare a conoscerel'arte finissimail magistero di natura; ch'ella dovesse un giorno pesar lafiamma da essi creduta assolutamente leggieri; pesar le esalazioni sottilissimedel marela traspirazione insensibile dell'uomo; collocare i corpi in un mondodifferentissimo dal nostrocome è uno spazio voto d'aria; imitare per via dicerte misture i Vesuvi e i Mongibellie contraffare il tuono e il fulmine assaimeglio che il loro Salmoneo.Chi poi avesse loro detto chemercé diquell'artele composizionile mescolanze che ha fatto Iddiol'uomo potràsepararle e discioglierleavrebbono fatto le risa grassee contrappostol'autorità del divino Platoneal quale piacque di asserire solennemente che untal uomo né mai ci fu nè in tutta la lunghezza de' secoli stato ci sarebbegiammai. E il Neutono seppe non solo disciogliere ne' loro principi e scomporrei raggi della lucema seppe ancora ricomporgli di bel nuovorimpastargli a suopiacimentoe tali tornargli quali sono da primaquand'escono vergini dal senodel sole e dalle maniquasi direidel Creatore. Pare forse a voiMadamacheio dica di troppo? State ad udire. Entro alla stanza buia egli collocò dueprismie una lente tra mezzo in tali distanze che i raggi del solei qualierano refratti e sciolti dal primo prismae poi riuniti nel foco della lentefossero dal secondo prisma refratti un'altra volta per modo che ne uscisseroperfettamente paralleli tra loro. Con si fatto artifiziodopo aver separato icolori della lucedi nuovo gli rimescolò non già unendogli in un puntomaper tutta la lunghezza di un raggio. Esso era non tanto nella bianchezzama intutte le altre sue proprietà somigliantissimo a un raggio diretto del sole;tanto che rifatte con esso tutte le sperienze che fatte avea nel direttotornavano tutte a capello. Bello era vederese alla lente s'intercettava uncoloreil verdeil rosso od altro qualunquecome quello mancava dipoi intutte le sperienze che si prendevano; né refrazione o riflessione o altra cosache fosse avea potere di riprodurlo. Ancora posti differenti corpi di variocolore in quel raggio artifizialemostravano tutti il proprio colorecome setenuti fossero all'aria od al sole. Ma se vi mancavaper esempioil rossoilcinabro perdeva tutta la sua rossezza; e le viole il loro pavonazzose vi eranomeno i raggi azzurri e i violati. Così il Neutono venne ad emular la natural'arte cioè d'Iddio nella materia (come la diffinisce quello istesso filosofoche non credeva si potesse giugnere a tanto): venne a confermare più che mai leverità dianzi scopertee a dare alla bella opera sua l'ultima mano.

- Oh! questo - disse la Marchesa - è stato il belcolpo di maestro; e se un tempo si favoleggiò di Prometeo ch'egli rubò ilfuoco agli deisi può dire presentemente che il Neutono rubò loro il secretodella composizione della lucee ne fe' parte agli uomini. Già non crederei cherecar si potesse a maggior sottigliezza l'arte dello sperimentare. - Ma perchévediate ancora meglio - io risposi - quanto egli si fosse in quest'arteeccellentissimoe il torto che aveano gli antichi a non coltivarlasappiateMadamache quella medesima schiumadi cui parlammo poc'anzicosì pocofilosofica dinanzi agli occhi dei piùfu per esso il principal motivo ondescoprire il perché altre cose appaiono di questo coloree altre di quello. - Enon avea egli trovato - disse qui la Marchesa – che viene dal riflettere chefanno raggi di diverso colore le une in maggior copia delle altrequestotaffettà i giallil'erba i verdiil cielo gli azzurri? - Sìcertamente: -io risposi - e ben egli erasi assicurato che tutti i fenomeni de' coloriondesono dipinte le cosenon risultano da altro che da separazioni o misture diraggi difformi; e che se i raggi della luce fossero di un color solodi uncolor solo medesimamente sarebbe tutto il mondo. In tale certezza sarebbesiforse acquetato qualunque più sottil filosofo; ma egli si accese più che mainella voglia di sapere più là. Per che ragione cotesto vostro taffettà amaeglipiuttosto che tutti altri raggidi riflettere i giallil'erba i verdi?Simili domande egli ardiva fare alla natura; e vedete industria ch'egli usòper ottenerne risposta. Egli si pensò di soffiare con un cannellino in quellaschiumaperché in mole alquanto considerabile ricrescesse una di quellegallozzoleche levava qua e là. Quindi posata leggermente la gallozzolafattasi mai più panciuta che non era primasopra di un tavolinola ricopersecon un vetro a difenderla da quel po' d'ondeggiamento che è sempre nell'ariaeche poteva turbar la sperienza. Ciò fatto egli osservava che in breve spazio ditempo la si andava spargendo di vari colorii quali si stendevano l'uno dentrodell'altro intorno alla sommità di quellaa guisa di altrettanti anelli. Masecondo che il velo d'acqua ond'era formata si faceva di mano in mano piùsottile in cimae più grosso all'in giùdiscendendo l'acqua del continuo. sivedevano quegli anelli slargarsi a poco a pocoe venire ordinatamente essiancora all’in giùsino a tanto che si dileguavano dalla vista uno dopol'altroe il velo della bolla si scioglieva nell'aere in un minutissimospruzzo. Ora da questa esperienza ben tralucecome attribuir si doveva allavaria grossezza del velo d'acquae non ad altrola varietà de' colori che visi scorgevano per entro. Ma per averne più precisa contezzaavrebbe bisognatofermar l'acquache il proprio suo peso portava sempre all'in giùo potermaneggiare a suo piacimento particelle di differenti materiee particelle oltreogni credere sottilissime e di varie grossezze; e su quelle fondare dipoi sueconsiderazioni e suoi computi. A ogni cosa si aperse il Neutono la viaresodalle difficoltà medesime più animoso e sagace. A tal fine pigliò due lastredi vetrol'una piana da amendue i latil'altra piana da un latoe dall'altrorilevata alquanto o convessa. Il convesso dell'una pose sopra uno de' pianidell'altrasoavemente comprimendole insieme; e in tal positura le fermò. Oraquelle lastre congegnate a quel modo postele in faccia al soleosservavanelpunto del loro combagiamento o contattotrovarsi una picciola macchia nera; equesta esser cinta da alcuni anelli diversi di colorequale violatoqualrossoqual giallo o doré; i quali formati venivano dal lumeche riflettevatutto intorno la falda o laminetta d'ariache tra quelle due lastre era comecontenuta e compresa. Altri simili anelli di vario colore apparivanotraguardando a traverso le lastre; e questi erano formati dal lume ch'essalaminetta trasmetteva. La varietà del colore procedeva qui ancora dalla variagrossezza della laminetta d'aria: picciolissima verso il contatto delle lastree gradatamente maggiore verso le estremità delle medesimetanto che a ciascunodi quegli anellicosì dal lume trasmessocome dal riflesso formati rispondevanella laminetta d'aria una certa grossezza maggiore o minoresecondo che più omeno largo era l'anello. Per meglio poi determinare quali grossezze a ciascuncolore rispondesserosi pensò il Neutono di porre quelle lastre ora in uno edora in un altro de' lumi primitivi od omogenei della immagine solaredove glianelli tutti erano di un color solodi quel medesimo cioè che sulle lastrebatteva: rossise quello era rosso; azzurrise azzurroe così degli altri.Fattele però illuminare da ciascuna specie di raggil'una appresso dell'altramisurò separatamente in ciascuna la larghezza dell'anelloch'era più vicinoal contattoo alla macchia nera; e trovò che più ristretto di tutti eral'anello nel color violatoun po' più larghetto era nell'indacopiù ancoranell'azzurroe così successivamente sino al rosso; nel qual colore l'anelloavanzava tutti gli altri in larghezza. Né diversamente accadevase in luogodell'aria era tra quelle lastre intrusa dell'acquasalvo che i colori erano menvivi; e il primo anello in ogni mano di colori era più ristretto che nell'ariae più vicino alla macchia nera. Ora ecco che i raggi più refrangibili sonoancora i più riflessibili. Ciò viene a dire che in una data materia di minorigrossezze è mestieri a riflettere il violato e l'indaco; e di maggiori ariflettere il rosso e il doré. Che se la densità in una materia sarà maggioreche in un'altrasarà bisogno di minor grossezza nelle particelle della piùdensa che della menoperché ne sia riflessa la medesima specie di raggi. E cosìi corpi sono come altrettanti tessutile cui filain virtù di certa densitào grossezzane riflettono all'occhio questa sorta di raggi meglio che quella;gli altri raggi che vi dan suvengono a spegnergli nelle cieche vieche sonotra filo e filo; e tutto il tessuto ne apparisce di quel tal colore che le filariflettono. - Io per me già non dubito - ripigliò la Marchesa - che la cosanon sia così per appuntocome voi dite. Ma per essere di ciò più chiaritami farebbe mestieri comprendere qual relazione ci abbia tra l'aria o l'acquael'erbae il taffettà. Altrimenti come potrei io mai credere che quello che inuno anello o in una laminetta d'aria cagiona un certo colorequello medesimo locagioni eziandio in un filo di erba o nella mia andrienne? - OhquiMadama-io risposi - gioca il gran principio dell'analogiache è quasi la pietraangolare degli edifiziche va innalzando qua e là la scienza della fisicaoper meglio dire la ragion dell'uomo. Se due o più cose noi le conosciamo essersimili in molte e molte loro proprietàsicché ne sembrino come della stessafamiglianoi dovremo inferirnee non a tortoche simili sieno ancora in ciòche sappiamo appartenere all'unae non è così manifesto appartenere ancheall'altra. Con tale principio si governa quasiche in ogni cosala umana prudenza; e arrivano per tal via i filosofi aconoscere la natura di quelle cose che da noi maneggiarea dir cosìnon sipossonoo per la immensa loro distanza o per la incredibile loro picciolezza. Edove con la scorta di esso non conduce egli la sua Marchesa il graziosoFontenelle? Mostrandoleche la luna è illuminata dal soleche ha il giorno ela notteche ha delle valli e delle montagnee tali altre cosenè più nèmenocome la nostra terra; giugne a persuaderle ch'ella pure come la nostraterra ha i suoi abitanti

 

conle cittadie co' castelli suoi.

 

Insomma le fa vedere con questa analogia alla mano popolato tutto l'universoquanto egli è. - Fate ora voi vedere a me - disse la Marchesa - la somiglianzache è tra i colori dell'aria e i colori delle coseche abbiamo per le mani; enon andiamo con questa analogia più là che il nostro picciolo mondo. - Moltesono le similitudini - io ripigliai - trovate dal Neutono tra le laminetted'aria o d'acquache tra quelle sue lastre erano compresee le particelledella materiaonde composti sono i corpi; e ben pare che le une e le altre siabbiano a tenere come di una stessa famiglia. Tra le quali similitudiniprincipalissima è quellache così quelle laminettecome le parti minutissimedi qualsivoglia corposono diafane; che già non è cosa così opacacheridotta in sottilissime schegge non dia il passo alla luce; e le pietre piùduree gli stessi metalli ridotti in foglie d'impenetrabili ch'erano ai lucididardi del giornocome chiamò quel poeta i raggi delsoledivengono ad essi permeabili e trasparenti. E però siccome dalla variadensità o grossezza di quelle laminette dipendeva la qualità del loro coloredalla stessa cagione pur dee procedere la varietà del colore dei corpimedesimi. Generalmente parlando converrà dire le particelle dei drappi azzurriessere meno dense o più sottili che quelle non sono dei drappi che ne mostranoil color rosso; in quella guisa che cotesta bella tinta di zaffiroche vesteora il cieloed è così dolce agli occhi nostrine è riflessa da' più tenuivaporiche di terra si alzano in aria; come da' più grossi vapori ne èriflesso quel rossignodi cui all'orizzonte si tinge il cielo al cader delgiorno. - E quei bianchi nuvoli - soggiunse la Marchesa - che si veggon laggiùconverrà dire essere uno ammassamento di vapori di varie grossezzeciascunadelle quali riflette un particolar suo colore; e bianco di qua ne apparisce iltotale di essicome appunto quella gallozzola formicolata di vari colorivistadalla lungi bianca del tutto appariva. - In fatti - io risposi - i corpi bianchialtro non sono che tessuti di varie e differenti fila; di fila eterogeneediciam cosìle quali riflettono e ributtano da sé ogni qualitàognigenerazione di raggi. Segno è di questooltre alle altre prove che se ne hache posti al sole penano moltissimo a riscaldarsi; dove gli altri corpicheriflettono una sola specie di raggigli altri li ricevono dentro a sé e ve glispengonosi riscaldano assai più presto dei bianchi. E più di tutti sonopresti a concepire il calore i corpi nerii quali ammorzano ed inghiottisconoquasi tutti  i raggi che vi dan su.E vi so direMadamacha un cappellino nerocome usano portarlo le belleinglesi nel Parco di Londranon sarebbe il vostro casopasseggiando all'occhiodi questo nostro sole d'Italia.

- Considerando - ripigliò qui la Marchesa -cotesti vari tessuti dei corpimi sovviene ora di cosa che ho già udito direpiù voltema a prestarvi fede non mi potei indurre giammai: voglio dire che visieno dei ciechiche al tatto sappian distinguere l'un colore dall'altro. Maadesso parmi veder chiaro che ciò sia un effetto e insiem una prova del sistemaneutoniano. E in veritàperché non potremmo noi co' polpastrelli delle ditasentire i vari colorise meglio ponessimo mente al sentimento del tattocomesono necessitati di fare i ciechi? Distingueremmo allora dalla grossezza dellefiladelle quali è tessuto un corpoqual sia la tinta che ne dovessemostrare. Non è egli così? - A non volereMadama- io risposi - dissimularela veritàla faccenda di quei ciechiposto che verapotrebbe ancora quadrarealle immaginazioni del Cartesionon che ai trovati del Neutono. Che certo trale particelle dei corpi della differenza ci ha da esseree non picciola; perchéquesto modifichi la luce di un modo e quello di un altro. Ben vi ha talfenomenosopra cui il sistema cartesiano non può aver presa di sorte alcuna;anzi ad ogni altro sistemadal neutoniano in fuoriè impossibile a rendernela vera ragione. Due liquoriper esempio un rossol'altro azzurroamenduediafanitanto che traguardando così per questo come per quello si vede ilchiaror delle cosecessano di esserlose si pongano l'uno accanto dell'altroe si traguardi per amendue. Come è maiche da due corpi in sé trasparenti nerisulta un terzo opacoche non lascia passar lume di sorte alcuna; da duesimili un contrario? - Ben comprendo - disse la Marchesa - quanto sarebberiuscito malagevoleanzi impossibile a' Cartesio lo spiegare una talemaraviglia: ch'ei non sapeva come i raggi rossia cui danno la via leparticelle di un liquorevengono ad essere intercetti e spenti dalle particelledell'altroche non dà la via che a' raggi azzurri. Così quello disfal'effetto di questoo questo di quello: ein sostanzaniun raggio puòarrivare all'occhio di chi traguarda per amendue. - Ed ecco nodi dell'ottica -io ripigliai  che voi e il NeutonoscioglieteMadamasenza eludere gli oracoli della natura. Ogni prova che nonha forza di dimostrazione non può stare in ischiera con le prove neutoniane: néci starebbe né anche una per altro bellissima conformità o analogiala qualesi trova tra la produzione de' colori e quella delle altre cose naturali; chepur sarebbe il fondamento o il perno di un altro sistema. Egli è oramai fuoridi quistione che le piantegl'insetti ed i viventi tutti non sono mica formatidi nuovoogni volta che veggono in prima la luce; masecondo che vi concorronole cause esternevannosi spiegando da' propri embrioniche dal bel principiodelle cose furono creati di già. Una ghianda per esempio contiene dentro a séquasi in miniaturauna picciolina quercia; la quale ombrerà la terradarà dinuove ghiande anch'essae queste un foltissimo querceto dipoisoltanto chetrovisi un terreno che le riceva con certi sughi e con certi gradi di calorecon quello che a tali sviluppamenti è necessario. Simile avviene degli animalidi qualunque specie e' sienoche o nell'ovaio o altrove sono anch'essi primadel nascere in moltitudini infinite contenuti; simile dell'uomoche quantunquedegli animali il renon ha in ciò sopra di essi privilegio alcuno. Inconclusione non sono formate le cose di mano in mano che appariscono nel mondocome è credenza comune; ma dalla natura fu veramente fatto ogni cosa tutto a untrattoe una volta per sempre. Il medesimo è de' coloriche non si generanomica di nuovo ad ogni instantecome altre volte credeasi; ma a renderglimanifestialtro non bisogna che questo o quel modoonde si sviluppano dal senodella luceche tutti in sé gli contiene. - Per quanta ricchezza mostri lanatura- disse la Marchesa - per quanta magnificenza dispieghi nei tanti etanto vari suoi effettiegli sembra nondimeno che nelle sue operazioni ellaabbia avuto in mira un certo risparmioe una certa bella economia. Dal belprincipio ella ha formato con que' suoi embrioni come altrettanti conservatoidelle coseche hanno dipoi in sì gran copia a provvedere e fornire il mondoedella luce ella ne ha fatto il tesorola minieral'embrionediciam cosìde'coloriche ha prodotti una volta per sempre belli e immutabili e atti solamentea separarsi d'insiemee a mostrarsi quando bisogna ai di fuori. Mirabileveramente si manifesta in ogni suo effettoin ogni sua operazione la naturaquando n'è dato di conoscerla. Laddovesecondo il Cartesioconviene che adogni instante ella imprima nuovi moti di rotazione a que' suoi globettiche aogni refrazionea ogni riflessionea ogni minimo cheella si dia il pensieroe la briga di andargli variando: talché ha sempre mille faccende in sullebraccia e si direbbe che per lei non è mai domenica né festa.

Qui non potei fare a meno di non sorridere così unpocoindi ripresi a dire: - Lodato sia IddioMadamache pur nel sistema delNeutono ci trovate quella semplicitàche tanto vi va a genio. Ma questa cosìfatta attitudine che hanno i raggi a separarsi d'insiemeper quanto siamirabile e torni anche comoda alla naturapur talvolta riesce incomoda per noi.- Come incomoda? - rispose la Marchesa. - Troppo mancherebbe agli oggetti dellalor bellezzase ciò non fosse. Vorreste voi vedere il medesimo colore ripetutoin ogni cosavorreste vedere il mondo come un chiaroscuro? - Un grandissimoinconveniente - io risposi - sarebbe senza dubbio per le damese elle nondovessero vestirsi che di un solo coloree se con la varietà de' colorivenissero a perdere un così ampio soggetto di belle quistionidi consultedidiscorsi. Ma in contraccambio verrebbono gli astronomi a guadagnarci non poco. Equal cosa non darebbe un astronomoper potersi assicurare del tempo preciso chela luna occulta una stellao del punto che fa un eclissi? Sono costoro unacerta generazion d'uomini che se ne sta quasi sempre su per le torricogliocchi rivolti e puntati al cielo; e di questa nostra terra non curanose nonquanto è un pianetache fa suo viaggio intorno al soleed entra essa pure nelsistema celeste. - Ma che hanno mai tanto che fare - disse la Marchesa - icolori vari della luce colle osservazioni di cotesta strana generazion d'uomini?- Basta dire - io risposi - ch'e' fanno non picciolo impedimento alla perfezionedegli occhi loroo sia de' cannocchiali. Io vi dissi giàMadamacome i raggiparallelio che derivano da un puntodando sopra una lentesono da essa unitiin un punto; ma a parlar giustamentenon è un puntodove i raggi concorronopassata la lentema un picciolo cerchio. Talché a ogni punto di un oggettocorrisponde nella immagine di essoche ne forma la lente uno spazietto; e talispazietti contigui tra lorovenendo ad entrare alquanto l'uno nell'altroe adintaccarsi insiemenon può a meno che tutta la immagine non riesca alquantoconfusa: come farebbe una miniatura che non fosse abbastanza fina e granita a dovere.

- Tanto che - disse la Marchesa - voi mi aveterappresentato coteste lenticome i poeti ne rappresentano gli uomini; non qualisonoma quali si vorrebbe che fossero. - Appunto: - io risposi e quello spazietto o cerchioche si chiama aberrazione del lumeprocedecome ben potete vedereMadamada quell'attitudine che hanno i raggiallorché refrangonoa separarsi d'insieme. Vero è che una qualche colpa vi haanche la figura che si suol dare d'ordinario alle lenti; ma troppo è picciolacosa al paragone. E difattiqualunque figura diasi alla lenteil foco de'raggi azzurri o dei verdi sarà sempremai diverso da quello dei rossi o doréin virtù della varia refrangibilitàche non si scompagna mai da essi raggi; eperò la immagine degli oggettiche si fa dalle lenti del cannocchialeè benlontana da quella nettezza che sarebbe necessaria a quell'ultima precisione chevorrebbon gli astronomi. Tanto più ch'essi vagheggiano il solele stelleipianeti: oggetti che mandano in egual dose al cannocchiale ogni sorta di raggi.- Che farci? - disse qui la Marchesa. - Se la immagine degli oggetti non è nelcannocchiale così distintacolpa la separazione dei colori; l'aspetto peròdel mondoin virtù di essaè tanto più bello. In ogni cosa ci sono deicompensi; e la condizione delle umane faccende porta che non ce ne sia niunasenza difetto. Sicché pare che anche gli astronomise pur vogliono esserediscrete personedovessero finalmente prender partito di ciò che èimpossibile a ottenersi. - Le loro domande però  io risposi - parvero così giustee i loro bisogni sitrovano talmente uniti con quelli degli altri uominiche si pensò in ognitempo a provvedervi. Avanti che si scoprissero le vere proprietà del lumecercarono i più sottili ingegnie tra questi fu anche il Cartesioaperfezionare i cannocchialiimmaginando di dare nuove figure a' vetriperchéveramente raccogliessero i raggi in un punto e formassero le pitture deglioggetti distintissime; ma perdettero l'opera e lo studio. Il Neutonolasciatida banda simili pensieride' quali avea mostrato la vanitàavvisò di fare uncannocchiale d'invenzione del tutto nuovae che soddisfar dovesse pienamente a'più ricercati bisogni dell'astronomia. Come la pensòcosì appunto riuscì lacosa: ed io vidi in Inghilterra il primo ordignoche fatto fosse di questaspecielavorato dalle stesse sue mani; il quale conservavasi dagli eredi diquel grand'uomo insieme con quei prismico' quali egli notomizzò da prima lalucee vi seppe veder dentro quelle maraviglie che rendono ancorase èpossibilela stessa luce più bella. La invenzione consiste in questo: chel'ufizio che ne' cannocchiali ordinari fa la lente principalissimae la piùcolpevole nella aberrazione del lumelo fa nel suo uno specchio concavo dimetallo; e si opera qui per riflessione quello che là operavasi per refrazione.Raccoglie anche lo specchio per la concavità sua i raggicome fa la lente; manella riflessione i raggi si rialzano tutti dallo specchio con la obbliquitàmedesima con cui sopra vi cadono; e non succede veruna separazione di coloriche intorbidi la immaginecome nella refrazion della lente; onde col nuovocannocchiale si veggono gli oggetti di gran lunga più distintiche non si facogli antichi. Senza cheun cannocchiale neutoniano di poche onceequivale ad un ordinario di altrettanti palmicontenendo sotto mole minore maggior valorenon altrimenti che le monete d'oroverso quelle d'argento.

- Ben seppe il Neutono - disse la Marchesa -trovare rimedio al maledi cui avea scoperto la origine. Ma non ci volea nientemeno ad acchetar cotesti astronomiche pare sieno una gente di non così facilecontentatura. - Certamente - io risposi  avrebbonoil tortose non fossero contenti del Neutono. Oltre all'avergli armati di unocchio tanto più finoegli difesenon ha gran tempoe in certa maniera salvòin faccia al mondo l'astronomia. Voi sapeteMadamacome l'onore di questascienza dipende principalmente dal predire gli ecclissiche sono avvenimentipalesi alle viste del volgonon meno che a quelle de' filosofi. Talete milesiofu considerato in Grecia come un dioper aver predetto così in digrosso che incerto tempo dovea fare un eclissi del sole; cioè che la luna frapponendosi traesso e noidovea scurarlo. Perfezionatasi di mano in mano l'astronomiaquelloper cui già sarebbesi a un Talete innalzata un'araquasi che al dì d'oggifacesse disonore a un Hallejo o a un Manfredi. Si esige ora dalla specula ilminuto precisonon che il giorno e l'orain cui farà l'eclissie la quantitàsua per appunto; vale a dire se la luna scurerà tutto il sole o partee quantaprecisamente sarà la parte scurata. Ora non sono ancora molti anni passatichetutti i computi de' più famosi astronomi aveano predetto a certo tempo uneclissi totale del sole. Scuratasi interamente la lucerna del mondodovea nelmezzo del giorno farsi nottee coprirsi ogni cosa di cupe tenebre; la qualescuritàbenché predetta e aspettatapur nondimeno è cagionequandoavvienedi non picciolo smarrimento all'uomoanimale di una specie assaistranache in una vita brevissima nutre in cuore di così lunghe speranze; chenella sua mente dà ricetto al veroegualmente che al falso; che può ardire aldi là delle sue forzee suol temere in onta della sua ragione. Ognuno ebbedunque quel giorno gli occhi rivolti al cieloe si aspettava che nel pienodell'eclissi dovesse mancare interamente e spegnersi il sole. Ma non andò così;ché rimase tutto intorno dagli orli della lunache lo coprivauno anelloluminoso; e piuttosto che temereebbero quel tratto di che maravigliarsi. E lostesso avvenne in un altro simile eclissi non molto tempo dipoi. Molti furono iragionamenti che si tennero dalle persone intorno a così strana novitàlaquale se da principio fu cagione di maraviglialo fu poscia di romori e discandalo. Vi studiarono sopravi si lambiccarono il cervello gli astronomipunti nel vivo. Chi mise in campo una cosachi un'altracome cagione diquell'effettoo piuttosto disordine; ma tutto indarno. E ben potetecomprendereMadamache l'astronomia fu allora per rimetterci moltissimo delsuocome quella che non potea assegnare ragione alcuna di quegli anellich'erano appariti al dispetto de' suoi computi. - Il popolo - disse la Marchesa- perdona facilmente all'astrologo di essere tutto dì ingannato da un'artelaquale asseconda e adula le sue passioni; ma egli è naturale cheper ognipicciolo sbaglio che paia prendere un astronomosi faccia beffe della scienzaquasi volendosi vendicare della propria ignoranza. Io però non potrei nonprendere qualche parte nel doloreche dovettero gli astronomi in taledisavventura sentir grandissimo. Egli è pur vero che umana cosa è avercompassione degli afflitti. - Buon per noi- io ripresi a dire - se tantorealmente vi toccassero i mali altrui. Ma datevi paceMadama; ecco il Neutonoche ha sciolto lo enimmae in aiuto se ne viene degli afflitti. I raggi dellaluce nel passar ch'e' fanno rasente l'estremità di un corposi piegano versoil corpo medesimosino ad entrare anche un poco nella sua ombra. Prova è diquestoche se un coltello bene affilato si presenti per taglio a una sottilstriscia di luce nella stanza buiasi vede i raggiche passano a una piccioladistanza dal tagliobuttarsi verso la costa di esso coltello. I più vicini sipiegano assai; non tanto quelli che passano un po' più lontanetti; e così dimano in manosino a tanto che a una certa distanza dal taglio vanno oltredirittiseguitando il filo della striscia. Del qual effettochiamatodiffrazioneo sia infiessione della luceil Grimaldi fu veramente il primo adaccorgersene; e il Neutono l'ha dipoi autenticato con nuove sperienze. Que'raggi adunque del soleche passano presso agli orli della lunadovrannopiegarsi verso della medesimaed entrare anche nell'ombra ch'ella getta soprala terra. E però noiche durante gli eclissi ci troviamo immersi inquest'ombravediamo intorno intorno da essa luna un anello luminoso. E peraverne dipoi una maggior riprovasi posero in faccia al sole dei globi in talidistanze che doveano ricoprirlo del tutto ed eclissarlo a chi dietro guardava; eciò non ostanteil medesimo luminoso anello ne li cingevache visto intornoalla luna fu per iscreditare in questo basso mondo la scienza dei cieli.

- La ragione - disse allora la Marchesa - assegnatadal Neutono di quegli anellimi par ben chiara e palpabile. Ma ditemi: ilmaggior male a cui vanno soggetti anche i filosofi non è egli la curiosità? -Mai sì: - io risposi - e sull'aver essi corta vista e molta curiosità èappunto fondatacome altri dissetutta la loro scienzaqual ch'ella sia. - Ornon ci fu egli alcun filosofo - replicò la Marchesa - il quale domandasse alNeutono la ragione perché i raggiche non sono tocchi da un corpoabbiano dapiegarsi verso di quello nel passargli d'allato? - Oh voiMadama- io risposi- siete di assai più difficile contentatura che tutti gli altri; che vorrestesapere sino alla causa della diffrazione. Troppo la gran cosa è quella chedomandatee s'io la dicessici saria forse pericolo di disfarmi con mezzomondo. - A parlar meco- ripigliò subito la Marchesa - voi pure il sapetenoncorrete nessun pericolo. - Tutto beneMadama- io seguitai - ma temo non latroppo strana cosa vi debba parere ad udirla. Ora ecco: la ragione perché iraggi si piegano verso i corpi nel passar loro dappresso è l'attrazione ch'essicorpi esercitano sopra la luce. - L'attrazione -ripigliò tosto la Marchesa -che i corpi esercitano sopra la luce! Voi vi prendete gioco di meo forse punirmi vorreste della soverchia mia curiosità. - Ed io allora: - Non vel diss'ioMadamache la troppo strana cosa vi sarebbe paruta cotesta? Voi avete fermonell'animo che nella universalità delle cose quella forza ci sia solamenteenon altraonde i corpiurtandosi tra di lorosi pongono vicendevolmente inmotoe le loro particelle si vanno in quello o in quell'altro modo disponendo;e con ciò credete che operi la natura qualunque effettoche da noi si osservaqualunque cosa si sia. Né altrimenti pareche dobbiate pur credere -massimamente dopo quanto udiste l'altro dì della dottrina del Cartesio. Ma orasvelarvi conviene i più riposti arcani della filosofia. Convien dirvi cheoltre a quella forzaun'altra ancora ce ne è sparsa per tutto l'universoondei corpi hanno come sentore gli uni degli altri: benché lontanitra lorovicendevolmente si attraggono erimosso che fosse ogni impedimentocorrerebbono tutti ad unirsi insieme. E cotesta universale attrazione dellamateriadi cui è un ramo l'attrazione particolare tra i corpi e la lucefusubodorata quasi che in ogni tempo da coloro che considerarono più addentro ilsistema del mondo; ma fu discoperta veramenteposta in chiaro e ridotta acomputo dal Neutono; e oramai si può riguardare come la chiave della fisica. -La Marchesa recatasi in sée ponendomi ben mente nel viso: - Adunque-ripigliò - voi dite seriamente che tutti i corpi si attraggono? Ecco un mondonovello per medove io mi trovo tutta smarrita. - Madama- io soggiunsi - egliaccade a voi quel medesimoche già accadde a molti filosofi di professione. Maperché essi sdegnarono di reputarsi nuovicome fate voiin questa filosofiaadombratisi al solo none di attrazionesi levaron tosto ad impugnarla. Disseroche quest'attrazione è tutt'uno con quelle qualità occultedi cui gliaristotelici informavano i corpie colle quali credevano render ragione deglieffetti naturali; che con questa attrazione si veniva a rimettere in seggio quelfilosofare enimmatico e inintelligibilea mostrare la cui vanità convenne chetanto oprassero col senno e con la mano i più sani ingegni della passata età;e vanno formando addosso al Neutono un gravissimo processo. - E quali ne furonole difese? - disse la Marchesa. - Ben lontano - io ripigliai - che l'attrazionesia una qualità occultaella è una qualità manifestissima della materiadacui dipende la spiegazione d'innumerabili effetti naturali. Né questa a niunpatto vuol esser confusa con que' nomi voti di sensotrovati ora l'uno ed orl'altro dalla volgare schiera de' filosofia rendere un tal qual conto diquesto fenomeno o di quello; quando realmente ella è un principio universaleacui ubbidisce ogni cosa dal più minuto granello di sabbia sino a' corpivastissimi de' pianetidi cui si assegnano le leggi e si determina ogni suoeffetto sino alle ultime differenze. Gli aristotelici facevano come i sacerdotidel gentilesimoche secondo i bisogni vi creavano a lor talento di novelle deitàe ne avean pieno ogni cosa; dove il Neutono la fa da filosofoe riconoscesoltanto quei principiche realmente esistono insieme col mondo. Guidato dallepiù sottili osservazioni e dalle considerazioni più profondeè forzato ariconoscer nella materiacome qualità primordialela virtù attrattiva. Equando egli afferma che la luce radente l'estremità de' corpi è tirata daquellinon intende già di darci l'intero intorno alla causa della diffrazione;ma d'indicar solamente quella proprietà generale della materiache è purefare un gran passo in filosofiada cui procede la ragione immediata di talfenomeno. Lo investigare poi la essenza di questa attrazionee come i corpiposti in distanza operino l'uno sopra l'altroe quasi per naturale instintoamino di farsi tra loro viciniegli lo lascia alla penetrazione di que'filosofi chenavigando per lo gran mar dell'esserevorrebbono sorgere allecagioni prime delle cosee arrivare colà dove

 

moltosi mirae poco si discerne.

Ecome sapeteMadamal'intendimento suo è solamente di assicurarsi delleproprietà generali della materiadelle leggi con cui la natura governal'universalità delle cose; siccome avete sinora veduto nella storiache con lascorta di lui siamo andati tessendo della luce. - Intendimento ben giusto; -disse la Marchesa - ma questa diffrazionee l'attrazione che ne è la causaèun così fatto avvenimento storico chea saper che ne èconverrebbe entrarenel gabinetto. Quanto è facile a capire che i raggi per esempio della lucesieno ripercossi da una superficiecontro a cui vengano a batterealtrettantoè difficile a capire come i corpi spirino non so qual loro propria virtùpercui possano torcere i raggi della luceche passano a qualche distanza da essi esopra i quali non han presa. - Che ciò sembrar debba - io risposi - alquantoduro da comprenderenon potrei già io negarloMadama: e così pure avvisò lostesso Neutono. Benché fosse stretto da' più forti argomenti a credere che icorpi scambievolmente si attraggono senza intervento di materia verunachel'uno verso l'altro gli spingaciò non ostante uscì in alcun luogo a dire chel'attrazione era forse effetto della impulsionedell'urtocome che fossediuna materia oltre ogni credere finissimadi un vapor tenuissimoche diffusotrovasi per avventura in tutte le parti dell'universo: segno ch'egli volleentrarecome si suoi direne' piedi altrui; e credette non dovere prender dipunta la comune opinione. Per far la via alla veritàgli convenne servirsi diun qualche artifizio; adoperare come quegliscrittorii quali nella storia vanno inserendo qua e là un qualche episodiofavolosoonde sia letta dai piùe per gradire all'universale le danno aria diromanzo. - E la Marchesa: - Non sarebbe egli questo piuttosto un artifiziovostro per piccarmi d'onoreo per farmi credere che io meglio non intendo comeil moto sia ne' corpi che come vi sia l'attrazione? - Gli uomini - io risposi -veggono i corpi muoversi tuttodì; ma di rado gli veggono attraersi; e peròdell'attrazione fanno le maravigliee non del moto. Ma i filosofi sanno benessi maravigliarsi delle cosequantunque le abbiano del continuo dinanzi agliocchi. Perché noi potessimo chiaramente intendere come un corposcontrandosiper via d'esempioin un altrodebba comunicargli parte del proprio suo motodovremmo anche intendere come ciò sia uno effetto della naturadella essenzadel corpo medesimo; talmente che così egli sia necessitato di faree nonaltrimenti. Ma qual cosa sappiamo noi mai della essenza de' corpi? nullasepure il vero si vuol da noi confeessare. A noi è dato soltanto di poterefrancamente asserire che i corpi sono cose estese e impenetrabili. E perché?perché veggiamo la estensione e la impenetrabilità trovarsi in tutti corpietrovarsi sempre di uno stesso modo; laddove non è il medesimo delle altre loroqualità. Ora chi ne potrebbe mai assicurare col ragionamento che una cosaimpenetrabile ed estesascontrandosi in un'altra impenetrabile parimenti edestesadebba comunicarle parte del suo motoe non piuttosto perdere essa tuttoil moto che aveae ridursi alla quiete? Né l'una cosa né l'altra ripugna allaestensione e alla impenetrabilità cheè quanto si conosce per noi della natura dei corpi; e però così l'una comel'altra potrebbe egualmente avvenire. La osservazione soltanto e la esperienzane ha fatti chiari di ciò che veramente avviene; né mai cogli occhi dellamente l'avremmo conosciutose veduto non l'avessimo cogli occhi della fronte.In qual modo e per qual cagione il moto che è in un corpo trapassi in un altrogià per noi non si sa; mistero egualmente impenetrabile che il muover dellamano o del piede alla volontà della nostr'anima. In una parola i filosofi sonoegualmente all'oscuro del come operino i corpi l'uno sopra l'altroquando sonocontigui tra loroche quando sono tra loro lontani; ma non sono già all'oscurocheancorché in distanza l'uno dall'altrovicendevolmente si attraggano.Cotesta attrazioneuno de' principali ingegniuna delle più gagliarde molledella naturaè abbastanza provata da moltissime sperienze fatte ne' corpi chene stanno d'attorno; ma si palesa singolarmente ne' fenomeni celestichel'hanno narrata al Neutonoed egli alle genti.

- Veramente- disse la Marchesa - la non piùudita novità della cosa non abbisogna di una testimonianza meno autorevole. -Ma non intendo già - ripigliai io - che voi stiateMadamaa detto d'altrui.Domanipoiché oggi

 

iltempo è brevee vostra voglia è lunga

 

cercheròdi mostrarvi quanto sia ben fondata l'attrazione. Solo m' incresce che io nonpotrò esporvi cotesta dottrina con tutto il corredo delle dimostrazioni e de'computi che la fiancheggiano e la rendono vittoriosa delle menti. - Pazienza; -disse la Marchesa - se io non la potrò vedere in tutto quel lustroin cui lavedrebbe un matematicoio farò come que' dilettanti di pitturai qualinonpotendo avere il quadro di uno eccellente maestrosono contenti ad averne lastampa; e son sicurache voi la renderetequanto è possibilevicina aldipinto.

 

 

DIALOGO QUINTO

 

Esposizione del principio universale dell'attrazioneapplicazione di questo principio all'otticae conclusione.

 

Furono interrotti il di appresso i nostriragionamenti da una gentil compagnia di dame e di cavalieriche vennero avisitar la Marchesa. Si misero in campoin luogo di sistemi filosoficilenovelle che forniva la cittài casi delle gentili personee le mode che eranofrescamente giunte di Parigi. Dove mostrò la Marchesa la perizia sua nelprognosticare dagl'indizi i più leggieri ciò ch' era per avvenire nel regno piùmutabile ed incerto di tutti; e mostrò che al bisogno sapea profondamenteparlare di nastri e di cuffie; e da tale gentilezza di maniere era accompagnatoogni suo dettoche le veniva quasi perdonato il suo spiritoanche dallepersone del medesimo suo sesso. Così da noi fu lietamente trapassata buonaparte di quel giorno; e verso la sera invitandoci un soave venticellocherinfrescava l'ariaentrammo tutti in un'adorna barchettala quale col favoredei remi raggiunse ben presto alcuni navili di pescatoriche lontano da rivatese aveano lor retie poste insidie alle dilicate trote e ai carpioni dellago. Erano da noi con diletto grandissimo corse quelle chiare e limpid'acqueche bagnano costiere piantate di bei pergolati di arancie per lo fremito delleonde gareggiano talvolta col mare. Ritornati la sera assai tardi a casa al suono di corni da cacciae allume della lunasotto a cui tremolar pareano le acque del lagoa giocar ciponemmo; e quindi a una linda ed elegante tavola; né mancarono di bei motti eraccontiche condissero la cena.

Il dopo pranzo del seguente giorno prese commiatola compagnia; e mostrandosi la Marchesa più volonterosa che mai di ripigliareil nostro ragionamento sopra l'attrazionepostici a sedere nella galleriaiomi feci a dire in tal modo: - Un effettoche è continuamente negli occhi dituttie di cui occultissima è la causaè che i corpiquando da niuna cosasono impeditivanno in bassoe gravi perciò si chiamano. Della gravità fu ilprimo il Galilei a dimostrare le proprietà e le leggi nei movimenti dei corpiche sono appresso alla terra; tanto di quelli che cadono abbandonati a semedesimiche di quelli che corrono giù alla chinao che vibrano appesi d'inaltoe pendoli in aria. E per tali vie principalmente egli entrò nel campodella vera filosofiadove da tutti è riconosciuto qual primo duce e maestro.Il Neutono scopri dipoi come tutti i corpianche i più lontani dalla terrasono dotati di gravità gli uni verso degli altri; trovò di tale gravitàuniversale le leggi primitive; giunse a vederne sino alla causa; e si levò acosì alto voloquasi direiper uno abbattimento.Raccontano che un giorno che tutto solo era adiporto in un giardinofosse in particolar modo colpito la mente al vedere d'unalbero cadere un pomo. Onde concentratosi in una sua meditazioneprendesse aragionare in tal guisa seco medesimo. - I diporti del Neutono - si fece qui adir la Marchesa - eranoa quel che io veggocome i giochi d'Achille. E ora sìche mi sarà mestieri studiare il passo più che maia potergli tener dietro inquel suo giardino. - Ed io continuai: - Tutti i corpidiceva egliche sonointorno alla terrapesano verso la terra medesima. Di assolutamente leggiericonforme altre volte credevasinon ce n'è. Che se alcuni mostrano di andareall'in sunon avvien loro altrimenti che al sugheroche per esser meno pesantedell'acquada essa è levato in collo e forzato di starsene a galla. La causadella gravità non dee cercarsicome immaginò il Cartesionel giro di unvortice che circondi la terranella impulsionedel fluido sottilissimoond'esso è compostoilquale facendo ogni sforzo di slargarsi e occupare le parti più lontane dallaterra e più altecacci in basso i corpi che nuotano per entro ad esso. Lagravità in tal caso dovrebbe operare all'agguagliodelle superficieche i corpi presentano a cotestofluido; e non all'agguaglio della materiache internamente contengono.Non vi par egliMadamache la cosa sia così? -Pare veramente - diss'ella - che quanto saranno in maggior numero le partiesposte al di fuoridove potrà operare cotesto fluidotanto maggiore dovràessere l'operazion sua. - E la quotidiana esperienza - io seguitai - pur nemostra il contrario. Una foglia d'oroper quantunque assottigliata e distesaella sianon è così grave certamente quanto è un granello di piombo: anzi inparagone di esso si può chiamare leggiera: segno manifesto che il più o menodi superficie non fa nulla per accrescere o diminuire la pesantezza de' corpi; eperò convien dire che la gravità penetri la sostanzae operi sopraciascheduna particella della materia. La causa adunque della gravità non è unaforza che operi estrinsecamente; ma una forza che ricerca internamente i corpi emuove dalla terrala quale gli chiama e gli alletta tutti al suo centro. Unatal forza giugne assai alto esenza punto scemarenelle regioni dell'aria. Chénon potria ella giugnere più alto ancorae stendersi sino alle trentasessantanovanta mila leghe? che tale è la distanza della luna. E se arrivafin là sunon sarà ella la causa che ritiene la luna nell'orbe suoe fa sìche ella giri intorno alla terra? Che ben sapeteMadamacome ogni corpo chemuove di moto circolare vorrebbenon meno che fa il sasso nella frombolaallontanarsi dal centro intorno a cui girae scappar via; e se pur giraè invirtù di una forza che il frena e il tiene ad esso centro quasi obbligato edunito.

Fermo il Neutono in questo pensiero - io continuaidopo un po' di pausa - prese in sua scorta la geometria; e trovò che se uncorpoil quale sia in motoè tirato verso un centropercorrerà intorno adesso aie proporzionalia' tempi. - Ben io - disse la Marchesa - avea incominciato a seguire il Neutono;ma s'egli s'imbosca con cotesta sua geometriaio lo perdo tosto di vista. - Nondubitate- io risposi - Madamache faremo in qualche modo di seguirlo anche làdove più si vorrebbe nascondere. Figuratevi un corpo che gira intorno ad unaltroche del suo moto si può dire il centro; e figuratevi ch'e' giri non giàper un cerchio perfettamente tondoma che abbia un po' del bislungodi manierache esso centro non sia giusto nel mezzo del cerchioma si rimanga un poco daun lato. Segniamo ora con la fantasia un punto del cerchiodove in questoinstante si trovi il corpo che gira. Da quel punto figuratevi tirato un filo osia una linea al centro: similmente tal punto dove saràper esempiodue oreappressotiratene un'altra. Quello spazio triangolareche resta compreso trale due linee che si stendono dal corpo che gira sino al centroe la porzione dicerchio da lui corsa nelle due orechiamasi aia. E queste tali aiechegirandosi il corposono formate in tempi ugualisono uguali tra loro. Con chevoi chiaramente vedeteMadamach'esso ora va più velocee ora meno; e intempi eguali non avrà già corso due porzioni di cerchio egualima dueporzioni di cerchio tali che le aie formate nel modo che abbiam detto verrannoad uguagliarsi tra loro. E se un tempo sarà la metàil terzoil doppio di unaltro tempoanche le aie formate in quei tempi saranno la metàil terzoildoppio; che tanto è a direle aie sono proporzionali ai tempi. E il Neutonoancora trovòche se all'incontro un corpo percorre intorno a un centro aieproporzionali ai tempiegli sarà tirato verso quel centro. - E la luna-disse la Marchesa - girandosi intorno alla terrapercorre mo' ella cotestevostre aie proporzionali ai tempi? - Questo è ciò - io risposi - ch'ella faper appunto. E vi dirò ancora piùche la terra e tutti gli altri pianetifanno anch'essi il medesimo intorno al sole. - Adunque - riprese subito laMarchesa - hanno anch'essi una gravità verso il soleo. come voi ditesonotirati dal sole. - Ed eccoMadama- io risposi - che avete compreso da voimedesima cotesta attrazione neutonianache da prima pur vi riusciva così nuovacosae pareva non vi andasse gran fatto a verso. Vedete la luna gravitar versola terra per la ragione medesima che fanno i corpi che ne sono dattorno; non invirtù di un fluidoche ve la spingama in virtù d'una forzache muove dallaterra ed a sé la chiama. E come mai la luna nelle regioni del cielopotrebb'ella essere attorniata da un fluido? Troppo la grande resistenzaproverebbe nel procedere innanzi per l'orbe suo; verrebbe il suo moto arallentarsi in poco d'ora e ad estinguersi: né altrimenti saria de' pianetisegirassero intorno al sole per uno spazio pieno di materia. - E non potrebbe -disse la Marchesa - cotesta celeste materia essere cotanto puracotante fina esottileche poco o niuno impedimento facesse al moto della luna? E s'ella fosseper assai più volteche noi immaginar non potremmopiù sottile dell'aria? -Fate pure- io ripresi - Madamach'ella sia così sottilecosì fina e cosìetereacome è la materia del Cartesio. E già vedrete che s'ella riempie di semedesima ogni spazioè tutt'uno che s'ella fosse una massa tutta solida emassiccia. La resistenza che provano i corpi nel muovere per entro a un fluidotanto è maggiore quanto maggiore è il numero delle particelle del fluidocheper procedere innanzihanno da muovere di luogo; dovendo pur essi altrettantoperdere di moto quanto ne danno. Or che sarebbese la luna movesse per mezzo auna materiache ogni spazio riempiesse del cielo? Dovrebbe ad ogni instantesmuover di luogoper farsi la viauna infinità di particelleche glie lacontrastano; troverebbe nel cammino tale impedimentochecessato in brevissimospazio di tempo il proprio suo motoe stimolandola del continuo la forza dellagravitàverrebbe a piombar sulla terra; e lo stesso fariano i pianeti verso ilsoletalché sino dal bel principio delle cose sarebbe venuto finimondo. Ma nondubitateMadama; ne libera da ogni timore il sapere che la luna e i pianetimuovono per entro alle vaste solitudini del votodove nulla impediscenullarallenta il loro movimento. Spinti dal Creatore in linea dirittaper essaavrebbono continuato mai sempre a muovere innanzi; quando per cammino sentitonon avessero l'attrazione del vastissimo corpo del soleche quasi in sogliosiede immobile colà in mezzo dello spazio. Gli fa questa declinare dal rettoloro sentiero  e per una lineacurva gli fa rivolgere intorno al sole. La più grande orbita di tutteche hanon vi saprei ben dire quanti milioni di milioni di miglia di circuitoviene intrent'anni descrittacome già sapeteda Saturno; ed essa comprende quelledegli altri pianeti: GioveMartela TerraVenere e Mercurioi qualipenetrati tutti dalla virtù magnetica del sole danzano in vari giri intorno daluicome nel suo Paradiso cantò il Miltonoquasi profetizzando agliuomini i misteri dell'attrazione. Da essa sono altresì governate le cometelequalibenché vadano quale per un verso e quale per l'altrobenché girinointorno al sole per orbite assai più bislunghe che non fanno i pianetiubbidiscono però puntualmente alle medesime leggi; e quanto già furono alCartesio ribellialtrettanto sono docili al Neutono. Per l'attrazionesimilmente i pianeti secondari girano intorno a' loro primari; la luna cioèintorno alla terraintorno a Giove le sue quattro lunee intorno a Saturnoquelle altre sueche son cinque. In somma il gran fenomeno del giro de'pianetiper cui i filosofi fabbricato aveano degli epiciclidei vorticiedanche creato delle intelligenze onde reggergli e governarglisi riduce al motodi un sassolinoche uno scagli con mano. Dopo aver esso da noi ricevuto lapinta muoverebbequanto è a séper linea dirittase la forza della terrache lo trae delcontinuo in bassonol deviasse per una curva. E già se noi da un luogoaltissimo gittando un sassogli potessimo dare tal forza chedeviando per lacurvanon si scontrasse nella terrae l'aria non gli resistesseverremmo afare un'altra luna: voglio dire ch'e' girerebbe intorno intorno alla terracomefa appunto la luna. - Ben pare - disse la Marchesa - che la natura opera moltocol poco. Una medesima forzauna medesima cagione produce effettiche purpaiono e parvero anche a' filosofi quanto tra lor differenti! Già non si puòmettere in dubbio che l'attrazione non governi i moti di Saturnoe non facciaqui da noi cadere un pomo. Maravigliosa cosa è a vedere come un motivoper cosìdiresemplicissimo continua sempre lo stessoe domina in tutto il granconcerto del mondo.

- Ora- continuai io - siccome la legge delle aieproporzionali ai tempia cui nel descriver la sua orbita ciascun pianetaubbidiscefu cagioneche il Neutono scoprisse la forza attrattiva nel solecosì un'altra leggeper cui i pianeti spendono più tempo in compiere le loroorbitesecondo che sono più lontani dal solee ciò con certa proporzione trale distanze e i tempifu cagione ch'egli scoprisse che la forza attrattiva vascemando con certa misuravia via ch'ella si allontana dal sole. E la misura èquesta: ch'ella scema non di quanto cresce la distanza dal solema il quadratodel numero esprimente la distanza di esso sole; il che si chiama la ragioneinversa dei quadrati delle distanze. - Ohimè! - disse la Marchesa - che noitorniamo ad entrare nel bosco. - Per intendere una tal cifera di geometria- ioseguitai - basta sapere che il quadrato di un numero è il medesimo numeromoltiplicato in se stesso: come per esempio il quattro è il quadrato del dueperché due via due dà quattro; il nove è il quadrato del treper la medesimaragione che tre via tre dà nove; e così discorrendo. Nota adunque la distanzain che si trova la terra dal solee insieme nota la distanza in che si trovaGioveche l'una è cinque volte maggiore dell'altravoi potrete sapere diquanto la forza attrattiva del sole alla distanza di Giove è indebolitarispetto alla forza di esso sole alla distanza della terra. - State ad udire-disse la Marchesa - se io so raccapezzarlo. Voi mi dite adunque che la forzaattrattiva è minor di tanto di quanto è maggiore il quadrato della distanza.Il quadrato di unoche voi fate esser la distanza della terra dal soleè uno.- E alla distanza uno- ripigliai io - uno parimenti è la forza. - Il quadratodel cinque - soggiuns'ella subito - è venticinque: e però la forza attrattivadel sole in Giove è venticinque volte minore che nella terra. - Forse-diss'io - Madamanon sapeteche adesso voi avete sciolto un problema; e potetedirecome quell'antico geometraho trovatoho trovato. Anzi ne avete scioltitre dei problemi: vedete senso che si asconde sotto il velame delle vostreparole. Con la stessa legge per appunto che scema l'attrazionescema e ilcalore e la luce. - La luce adunque- disse la Marchesa - e il calor del solesono anch'essi venticinque volte minori in Giove che qui in terra? - Né più némanco: - io risposi - a segno che noi trasportati in Giove interizziremmo delfreddo pel solleone di quel pianeta; e gli abitanti di Giove trafelerebbono delcaldo nel cuore del nostro invernoe trovandosi qui tra noi offesi dalla lucedel solenon potrebbono vivere che in compagnia della nostra più leggiadragenteche fa di notte giorno. - Vedete - disse la Marchesa - quante cose belleio ho trovate a un trattosenza pur saperlo! - Non avviene così di rado - iorisposi - che nella buona filosofia quello solamente si trovi e non piùcheuno di cercar si propone. La verità è più feconda che altri non crede. Maperché abbiate ancora maggior certezza del modo con che diminuisce a variedistanze il vigor della lucee meglio veggiate come avete colto nel segnonepotremmo prendere questa serase vi sarà a gradouna esperienza non menodecisiva che facile a farsi. In una stanza non vi ha da essere altro lumesalvoche una sola candela accesa: ed uno si pone tanto lontano da essache a malapena possa rilevare i caratteri di una lettera; se già una non fosse di quellelettere che si leggono a qualsivoglia lume. Indise egli si porrà a doppiadistanzavedrete che a poter rilevare i carattericome avea fatto innanzinonbasta raddoppiare il lume coll'accendere nel medesimo sito una simile candelama converrà quadruplicarlo; che è appunto il quadrato della distanza due. Chese ad ottenere il medesimo effetto convien rinforzare il lume proporzionatamenteal quadrato della distanzadi altrettanto convien dire che l'istesso lumeallontanandosi dal principio suoperda della sua virtù. - Io mi penso -soggiunse qui la Marchesa - che questa regola de' quadrati si estenda anche acose ben lontane dalla filosofia. Il quadrato dell'otto non è egli ilsessantaquattro? - Appunto - io risposi. - Pensate ora voi- ella soggiunsetosto - di quanto nello spazio di otto giorni dopo una partenza debba perder divirtù il dolce lumeil dolce fuocodi che in presenza si mostrano tantoaccesi gli amanti. - Guardate poi- diss'io - Madama di non esser causache siguasti la generalità della vostra regola voi.

- Ma seriamente parlando- diss'ella - la forzaattrattiva del sole va calandosecondo che crescono i quadrati delle distanze.E lo stesso sarà senza dubbio della forza attrattiva della terra. - Che la cosa- io risposi - sia così in Saturno e in Giovelo veggono manifestamente imatematici mercé di quelle lune o satelliti che vi girano intorno. Poichéquella medesima proporzione tra le distanze e i tempi delle loro rivoluzioniche osservano i pianeti che vanno intorno al solela osservano ancora isatellitiche vanno intorno a un pianeta. Dal che se ne ricava che la forzaattrattiva di Saturno e di Giove cala nella proporzione medesima che quella delsole. Ma per tal via non è già possibile verificarlo nella terra; non avendoella un'altra o più luneonde comparare i tempi delle loro rivoluzioni con leloro distanze da essa terra. - Se non fosse - disse la Marchesa - che per quantoho raccolto da voii Neutoniani fanno tanto il poco caso delle probabilitàparmi che non sarebbe da mettere in dubbio che la cosa proceda allo stesso modoanche nella terra. Ma così stretto è l'instituto della loro filosofiacheanche le probabilità le meglio fondate non occorre metterle in campo. - Certoè - io risposi - che non si sarebbono mai dati pacese un'altra via trovatanon avessero da giugnere alla dimostrazione: e ciò fu comparando il moto de'gravi cadenti qui presso alla terra col moto della luna. Se fosse possibil maich'ella venisse a cadere sopra la terrasono assicuratie sapetech'e' non siassicurano per così pocoche la forza che di là su la tirerebbe in bassosarebbe tremila e secento volte minore della forza che tira in basso i nostrigravi quaggiù. La luna è lungi dal centro della terra sessanta mezzi diametridella medesima terrao sia sessanta di quelle misuredelle quali i corpi nesono lungi una sola; e il quadrato di sessanta è tremila e secentoné più némeno.

- Molto bravamente - disse la Marchesa - sonoarrivati i neutoniani alla dimostrazione: ed egli mi pare proprio un danno chenon sia possibile che la luna venga a cadere sopra la terra. Potrebbono dare intal modo quasi l'ultima mano a' loro computia vedergli confermati più chemai. E che bella occasione non sarebbe anche cotesta per gli altri filosofi?potrebbono poggiare a lor diletto per quei monti e scendere per quei valloniche vi veggono per entro col cannocchiale: e a moltissimi poi sarebbe dato diriaveresenza fare il viaggio di Astolfo l'ampolla del loro senno che perdettero qui in terra in tante vanespeculazioni. - Quella - io ripresi a dire - che vi sarebbe in tal fattodi più curioso si è che la terra non si starebbe mica ad aspettar la luna a pièfermo; chémovendo anch'essale si farebbe incontro. - Come incontro? - tostosoggiunse la Marchesa. - È egli forse fermato questo patto tra' pianeti: chequal di loro venisse a muovere verso dell'altrol'altro dovesse andargliincontroquasi per fargli accoglienza? - Al certo- io risposi - se ci fosseun tal pattomolto bene sarebbe garantito dall'attrazione vicendevole che hannotra loro. Se in due tavolette di sughero si fanno galleggiar sull'acqua un pezzodi calamita ed uno di ferroa poca distanza l'uno dall'altrovedesi non menocorrere il ferro verso la calamitache la calamita verso il ferro: e se siritiene questo o quellaqual de' due non ritenuto corre verso l'altro. Ancoral'ambrache strofinata ha potere di attrarre a sé varie specie di corpiappesa ad un filo in modo che stia libera in ariasi fa incontro essa medesimaa que' corpi che se le presentanoe gli seconda in tutti i loro movimenti. - Lacosa adunque- disse la Marchesa - riesce a questo: poiché il sole attrae ipianetianche i pianeti attraggono il sole: i primari attraggono i secondariesono da essi attratti; i secondari si attraggono similmente l'un l'altro. - Efinalmente - io soggiunsi - i corpi

 

tuttitirati sonoe tutti tirano

 

comedisse ad altro intendimento il maggior nostro poeta.

- Ma tante e sì diverse attrazioni - ripigliò laMarchesa - non dovrebbono ellenoincrocicchiandosie quasi combattendo tra lorocausare nellauniversalità delle cose una qualche confusione? - Sì- io risposi - sesubordinate non fossero alle leggi più severe e più stretteche già non èpericolo sieno per trasgredire giammai. L'attrazione in ciascun pianeta èmaggiore o minore secondo che più o meno contiene di materia; e lungi da essose ne va scemandosecondo che cresce il quadrato della distanza. Muovendosicome fannoe trovandosi tra loro ora più ed ora meno viciniva continuamentevariando l'effetto dell'attrazione degli uni sopra degli altri. Quindi neavvengono alcune irregolarità ne' loro movimentio vogliam dire disordinichegià non isfuggirono al Neutonoil qualearmato sempre della più finageometriaseppe assoggettargli al calcolo e assegnarne sino agli effetti piùminimi. Quando i pianeti si trovassero tutti dalla medesima bandanon sicrederebbe egliMadamache dovessero sconcertare non poco il sistema celesteoperando tutti con l'attrazion loro di compagnia contro al sole? - Sì certo -rispose la Marchesa. - Terribile sarebbe una così fatta congiurae tale damettere in gran pensieri la immobile maestà del solenon forse egli dovessediscendere dal soglioe dei pianeti non essere più il re. - Così pareveramente; - io soggiunsi - e Dio sa ancora quali altre funeste conseguenzeapprendere potesse uno umore tanto o quanto maninconico. Ma considerando che ilsolevastissimo come egli ècontiene in sé più materia che tutti gli altripianeti presi insieme; e considerando che i pianeti più vicini al soleche piùfortemente operano sopra di luisono anche i più picciolialtri può viversicuro. Quand'anche le forze di tutti i pianeti unite fossero contro al solevano sarebbe ogni loro sforzo. Egli è dimostrato che non lo smuoverebbon dalproprio sito che di un solo al più de' suoi diametri. Simile al Giove di Omeroche sfida la turba degli altri deie se ne sta fermo ed immobiletenendo inmano l'un capo della catena d'oromentre all'altro capo adoperano tutti ognilor possacollegati insieme contro di lui. - Bella e grandiosa immagine-disse la Marchesa - onde da quell'antico poeta fu come adombrata l'armonia el'ordineche i più acuti nostri filosofi ravvisano nell' universo. - La luna -io continuai a dire - è più di ogni altro corpo celeste soggetta nel suomovimento a disordini e a irregolarità; e ciò a cagione principalmente dellasituazion sua. Oltre all'attrazione della terra sente fortemente quella ancoradel sole: e questa quando più gagliarda e quando menosecondo chegirandointorno alla terrae trovandosi ora in opposizione ed ora in congiunzione colsolesi trova essere ora più ed ora meno da esso sole lontana. Da tutto ciòha da nascere che la sua marcia ora si acceleriora si ritardi; che la figura ela positura dell'orbe suo vadano cangiando; mille irregolarità in sommaoscambietti nel movimento suoi quali tribolavano del continuo e facevano dareal nimico i devoti di Urania che non arrivavano a penetrarne il perché. IlNeutono gli ha saputi ridurre sotto regola; ha mostrato come quelle cause chedisordinano la lunaquelle medesime altresì dentro a un certo tempo lariordinano; ed egli solo ha il vanto di aver posto a quel licenzioso pianeta labriglia e il frenocome altri dissede' computi.

Ben è vero- io continuai - che novellamente inFrancia fu chi pretese di mostrare che la luna ricalcitrava al Neutono purassai; mentrestando alle leggi dell'attrazioneella avrebbe dovuto compierein diciotto anni certo suo particolare e importantissimo movimentoe in effettolo compie in nove. - Il sistema dell'attrazione - disse la Marchesa - trovòdunque anch'esso in Francia un altro Mariotto. Se non chequi non siquistionava del fattoma della ragione del fatto medesimo: e la disputa era diun grado assai più altoe più degna della speculazione e dello ingegno de'filosofi. - Trattavasi - io risposi - di far nuove leggi a potervi ridur laluna. Il sistema del Neutono non si adattava a tutti i fenomeni: convenivaalmeno mettervi mano per racconciarlo; e dal racconciare al rigettare un sistemanon ci è un gran trattobene il sapete. Tanto più dipoi pareva che fosse datemere per l'attrazionequanto che entrato era in lizza uno de' paladini dellageometria già partigiano del Neutonoil quale fu allora predicato come unaltro Labienoche per la giustizia della causa vedevasi costretto adabbandonare le parti di Cesare. - E che fece la Inghilterra? - ripigliò conimpazienza la Marchesa. - Non entrò anch'ella tosto in campo? Mise altre voltein chiaro la poca diligenza del Mariotto: avrà ora messo in chiaro la fallaciapresa dal matematico. Un qualche suo Astolfo avràmi pensodato di piglio aquella lancia d'oroche fa uscir di sella quanti ne tocca. -Fosse sicurezzao altro- io risposi - ella nonprese parte alcuna nella disputa; quasi prevedesse quello che succeder dovea. -Ma certo- soggiunse la Marchesa - ella non poteva sperar di vincere senzaprima combattere; quando il Francese per avventura non avesse abbandonato ilcampoe non si fosse dato egli medesimo per vinto. - Così avvenne giustamente- io risposi. - Rifatti d'indi a qualche tempo suoi computi sottilissimiintralciatissimidove di mille minuzie era da tener contosi accorse alla fineda qual piede zoppicassero. Trovò chegiusta le leggi dell'attrazione ridotteal più scrupoloso esame dovea la luna compiere quel suo moto nel tempogiustamente che lo compie né più né meno; e rimise solennemente in seggio ilNeutono.

- Bel trionfo- disse la Marchesa - che fu cotestoper il Neutono e per li partigiani suoich'ebbero vittoria senza né menovenire a giornata. - Quale fu maggior trionfo pel Neutono- io replicai -quanto il turbamento chesecondo che predetto egli aveasi cagionaronovicendevolmente ne' moti loro Giove e Saturno? Sono questi i più grossi tra'pianeti: e nello avvicinamento o congiunzion lorobenché vi sieno ancora tramezzo parecchi milioni di migliapur debbonosecondo la ragione della materiache contengonosensibilmente operare l'uno sopra dell'altro. Venne una talcongiunzione a cadere al principio della presente nostra età. E siccome a taltempo il sistema neutoniano non faceva che comparire nel mondoe avea però dimolti contrariben potete immaginareMadamaqual fosse l'aspettazione dicoloroa cui preme sovra ogni altra cosa saper fatti tanto da noi lontaniecome si aguzzassero per ogni lato di Europa gli occhi scientifici. Stavano essitutti rivolti al cieloper veder pure se avveniva sì o no un tal turbamentoch'esser dovea il paragone della verità del nuovo sistema e della fede che erada porvi. Certo sìch'egli avvenneMadama. Il turbamentoche cagionò Giovene' moti di Saturnoe quello che vicendevolmente Saturno cagionò ne' moti diGiovefurono talmente notabili che si trovarono forzati a riconoscerli e aconfessarli quegli medesimichefatte delle scommesse contro dell'attrazioneavrebbono voluto non vedergli.

- Non a torto certamente- ripigliò qui laMarchesa - da voi dicevasi l'altro dì che l'attrazione si manifestasingolarmente ne' fenomeni celestiche l'hanno narrata al Neutonoed egli allegenti. In ogni angolo dell'universo ella domina visibilmente; ogni movimento de'pianeti ne prova ad ogni instante la esistenzale proprietà ne dichiara e leleggi. Pare veramente che il cielo sia il suo regno: tanto più che qui in terraella sdegna talvolta a manifestarsiquando pur pare a me che manifestar sidovesse. Ma che fo io? non già ch'io intenda levar dubbi contro a un Neutonoch'io vogliacome si diceapporre al sole.Pur dirò la difficoltà che mi va ora per l'animoacciocché da voi sgombrata mi venga ogni nebbia d'inganno. Come è mai che unleggier corpicciuolouna piumaper esempiotrovandosi vicino a un torrione oaltro gran corpacciodi cui grandissima sia l'attrazionenon la veggiamoandare ad unirsi con quello? - Madama- io risposi - come è che in un romanzoogni sentimento cedesse all'amor della patriain una bella ogni altra passioneceda alla voglia di piacere? Come è che in mezzo al mormorio delle acque dellagoquando è irritato dal ventoda noi non si oda il ronzar di un insetto? -Comprendo - disse la Marchesa - il senso delle vostre figure. L'attrazione dellaterra è di tutt'altre vittoriosae fa di loro

 

quelche fa il dì delle minori stelle.

 

- Così fa giustamente - io risposi. - Con tale etanta forza ella invade e penetra la piumache non le lascia per niun contosentire le attrazioni particolari di qualunque altra cosa le sia d'appresso. Lavirtù attrattiva si agguaglia alla massa o alla materia che i corpi racchiudonoin sécome già sapete. Or qual picciola cosa non è un torrionerispetto atutta quanta la gran massa della terra quanta ella è? Fate pur conto che laparticolare attrazionenon dirò di un torrionema di una montagnae confinipure col cielocome di quella sua dice l'Ariostoriesce affatto insensibileè un niente.

Ma dove l'attrazione - continuai io a dire - sidispiega singolarmente agli occhi di tutti qui in terraè nel maravigliosofenomeno del flusso e riflusso del mare. Fu esso in ogni tempo uno dei grandiobbietti delle speculazioni dei filosofisul quale furono dette assai stranecose. Sapete voiMadamala ragione che ne danno i Cinesi? Ardedicon essisino dal principio del mondo la più crudel guerra tra due gran popoli inorigine fratellil'uno abitante delle montagnel'altro del mare. Non rifinanomai costoro di combattere; le armi son giornaliere;ora è perdenteed ora diviene signor del campo il popolo che abita lungo ilmare: ed ecco il mare che ora monta ed ora dibassa. - In verità- disse laMarchesa - che se la filosofia de' Cinesi va tutta di un tal passonoi saremmotroppo cortesi verso quella nazionecosì altamente stimandogli come sento checomunemente si faccia. E non potrebb'egli avvenire che della grande opinione cheabbiamo di loroessi fossero in buona parte debitori a quelle migliaia dimigliache sono tra il loro paese e l'Europa? come forse gli antichi hanno unqualche obbligo anch'essi a quei tanti secoliche da noi gli dividono. Lalontananza del luogodove uno dimorio la lontananza del tempo in cui vissenon furono mai solite diminuire la fama altrui. - Certo si è- io risposi -Madamache il genio de' Cinesi non è gran fatto filosofico. Quantunque lastampa sia tra loro una invenzione antichissimae quantunque il governo non siapunto avaro agli uomini che sanno di ricompensa e di premionon hanno mai lescienze sotto il cielo di Pechino aggiunto al termine della mediocrità: anzi sipuò dire che vennero loro insegnate da' nostri Europeiche non erano in essedi gran maestri. I loro studi favoriti sono la linguadi cuiper essere unmare senza rivanon vengono mai a capo; e le leggende di quanto scrissero inogni cosa e pensarono i loro maggiorida' quali dissentire è delitto: studiatti a formare degli antiquari e de' parolainon a destar l'ingegnoo apromovere la ragion dell'uomo. Noi faremose così vi piaceMadamaunapicciola setta contro ai Cinesi; gli avremo in pregio per le loro porcellane eper i loro ventagli; ma non ne faremo niun conto per i loro sistemi difilosofia. Le ragioni per altro del flusso e riflusso del mareche diederoalcuni de' nostri filosofinon furono più filosofiche di quelle che ne danno iCinesi: l'assorbireper esempioe poi mandar fuori delle bigonce d'acqua senzanumeroche fa ogni dì non so qual gorgo dell'oceanodetto il bellico delmareo la respirazioneche ha di sei in sei ore il gran corpaccio della terra.- Non tutte però le ragioni - disse la Marchesa - de' nostri filosofi esserdovetteromi pensodi quel calibro. - Coloro tra noi - io risposi - che meglioosservarono le cose naturali si accorsero che tra le vicende del flusso eriflusso del mare e i moti della luna vi correva una assai strettacorrispondenza ed amistà. Tentarono alcuni di spiegare in che cosa ellaconsistesse; ma vani furono i loro tentativi. E il metter veramente in chiaroqual sorta di azione possa aver la luna sul marecome ella ne abbia governo ebalìaera riserbato al Neutono. E certamente attraendo la lunacome pur fail nostro globodi cotesta attrazion sua se ne ha da vedere alcun segno nellaparte fluida e cedevoleche in gran parte ricinge tutto intorno esso globo. Leacque marine sottoposte alla luna dovranno pure alcun poco levarsi in altoubbidendo all'attrazione di essa; la quale non è mica insensibilecome quelladel torrione o della montagna di poco fa. E voleteMadamavederne unoassaibello esempio? Voi sapete come l'ambrabene strofinata che siaha potere diattrarre a sé varie specie di corpi. Tra essi è anche l'acqua. Ora se un pezzodi ambra bene strofinata si presenti a qualche distanza sopra una conca piena diacqual'acqua si solleva in alto a guisa di monticello o di cupolaquasifacendo ogni suo sforzo di unirsi con l'ambra. - Un più bel modo - disse laMarchesa - non ci potrebbe esser di questoper rappresentare così a picciolola luna e i suoi effetti sopra del mare. Egli sembra che voi adoperate come gliarchitettichea mostrare ciò che ha da riuscire in grande la fabbricanefanno in prima il modello. L'acqua dunqueche trovasi essere sotto il pezzo diambra sialza in un colmo; e secondo che il pezzo di ambra si andrà muovendo qua e làvedrassi pur muovere e mutar sito il colmo d'acqua. – Nell’istesso modo perappunto - io seguitai - voi già comprendeteMadamacomesecondo che la lunacammina in cielodovrà tenerle dietro quaggiù il colmo d'acquach'ellainnalza nel mare sotto di sé. - Io comprendo - disse la Marchesa - che il mareche ricinge tutto intorno la terrasi ammozzicchierà sotto la luna; e piglieràse non errocome la forma di un uovola cui punta sarà sempre rivolta allaluna medesima. E quest'uovo - io dissi allora - vel figurate voi schiacciatonella parte di sotto? voglio dire nella parte opposta a quelladove è la luna.- Tale giusto mel figuro - disse la Marchesa. - E naturalmente - io ripresi -per la ragione che la virtù lunarepenetrando addentro e ricercando tutto ilglobo terrestrepur dee tirare a sé quelle acque che sono di sotto. - Appunto:- diss'ella - voi avete messo in chiaro quella ragionela quale io non vedevase non confusamente. - Ma pigliate guardia- io ripresi a dire - seconsiderando meglio quella stessa ragionele acque di sotto non dovesseroricrescere anch'esse e si avesse a far ivi un altro colmo o rialto nel mare. - Sì;rispos'ella - se ci fosse un'altra luna di sottoche attraesse per un versocontrario a quella di sopra: e ben veggo chese noi avessimo tante lune quantene ha Giove o Saturnoavverrebbono di simili bizzarrie. Ma come mai la medesimaluna potrebb'ella operar così contrari effettiche ella in un luogoavvicinasse le acque a sé e da sé le allontanasse in un altro? - Ma le acque -io ripresi - che sono di sottonon vengono anch'essecome quelle di sopratirate dalla luna più o menosecondo che le sono più o meno vicine? - Cosìè - ella rispose. - E le acque - io ripresi - che sono più sotto di tutte nonsono anche le meno vicine alla luna? - Veramente- disse la Marchesa - iodoveva comprendere che sentendo meno delle altre la virtù della lunadebbanoanche correre verso di essa con minor forzae restare più addietro dellealtre. - Ed ecco - io ripresi - l'altro colmo che dee farsi nella partedell'altro emisferoche è dirittamente opposta a quella a cui la luna soprastà.La mole adunque delle acque marine viene a pigliare una figura ovale e bislungacon due colmi l'uno diametralmente opposto all'altroche secondano sempre dalevante a ponente il moto giornaliero della luna: e in questo appuntoneltrapassare cioè di quei colmi d'uno in altro luogoconsiste il crescere e ilcalareil flusso e riflusso del mare. Sulle coste dell'oceano vedesi tuttogiorno come il volger del cielo della luna

 

cuopree discuopre i liti senza posa.

 

Inalcuni luoghi dove sottile è la spiaggiail mare se ne ritira per lo spazio dipiù migliae vi torna poi sopra con gran furia ad inondargli: talché dentroallo spazio di poche ore potrebbono nel medesimo luogo venire a giornata dueeserciti e due armate navali. Il Mediterraneo e l'Adriatico hanno essi ancora ilflusso e riflussoma più debole; e in queste nostre lagune vedesi la marea oraportar per un verso ed ora per l'altro le gondoletteintanto che il gondolierecanta a un bel raggio di luna la fuga di Erminia o gli amori di Rinaldo.Ma dove le mareefannosi grandissime è nel mare Pacifico e nell'Oceano orientale: e ciò attesola vastità di quei maridove niuna cosa impedisce il libero corso delle acque;e atteso sovra tutto la situazione di essiche sentono più gagliardal'attrazione del pianeta che loro dirittamente soprastà. E queste maree moltomaggiori anche si fannoquando il sole si trovi in tal posizione con la lunach'egli operi di conserva con essa a far ricrescere e gonfiar l'acque. - Adunquenon è vero - disse la Marchesa - che la luna sia sovrana assoluta del mare. Cheil sole vuole aver parte anch'egli nel di lei regno. - E dove non ha egli parte- io ripresi. - Egli checome lo chiamò il poetaè il ministro maggioredella naturaesecondo le più esatte osservazioni degli astronomiè per piùdi sessanta milioni di volte più grande che non è il pianeta che ne aggiornale notti e necosteggia. Sebbene la distanza sua grandissima dalla terra altro veramente nonfa se non se invigorire o debilitare la forza della luna; e secondo lasituazionein cui rispetto ad essa si trovaora ne scema l'effettocontrariandolo ed ora lo accresce col secondarlo. A ciascuno di essi vengonoesattamente dal Neutono assegnate le parti sue nella operazione del flusso eriflusso. Vi dice in quali tempi dell'anno e del mese debba essere maggiore ominorein quali luoghi debba essere più o meno sensibile; e viene da luifelicemente spiegato in ogni sua più minuta particolarità un fenomenola cuidifficoltà fece dire come uno de' più celebri antichi filosofi si buttasse inmare vinto dalla disperazione di poterlo capir mai.

- Con la scorta del Neutono - disse la Marchesa -non si corre pericoloa quel ch'io veggodi dare in disperazione per cosaniuna. Né vi ha così astruso fenomenoche non si possa arditamenteaffrontare. - Quali altre proveMadama- io continuai a dire - non potrei iodarvi dell'attrazionele quali si manifestano a color che danno opera allescienze naturalialla fisicaalla medicinaalla chimica? Ma basterà pertutte il testimonio di quel filosofo olandese per nome Mussembrochio tanto riputato a' dì nostri nell'arte sperimentalee tanto eccellente

 

chesovra gli altri come aquila vola.

 

Egliebbe solamente a dire chea farla da uomo libero anche nella filosofiadoveapur confessare di aver per lunghi anni osservato in ogni maniera di cose movimenti edeffetti taliche non possono né spiegare né intendere per via della pressioneesterna di fluidi sottilissirni; ma che la natura grida ad alta voce essereinfusa ne' corpi una virtùper cui si attraggono insiemeindipendentedall'urto e dalla impulsione. E oramai mi pensoMadamache più non farete lemaravigliese io vi ripeterò come entra ancora nelle cose dell'ottica e ci hache far l'attrazione. - Veramente- rispose la Marchesa - che difficoltàpotrei io ora averea credere che i corpi attraggono la luceche passa lorodappressose ho veduto la luna attraer le acque del maree i pianeti attraersil'un l'altro in quelle loro strabocchevoli e sterminate distanze?

- La refrazione - ripres'io allora a dire - non èella anch'essa un effetto di cotesta virtù attrattivacome lo è ladiffrazione? E non viene ella dallo essere i mezziper li quali passa la lucedotati di tale virtù più o menosecondo il più o il meno della loro densità?Sino a tanto che un raggio di luce scorre per il medesimo mezzocome sarebbel'ariaper esser tirato da tutte parti con egual forzanon declinerà né daquesto lato né da quello; ma procederà oltre seguitando la prima direzion sua.Ma se tra via egli viene a scontrarsi nell'acqua o in altro mezzo dotato dimaggior attrazione che non è l'arianon può fare cheubbidendo alla maggiorforzanon si accosti al perpendicolo nel tuffarsi dentro dell'acqua; e alcontrario dovrà succederecome in fatti succede quando dall'acqua torna aduscire nell'aria. Sentendo una maggiore attrazione dall'acqua che dall'ariaèdi necessità che si franga col discostarsi dal perpendicolobuttandosi versola superficie medesima dell'acqua dond'esce. Non sembra a voiMadamache dalNeutono si spieghi con felicità grandissima la refrazioneche diede anch'essaa' filosofi cotanta brigae fu cagione che quello dicessero che meno siconcorda col vero? Ma perché non poss'io mostrarvicon la geometria alla manocome dalla medesima attrazione debbano nascere gli accidenti tutti e leparticolaritàche accompagnano il refranger della luce d'uno in altro mezzo? Emeglio allora conoscereste se abbia veramente il Neutono dato in brocca - Perme- diss'ella - a cui non è dato di discernere così addentro e digeometrizzareun bellissimo riscontro mi pare esservero: che dovendo la virtù attrattiva esser maggiore dove maggiore è la densitàdel mezzoivi ancora si trovi esser maggiore la refrazione. - Nell'aria- ioripresi a dire - nell'acquanel vetro e in più altri corpi così solidi comefluidile virtù refrattive si mantengono nella scala delle densità. Ma da unatal regola bisogna eccettuarne quei mezziche hanno dell'oleoso e sono di lornatura infiammabili. Quantunque di minor densitàsono però dotati di maggiorforza e gagliardia nel refrangere; come hanno sperimentato i fisici coll'oliopiù valente a torcere i raggi della luce che non è l'acquabenché di essa piùleggieri. - Ohimè- ripigliò la Marchesa - io m'era formata in mente il mioragguaglio delle refrazioni secondo la densità dei mezzi; e con questaeccezione voi venite a turbare il mio concetto; e non poco. Si direbbe veramenteche coteste eccezioni non da altro sono buone che da guastare. Dove caschino neldiscorso ne sogliono spuntare il frizzante senza mai contentar coloro in graziade' quali vengono fatte; e confessate pure che nella filosofia fanno gran tortoalla veritàrendendola men generale. - Le eccezioni - io risposi - di questanatura altro non sonoa parlar giustamenteche novelle veritàe provengonodallo scoprimento di più causele quali si danno come mano l'una all'altra aprodur certi effettie vanno di compagnia. Cotesta maggior forza di refrangeredi chein proporzione della loro densitàsono forniti i mezzi oleosi einfiammabilinasce dalla relazionee quasi conformitàch'essi hanno maggioredegli altri con la luce. La luce opera più efficacemente in quellicoll'agitargliriscaldarglie persino coll'accendergli e fargli levare infiamma; ed eglino all'incontro operano più efficacemente nella lucedivertendola dal suo cammino. Pare assai probabile che in questa faccenda ci abbianouna parte grandissima le parti sulfuree e infiammabilidelle quali sono minierai corpi tuttiqual più e qual meno. Sapete voiMadamache quasi tutti icorpi sono fosfori? voglio dire chetenuti al sole ed anche al chiaroredell'ariae poi recati al buiosi veggon quivi luccicare poco o assai: e idiamantiche tanto prontamente si accendonoe però mostrano di esser pregnidi zolfohanno di fatto molto maggior lena nel piegar la luce che non comportala loro densità. - Tutto questo - disse la Marchesa - mi riesce assai nuovo adudire; esopra tuttoche i diamanti tenuti al sole si accendano. Io ho adunquein dito un fosforosenza saperlo! Mettiamolo al soleve ne pregoe faccianneor or la prova. - E così dicendosi trasse l'anello del ditoe mel diede. -Come è del piacer vostro - io risposi. E fatta bene accecareuna stanza vicinaalla galleriadissi alla Marchesa esser mestieri ch'entrasse là dentrointanto che io teneva il diamante al soleperché ne' luoghi scurislargandosia poco a poco la pupillagli occhi divengon atti a ricevere una maggior copiadi raggi e a sentire dipoi qualunque lume per debole che sia; dove all'incontrone' luoghi illuminati la pupilla si ristringeacciocché dalla soverchia copiadi raggi l'occhio non rimanga offeso. Entrò tosto la Marchesa nella stanza edio dopo di aver tenuto per qualche tempo il diamante al sole che già declinavaverso ponentegliel recai dentroavvertendola primaintanto che aprivasi laportaa dover tener gli occhi ben chiusi; enon senza gran maraviglia edilettoella vide assai vivamente risplendere in quel buio il suo diamante.Rientrati che fummo nella galleriaio ripigliai a dire in tal modo: - Ora voiMadamacon cotesto vostro anello confermato avete una verità che già discoprìin Bologna una gentil donna. - Forse -diss'ella - la discopritrice ne fu quellafilosofessa da voi celebrata in versi. - Nel fu - io risposi - una dama degna di altri versi che de' mieiedegna di esser conosciuta da voi. Tenera di partoella se ne stava in una bellaalcova con le cortine del letto ben chiusein luogo inaccessibilecome in talcaso è costumea' raggi del giorno. Quivi essendo visitata da un dotto medicoe gentile per nome Beccariil domandò un giornotosto ch' e' si fu postovicino al lettoche importasse quel lumicino ch'egli avea in mano. Da primaegli non potea comprendere qual cosa potesse dare occasione a una tale domanda;disse che egli non avea altrimenti né lumicinoné altra simile cosa in mano;e forse anche l'assicurò col Petrarca che non era bisogno di lume

 

làdove il viso di madonna luce.

 

Ladama dal canto suo pur assicurandolo che gli vedea luccicare non so che tra lemanigli aprì la mentee gli fece nascere un bel dubbiose per avventura ciòch'ella prendeva per un lumicino fosse un anelloch'egli avea quel giorno indito. Tocco da' raggi di fuori dovea forse luccicare come un fosforo in quellaoscuritàe facilmente lo vedevano gli occhi della damai quali avvezzi peruso a quella oscurità medesimavi poteano discernere che che sia. E un taldubbio divenne ben tosto per via d'iterate prove una  certezza. Incominciò di quivi il Beccari una lunghissimaserie di esperienzeche arricchirono la fisica di quantità di fosforimostrando essere chiusa e disseminata ne' corpi una luceche soltanto aspettadi essere come accesa da quella di fuorie risvegliata per risplendereanch'essa. E forse cotesta luceche più abbonda ne' mezzi infiammabilie chehanno più del sulfureoè la causa della conformità ch'essi hanno maggiorecon la luce medesimae di quella loro più forte azione sopra di lei. Madovunque risegga principalmente la virtù del refrangerequello che parràincredibile ad ognunoe che potea mostrare la sola esperienza accompagnata dalpiù fino ragionamentosi è che il medesimo mezzoper esempio il vetrosiadotato di forza attrattiva e di repulsiva. E siccome per l'una refrange i raggidella luce dentro a sé ricevendoglicosì gli riflette per l'altraquasi da sé rigettandogli.

- Che cosa è - disse la Marchesa - cotesta nuovaforzache voi chiamate repulsiva? non mi pareche ancora ne faceste parola. -Questa forza - io risposi - ci è anch'essa mostrata da quella madre prima diogni nostro sapereda quella che fu chiamata fonte a' rivi di nostr'arti: inuna parola dalla esperienza: e non di rado la veggiamo esser compagnadell'attrazione. Due pezzi di calamitasecondo che si presentano l'unoall'altroora si attraggono ed ora si repellono. L'ambrail vetro e più altrecosebene strofinate che sienotirano a sée poco stante da sé rigettanode' leggieri corpicciuolicome minuzzoli di cartapagliuzzefiocchetti dibambagia. Nelle operazioni chimiche si manifestaal pari dell'attrattivalavirtù repulsiva: ed essa è pur cagione che le evaporazionio gli alitiiquali da un picciolino corpicciuoloper via del calore o della fermentazionevengono alzandosipiglino nell'aria un così gran luogo come fannoch'èproprio una maraviglia a vedere. Da che altro può egli avvenire che leparticelle della materiale quali erano prima contenute dentro a uno spazioristrettissimonon trovino poi luogo che basti ad espandersi; se ciò nonavviene da una virtùche in esso loro si dispieghidi repellersi e diallontanarsi tuttavia le une dalle altre? E non solo qui in terrama in cieloancora gli effetti si manifestano di cotesta virtù repulsiva. Ne sono un chiaroindizio quelle immense codedi che si ornano le cometedopo aver bevutodappresso i raggi del sole. Quantunque nelle rivoluzioni loro ubbidiscanocomesapetealle medesime leggi che i pianetipure non si rivolgono per orbitequasi circolaricome fan quellima per ovali sommamente bislunghe; di modo cheora si trovano assai vicine al soleed ora da esso per grandissimi spazilontane. Quando gli sono vicineil caloreche dentro ricevono oltre misuragrandene fa alzare una quantità di vaporiche dalla forza repulsivaallontanati gli uni dagli altri tengono in cielo sotto sembianza di coda deitratti grandissimi; talché essa coda apparisce infinitamente maggiore che nonè il corpo stesso della cometa donde svapora. Nel mille secento e ottanta andòuna cometa vicinissima al solee un grado ne concepì di calore senzacomparazione più intenso che quello non è di un ferro arroventato. Buona partedi essa sfumò in vaporitalché la codaonde si rivestìpigliava in cieloun tratto di ben ottanta milioni di miglia. Tristi a noise nel tornare dalsole tale fosse stato il cammino di quella cometada dover costeggiare ilnostro globo. Tocco da quell'infocamentosarebbesi in brev'ora abbrustolatodivampatoarso ogni cosa quaggiù. E se pure una falda soltanto di quella suacoda avesse strisciato sopra la terrasaremmo stati picciol tempo dipoisommersi in un diluvio d'acque; cotal giunta e quasi piena di vapori avrebbeessa recato nella nostr'aria. Ma io non vi voglioMadamamettere di similipaurecontro alle qualise non altrone dee far sicuri la brevità dellavita. - Iddio ci guardi - disse la Marchesa - da così fatti vicinie daglieffetti di quella forza repulsivache ne gli rende vieppiù terribili erovinosi. Ma ora mi ritrovo di bel novo tutta smarrita all'udire che ne'medesimi corpi vi si accoppino due qualità tra loro tanto contrariecome èl'attrazione con la repulsione. - Qualità forse necessarie - io risposi - perchétali sieno le cose quali realmente sono. Se dominasse soltanto la forzaattrattivasenza che niun'altra imbrigliata la tenessegià non pare che trale parti della materia esser vi potessero dei pori o dei vani; ogni cosaandrebbe ad unirsi insieme; in una picciolissima mole ristringerebbesi l'arial'acqua e la terra; quanto costituisce e forma questo nostro globo terraqueo siridurrebbe in una picciola pallottolinaa quella guisa che ridurrebbesi in unamassa il sistema solarese i pianetioltre alla forza che hanno di tendereverso il soledotati non fossero di quell'altra ancora di allontanarsi perlinea diritta da esso. E dal giusto temperamento di tali contrario sia dalladiscordante concordia delle cosene risulta l'ordine e la forma del mondo. Macome siasi di così fatta speculazionea voi sembraMadamaun grande enimmail dire che l'istesso vetro è dotato di virtù attrattiva e di repulsiva; cheun corpo si arroghi in certa maniera privilegio dell'uomo di volere a un tempo edi disvolere. Più forte enimmami stimovi parrà ancora chi dicesse chequelle due forzeche paiono così contrariesono in sostanza una sola emedesima forzache diversamente si dispiega. - Oh Dio- disse la Marchesa -questo mi riesce sopra ad ogni altra cosa difficile ad intendere. Se tutt'altriche voi mi avesse detto che la forza attrattiva e la repulsiva è tutt'unoaverei creduto sentire quel medico di Molièresecondo cui arrosto e lesso èla medesima cosa. In fine io altro non arrivo ad intenderese nonche il tirare a sé e il discacciare da sé sono due cose contrarie; enaturalmente venir debbono da cause contrarie. - Ed io ripigliai: - Il rivolgera ogni momento gli occhi verso di una persona non è egli contrario a non ve glirivolger mai? il parlottare continuo con uno a non gli dire mai un parola? epure simili contrarietà vengono il più delle volteben il sapetedallamedesima causache differentemente si spiega. - Ohquesto - disse la Marchesa- è un altro ordine di cose; e non credo già io che con tali argomenti mivogliate far neutoniana. - Proviamo- io risposi - se meglio vi persuaderà ildirvi che la virtù attrattiva e la repulsiva ben mostrano essere di una stessaoriginee quasi sorellea parlar cosìper le analogie o similitudini che siosservano tra loro. Amendue vanno insiemee sempre che l'una si dispiega conpoca o con molta attivitàil somigliante fa l'altra. Sino a tanto che i raggiscorrono pel medesimo mezzonon succede né refrazione né riflessionenéforza attrattiva si manifesta né repulsiva. Così l'una come l'altra accade nelconfine di due mezzi tra loro differenti in densità. Quanto più differiscono imezzila refrazionecome sapeteè maggiore; e lo stesso pur avviene dellariflessione. Osservate quanto più viva è la immagine di un oggetto ripercossada uno specchio di vetro che dallo specchio dell'acqua. I raggi che hannomaggior disposizione ad esser refrattihannola altresì maggiore ad esserriflessi. A riflettere gli azzurriche refrangono più facilmente dei rossibasta nelle particelle della materia una sottigliezza che non è valente ariflettere i medesimi rossi; e i raggi più refrangibilicome ben vi deericordaresono anche più riflessibili. Sono questiMadamabastantiargomentiper farvi anche in questa parte divenir neutoniana? - Molto - ripresea dir la Marchesa - è da ammirare la sottigliezza einsiemela precisione diun tal discorso. Pur nondimenoa parlarvi liberamentea me sembrava assai piùnaturale attribuire la causa della riflessione non a quella forza repulsiva chedite orama al dare che fa la lucesecondo che pur dicestenelle parti solidede' corpidonde è rimandata indietrocome una palla che dà in terra. Ciò èpur facile ad intendersie naturale ad avvenire. - Ed io ripresi in tal modo: -Madamaio usai allora il linguaggio de' filosofi volgari per condiscendere alnostro immaginare. Ma sapete voi quale inconveniente dovrebbe nascereessendovero ciò che par tanto naturale? E' non ci sarebbe specchi al mondonon cisarebbe cosa che ne potesse presentare la nostra immagine. - Oh questo sì-disse la Marchesa mezzo sorridendo - che ci tocca nel vivo. - Perché possiatevedervi - io seguitai - dentro allo specchioconviene che i raggicome giàavete intesoi quali dal vostro volto vanno a esso specchiose ne ritornino avoi con la stessa stessissima inclinazione con cui vi andaronosenza che dallariflessione sieno turbati per nienteo disordinati in qualunque modo si sia.Oraquando ciò avesse da avvenire in virtù dei raggi riflessi dalleparticelle componenti la superficie dello specchiosarebbe necessarionon èdubbioche la superficie tutta si fosse perfettamente liscia e pulita;altrimentise vi ha delle asprezzedelle ineguaglianze qua e làche vale adire se le parti della superficie formano come altrettanti rialtio pianivariamente inclinatii raggi riflessi non potranno più dirigersi verso ilmedesimo luogo; maseguendo appunto la inclinazione di ciascuno di que'piccioli pianiverranno sparpagliati da ogni partené potran rendere laimmagine dell'oggetto che loro si affaccia. - E gli specchi - disse la Marchesa- non sono eglino così puliticome voi dite che hanno da essere? - Nocertamente - io risposi - e con effetto se voi guardaste col microscopio lesuperficie di quellile vedreste scabrose ed asprenon altrimenti cheall'occhio nudo è lo specchio delle acquequando sono increspate dal vento.Considerate ora da per voiMadamacon qual disordine sarebbe dagli stessispecchi riflesso il lumequando venisse riflesso dalle particelle dellasuperficiee non da una forza che muove e risulta dal totale del corpo; e inparagone di questa le piccioline forze di esse particellele qualiquanto èin loropur vorrebbono gettare i raggi per ogni versosi rimangono affattoinsensibili. - Ma voi - soggiunse la Marchesa - mi fate forse più paura che nonmerita il pericolo. Coteste scabrositàbenché ingrandite dal microscopiopursono in sé picciolissime. E se son talicome si può egli venire in chiaro che nelle particelle della luce debbano partorire di cosìgran disordini? - Le scabrosità degli specchi - io ripigliai - ci si rendonoquasi palpabili per mezzo degli microscopi; ma non già le particelle dellaluce: e da ciò si può arguire la incredibile loro picciolezzache per quantovengano ingrandite anch'esse da quegli ordignipure isfuggono la nostra vistae ci rimangono del tutto invisibili. Anzi tanto è lontanoMadamach'ellecader ne possano sotto i sensiche fate pure di provvedervi del più valentemicroscopio e armatevene l'occhioe i pori di cotesto vostro diamantepe'quali passa la luce in grandissima copiavi rimarranno anch'essi invisibili.Che più? Le particelle della luce sono verso le scabrosità degli specchi comealtrettante pallottole di bigliardoche dessero contro a cotesti nostrialtissimi monti. E buon per noi che sieno più che minutissime. La forza de'corpi risulta dalla quantità di materia che contengono in séo sia dallamassa e dal velocità con cui muovono; talché un granello di piombo può averforza di fare altrui un mal gioco per la velocità soltantoche gli dà lapolvere d'archibuso da cui è spinto. Ora le particelle della luce sono spintecon tale incredibile velocità

 

che‘l  muover suo nessun volar pareggia.

 

Secondola bella scoperta di un danese per nome Romero in un mezzo quarto d'orae non piùviene da esse corso lo spazio diquasi cento milioni di miglia nel venire dal sole alla terra. Vedete i piùbravi corsieri d'Inghilterrache in un minuto hanno già fatto un miglioessere al paragone più tardi che testuggini. Poiché adunque tale e tanta è laloro velocitàconvien dire che la massa di ciascuna sia quasi cheinfinitamente picciola: altrimenti la luce scagliata dal sole menerebbe qui interra la rovina del cannoneanzi che drizzare e aprire i fioretti nel lorostelo anziche svilupparecome fae muovere soavemente ogni cosa.

- Piacemi - disse la Marchesa - non avervi prestatofede così di leggieri. Egli è pure la buona regola in qualunque sia incontro anon si mostrar troppo corrive a credere. Si vengono ad avere in tal modo dellemaggiori prove di ciò che è veroo di ciò che si desidera lo sia. Ed oramolto buon grado debbo sapere a voiche rispondendo alle tante mie domandefate che il dubitare non meno mi giovi che il sapere. - Ed io risposi: - Non adaltri che a voi medesima ne dovete aver gradoMadamache sapete muover que' dubbiche conduconoalla verità. - La verità è adunque - disse la Marchesafatto un po' di pausa- che la luce è rimandata da' corpinon già dopo avere in essi percossomaprima ch'ella giunga a toccarne la superficie. Strana cosa ad udire! Non bastavaadunque che si mostrasse la vanità di quanto avea detto il Cartesioche purpareva tanto naturalesulla causa del moto dei pianetisulla origine dellaluce e de' coloriche si dovea anche smentirlo sulla riflessione della luceche pareva la più natural cosa di tutte. Altro non manca se non dire chesiccome la luceche riflessa è da' corpinon urta contro alle parti solide diquellicosì la luceche dai corpi è trasmessanon passa altrimenti per iloro pori. - Io già non sono - risposi allora - per negare al Cartesio cosìrisolutamente anche tal cosa; ma dirò beneche la esperienza dimostra

 

sapeteche bisogna star con lei

 

chealla trasparenza non fa nulla la quantità o l'ampiezza de' pori. Anzi un fogliodi carta imbevuto che sia d'acquao inzuppato d'oliosi fa tosto diafano etraspare; che vuol dire turate i pori della cartae al lume aprirete la via. -Da che nasce mai questo? ripigliò ella - che quanto chiara è la provaaltrettanto m'immaginone sarà oscura e misteriosa la causa. - Non da altro-io risposi tosto - che dalla uniformità o similitudine tra la densità dellamateria nuovamente intrusa ne' pori della carta e la carta medesima; la qualeuniformità non trovavasiquando i pori della carta erano pieni d'aria. Cosìdalle particelle dell'olio o dell'acqua trapassano liberamente i raggi in quelledella cartaquasi durassero a andare per lo medesimo mezzoo trapassassero davetro a vetroquando l'uno combacia perfettamente l'altro. Dove al contrariose il lume nel traversare un corpo trova ad ogni instante per la diversitàdella materia dove riflettere e dove refrangeremolti raggi tornano indietromolti altri se ne sperdonoe pochi o niuni ne passan oltre. Né già per altracausa lo sciampagna di trasparente diventa opacoquando mesciuto d'alto si levain ischiuma; che tanto è a direquando tra le sue particelle ad intruder siviene maggior copia d'aria. - Non picciolo è l'onore - disse qui la Marchesa -che voi fate allo sciampagnafacendolo servir di prova alle più reconditeverità della filosofia inglese; essoche sino ad ora ebbe soltanto virtù dispirare di bei motti e delle canzonette all'allegria de' Francesi. - Vedeteancora - io soggiunsi - veritàche si contiene entro alla schiuma di quelvino: una prova certissima che lo spazio immensoper cui muovono i pianetièvoto di qualunque materia per quantunque rara e porosa fingermai si potesse; un argomento per render più libere e spedite le vie del cielo.La lucenon ostante quella sua incredibile velocitàche non è da noi loimmaginarlaci mette a venire dalle stelle sino a noi un tempoconsiderabilissimo; tanto ne sono elleno per uno strabocchevole e quasi cheinfinito spazio lontane. Ora se la lucenel venir dalle stelle a noiscontrasse qua e là in quel lunghissimo suo viaggio delle particelle dimateriache nuotassero in cielodovrebbe infiacchirsivenir meno di mano inmanocome il più numeroso e fiorito esercitoche per li continui disagi delcammino vien menoe si disfà in una lunghissima marcia. Ma che dico venirmeno? egualmente che faccia nel tragittar la schiuma dello sciampagnadovrebbesperdersi del tuttoed ispegnersi a cagione di quelle tante riflessioni erefrazioni senza fineche avrebbe a patire; ed a noi sarebbe tolta la vista diquelle innumerabili stelleche col scintillare e col brio della lor luce nerallegran le notti. - Ed ecco - disse la Marchesa - anche per questa novellaprovasgombrato il cielo di qualunque cosa al libero corso de' pianeti recarpotesse impedimento od ostacolo. In fatti non hanno essi a trovare per via senon l'attrazione che gli governae la luce che gl'illuminagli secondaglivivifica: la luceche al suo apparire mette da per tutto vigoria e letiziaein sé contiene gli smeraldii rubini e i zaffiridi che la natura colora earricchisce l'universo.

- A tantee così nobili scoperte- io ripresi adire dopo alcuna pausa - che di tanto hanno avanzato la scienza dell'otticailNeutono aggiunse molte curiose quistioniquasi proponendole all'esame de' piùsottili filosofi: tra le altrese la differente refrangibilità originata nonsia per avventura dalla differente grandezza de' corpicciuolionde compostisono i raggi della luce. Non si direbbe egli che i più piccioli corpicciuoli ditutti debbono esser quelliche il color violato ne mostrano il meno forte dituttie che più degli altri refrangendomeno anche resiste all'attrazione deimezzi? Più forti del color violatoed anche meno refrangibili si trovanoessere di mano in mano l'azzurroil verde e il giallo: e però i lorocorpicciuoli saranno più grandicelli di mano in mano; sino a tanto che siarrivi al rossoil quale essendo il colore di tutti gli altri il più accesoeinsieme il meno refrangibiledovrà essere ancora di corpicciuoli di tutti glialtri più grandicelli formato. Tali cose egli non ardisce asserireperverisimili che paiano; e proponendole sotto forma di domandaegli ne insegnaquello che è da pochissimi: a saper dubitare. - Raro veramente - qui entrò adir la Marchesa - convien confessare che fosse un tal uomo. Non volle attribuirepiù che non si convenisse a quello che ha soltanto sembianza di vero; non vollepunto abusare dell'autorità sua; e quello e non altro affermòche può farbuono con la dimostrazione. Quanto onore non dee egli fare alla speciefilosofica! E ben pare la natura il formasse di un altro conio che gli altriuomini. - A segno - io risposi - che un Francese celebre per la sua dottrina erasolito domandare a coloro che lo aveano veduto et uditose era pur vero cheavesse anch'egli le manie i piediuna personacome l'abbiam noi. Quello poiin che sommamente differiva dagli altri uomini era una rara e singolaremodestia. Richiesto un tratto per quali vie fosse giunto a discuoprire tante etanto ammirabili coserispose non aver fatto se non quello che fatto avrebbetutt'altr'uomo datosi a pensare con pazienza. Lontano dal volere imprendereguerre letterariecercando insieme con la verità la quiete dell'animocosadiceva egliveramente sostanziale; i più bei frutti del suo ingegnolasciavagli nell'oscuritànon curando di manifestarsi e di rivelare ciòch'egli era. L'Hallejogrande astronomo e amico di luiviste per venturaquelle maravigliose discoperteche troppo lungo tempo erano rimase nascostelosforzò a pubblicarle; ed ei si vantava di essere stato l'Ulisseegli chetratto quello Achille dall'ombralo avea collocato nella luce aperta del sole.Appena si mostrò in pubblico che si levò tra queipochia' quali era dato d'intenderloun grido di applausoche risuonò dimano in mano tra ogni schiera di gente; e ben presto ebbe del suo nome ripienoil mondo; e il Neutonoquasi suo mal gradogodé viventee in grembo dellasua patriadi quella gloria di che gli uomini grandi godono solamente appressole nazioni forestiere mentre vivonoe appresso i loro compatrioti dopo morte.Ma ben era il dovere che in singolar maniera esaltato venisse colui il qualeavea recato l'uman genere a quell'ultimo grado di saperea cui gli è forsedato di giugnere. Che se noi non ne sappiamo più lànon è colpa del Neutonoma della picciola portata del nostro ingegnoo piuttosto del poco numero disensi onde fornito è l'uomo. Sono essi quasi le porte per cui entra nell'animaogni nostro sapere: e se di alcuno altro sensooltre a quelli che ne sonocaduti in sortene fosse stata cortese la naturadi nuove cognizioni saremmovenuti acquistando senza dubbiodi nuove qualità avremmo scoperte ne' corpile quali un novello lume ci recherebbono nelle oscurità della filosofia. -Sembra però - disse la Marchesa - che sendo noi arrivati a conoscer cosìaddentro nelle più fine tessiture della lucee ne' globi lontanissimi deipianetisembra- dissi - che il raziocinio del Neutono abbia supplito in certamaniera a' sensiche mancar potrebbono all'uomo. - Pur chi sa- io risposimezzo sorridendo - se in Giove non ci abbia viventicheper via di sensi a noiignotiveggano distintamente ciò che costituisce la varietà del colore ne'minimi corpicciuoli che scaturiscono dal sole; e non veggano ancora in qualmaniera il loro globo per mezzo all'ampiezza del voto attragga quello diSaturnoe ne turbi il movimento; più perspicacie lincei che i nostrifilosofi non sono? - Molto felice - disse qui la Marchesa - sarebbe la lorocondizione; e un idiota di Giove potrebbe esser collocato alla testa delle piùfamose università e accademie della terra. Ma forse voi fate come queiviaggiatoriche vanno tanto magnificando le virtù di certi popoli del nuovomondoche ce gli farebbono credere più che uominie non sono altro insostanza che selvaggi.- Non per tutto questo- io risposi - noi avremmoda portare invidia agli abitanti di Giove. Si potria dare che vedessero megliodi noi che cosa sono in se stessi i colorima non ne godessero come noiquandomisti gli vediamo su una bella guancia; e se più distintamente di noi conosconole attrazioni del cieloforse quelle più dolci della terra non sono da essicosì vivamente sentite come da noi. Se si ha a dar fede al piacevole storico diquei mondiin quel pianetadove non sono rattristati da Martenon han peròVenere che gli consoli: e in ogni cosa ci sono dei compensi; e ben noi saremmo imale accorti a volerci sopra i nostri difetti tormentar l'ingegnoe pigliarmalinconia. Non ci mancheranno né piaceriné cognizionise dei sensiche nesono toccati in sortefaremo quell'uso che si conviene. E già voiMadamanesapete assai più cheal dire di moltinon è mestieri a una dama; voi chesopra un versettosopra una luce settemplice avete pur voluto un comentochebastar potrebbe a un poema sulla filosofia neutoniana. - Come- disse mezzosorridendo la Marchesa - potrei io dunque credere di saperne tanto da esseranch'io del bel numero de' seguaci del gran Neutono? - E come no? - io risposi.- Voi avete animosamente affrontato le difficoltà di quella filosofia; aveteper essa rinunziato a quel sistemache tanto vi rideva alla fantasia; avetevinto in certo modo la vostra fantasia medesimache parea ripugnare ad alcunepiù astruse verità. Debbo io dirviMadamache non siete da meno degliArgonautichelasciato quanto aveano di più carosi avventurarono per unmare ignoto e a domare impresero tanti mostriper fare il conquisto del famosovello d'oro? - Parlando fuor di burla- soggiunse la Marchesa - io non avreicreduto mai di divenire tanto dotta da dovere istudiarmi a parere ignorantedinanzi alle persone: che pur troppo dagli uomini è alle donne messa in contodi delitto ogni minima ombra di sapere. - E se si avesse un giorno - ioripigliai - da far palese al pubblico cotesto vostro sapere? - Vorreste voiforse - diss'ella - farmi un mal giuocorivelandoche io vi abbia richiesto diquelloche meno a donna si conveniva? - Chi sa- io risposi - Madamase ionon mi proverò anche un giorno a scriver la storia di questa nostravilleggiatura. E sol che mi venisse fatto di ritrarvi al naturalenonmancherebbonoson certolettori alla mia storiané seguaci alla filosofiadel Neutono. In ogni modoMadamavoi sareste la Venereche presterebbe ilcinto a quella austera Minerva; ed ella si mostrerebbe alle genti non menoleggiadra che dotta.

 

 

DIALOGO SESTO

 

Nel quale si confutano alcune nuove ipotesi intorno allanatura de' colorie si riconferma il sistema del Neutono.

 

Non andò molto tempoda che io feci con laMarchesa di F... quella mia villeggiatura filosoficache io passai l'Alpi perla seconda volta desideroso di rivedere que' paesidoveper l'ampiezzaedunità dello statofiorisce ogni qualità d'artiogni bel costume e vivergentile. Di là presi il cammino a più remoti paesi per vaghezza di veder cosepellegrinee venni dipoi dove mi fu dato di vedere la più pellegrina cosa ditutte: semplicità di maniere unita a regio statoinstancabilità nell'operareerudizione nell'ozioe sul medesimo capo gli allori di Marte e quelli delleMuse. Finalmente tornatomene in Italiail mio primo pensiero fu riveder laMarchesa. Un giorno adunquesenza farlene altro sentireandai alla sua villadi Mirabello sulle rive del Benaco; che làessendo di luglioseppi ch'ella sitrovava; né mi fu di gran dispiacere a non ci trovar compagnia. Moltolietamente ella mi accolse; e vari furono i ragionamentico' quali fu da noiscorsa in picciol tempo quasi tutta Europa. Dalle nuove del mondodalleistorielle e dalle mode si venne a ragionar delle venture della filosofia. Edessendo io entrato a parlare delle riconferme che fannosi tuttodì del sistemache aveva abbracciato la Marchesa: - Per tutto questo - ella prese a dire - noncredo già ioche il signor Simplicio vorrà quetarsi. E ben ve ne dovetericordare del signor Simplicioche è quel gentiluomo che vedeste qui da mealcuni anni sonoe di poeta è divenuto filosofo. E di tal cambiamento ne fostepur voi la cagione; che dappoiché intese voi ragionar di filosofiatanto se n'èinvaghitoche d'altro quasi mai non parla che di filosofia. - Madama- iorisposi - qual ne sia stata la cagioneo io o altrimi penso cheintrattenendovi egli ora con ragionamenti scientificicompenserà alle molteseccaggini che egli vi diede già con quelle sue poesie. - Oh s'egli capitassequa- disse la Marchesa - come suol fare quasi ogni mattinae toccasse anche avoi l'udirlo ragionare di osservazionidi sistemidi nuove scopertebenvedreste il bel compenso ch'è questo.

Non entra meglio a proposito un personaggio inscenaquando più ne ha bisogno il poetachesecondo il desiderio dellaMarchesavenne appunto a capitare il signor Simplicio; il qualeveduto me incompagnia di leirimase alquanto sospeso. Ed ella rivoltasi verso di me: -Eccovi - disse - il signor Simplicio; ma di quanto mutato da quel di pria! chedi gran petrarchista è divenuto un valorosissimo antineutoniano. - Indirivoltasi a lui: - E questi (come va il mondo!) è neutoniano più che mai. - Secosì è- egli rispose - troppo gli sarà incresciuto dì abbandonare ilnorte; al qualenascendofece di sé grazia il Neutono. - Qual migliorragione- io risposi - per amar meglio di trovarmi qui che quella che abbiamoamendue dinanzi agli occhi? senza parlar del piacere che mi aspetto all'udire inuovi pensamentied anche le scoperte da voi fatte nella filosofia. - Aconfessare il vero- egli rispose - di filosofia ho voluto avere alcunaparticolar contezza anch'io; che non pare oggimai di poter stare nelle gentilibrigate chi è digiuno delle dottrine del Neutono e del Cartesio: del rimanenteio non presumo di far nuove scoperte;

 

graziech'a pochi il Ciel largo destina.

 

-Che sono adunque - disse allora la Marchesa - que' ragionamenti che avete tenutomeco? e mi dicevate di quelle nuove dottrineche hanno ancora da metter infondo il sistema neutoniano. - Madama- egli rispose - quelle cose che vi hoaccennateerano bensì scoperte italianema non già mie. Ma che occorreparlarne? quando le stesse dimostrazionise non hanno il pregio di esserforestierenon sono né meno guardate in visodirò cosìnon vengono puntoascoltate. - Mi giova però credere - soggiuns'io - che voi non pensiateche ioabbia detto in segreto al Neutono: tu sola mi piaci. - Le scoperte ch'io volevadire- ripres'egli - ognuno può vederle nel libro delle affezioni del lumeal quale chiunque vorrà giudicar senza passioneapproprierà i memorabili versi di quel nostro poeta:

 

Hannogli altri volumi assai parole:

questoè pien tutto di fattie di cose

ched'altro che di vento empier ci vuole.

 

Eprima di ogni cosa l'autore vi mostra gl'inganni che sono giocati in quelletanto studiate sperienzeper cui ci vorrebbono far credere che i raggi sonodifferentemente refrangibiliche i colori sono immutabili e ingeniti alla luce;e procede dipoi a darne il vero sistema dell'ottica. E quivi egli non fonda isuoi ragionamenti sopra vani suppostima per via di sperienze facilissime eincontrastabili egli determina puntualmente e descrive in che modomischiandosiil lume coll'ombrane riescono più maniere di risultati; e secondo che lanatura pittrice variamente contempera i velamenti del chiaro e dell'oscuro essamedesimale cose sortiscono vario colore. - Ben sapetesignor Simplicio-disse qui la Marchesa - che tal vostra dottrina non mi può riuscir nuova. - Nocertamente- diss'io - s'ella pur è una vecchia dottrinache dalla variamescolanza della luce e dell'ombra ne nascano i vari colori; e checon qualchescambietto di paroleè stata nuovamente riprodotta anche in Francia. - Lodatosia Iddio- disse il signor Simplicio - che sarà ora da sperare che un talsistema abbia da trovar grazia tra noi dinanzi agli occhi di molti. - Mafinalmente - disse la Marchesa - un sistema di filosofia non è una tabacchierané una cuffia; e però non è da credere vogliano riceverlo né meno dalle manide' Francesisenza farvi su un poco di esame. Domanderannoper esempio. quelloche mi resta ancora da intendereperché similmente un pittore con gesso ecarbone non possa formare tutti i colori; se vero è che da altro originati nonsieno che dal chiaro e dall'oscuro. - Come maiMadama- egli soggiunse -potrebbe giunger l'arte dell'uomo all'arte della natura? E l'arte appunto sinoad ora incomprensibile della naturae da non contraffarsi da noivienemaravigliosamente svelata nel libro delle affezioni del lume: non giàcome iodicevaper via di vani presuppostima per via di tali esperienzeche vengonoa formare altrettanti canonio sia regole infallibili. - Uno de' canoni -allora io ripresi a dire - di quel libronon è egli questo? Se un fondo chiaroraggerà per un mezzo scurocaso che la forza del mezzo sia picciolanasceràil color giallo; caso che grandeil rosso. - Vedetesignor Simplicio- dissela Marchesa - cheper l'amor delle cose forestiereegli non ha rinunziato allenostre. - E un altro canone- io soggiunsi - se non m'ingannoè questo: se unfondo scuro raggerà per un mezzo chiarocaso che la forza del mezzo siapicciolanascerà il color violato; caso che grandel'azzurro. - Appunto -disse il signor Simplicio. - Vediamo- io ripigliai - se potrò ridurmi anche amemoria le sperienzesulle quali sono fondati cotesti canoni. Si mette unfoglio di carta al soleestandosi uno nell'ombraguarda cotesto foglio atraverso una lastra di vetro chiamato girasolech'e' pone dinanzi agli occhi.Se il vetro è sottilela carta traguardata per esso par giallae rossas'egli è grosso. La carta bianca illuminata dal soleè il fondo chiaro; e lalastra del girasole nell'ombra è il mezzo scuroper cui raggia il fondochiaro. Se il vetro è sottiledicesi esser picciola la forza del mezzoenasce il color giallo; laddovese grosso è il vetrogrande è la forza delmezzoe nasce il color rosso. Non è così signor Simplicio? - Così è - eglirispose. Ed io ripigliai a dire: - Per la prova del secondo canone la carta ènerae situata nell'ombra; e il girasoleper cui la si guardaè illuminatodal sole; che tanto è a dire il fondo e scuro e il mezzo chiaro. Se poco ha digrossezza il vetroe sopra esso dieno soltanto i raggi diretti del solenelqual caso picciola dicesi la forza del mezzonasce il color violato; ma semaggiore è la grossezza del vetroe sopra esso dieno i raggi del solecondensati da una lentee in tal modo si accresca la forza del mezzoil coloredi violato diventa azzurro. - E bene- disse allora il signor Simplicio - chevi par egli di tali prove? Qui non si fa sforzo niuno per storcere einterpretare a suo favore i sensi della natura:

 

quinon v'ha luogo ingegno di sofista.

 

Lafisica ha ella dimostrazioni più palpabilipiù chiare di queste? A me peraltro - disse la Marchesa - saranno sempre inintelligibilisino a tanto che nonmi si dichiari che cosa veramente si vuole intenderequando dicesi un fondoscuro che raggia per un mezzo chiaro. Per quanto io ci abbia pensato sunon miè riuscito mai di formarmene un giusto concetto nella mente. - Quale è la cosa- rispose il signor Simplicio - che non rimandi all'occhio nostro dei raggi pocoo assai? - Tutte al certo - disse la Marchesa - ne mandano poco o assai; toltonegiusto quelle che sono veramente scure. Già altri non vorrebbe per una buianotte avventurarsi a camminare senza lumeo muover passo

 

sed'aver gambe o collo ha qualche spasso.

 

Ame pare tutt'uno il dire i raggi mandati dalla oscuritàche la vista di unciecoo la disinvoltura di un goffo. - Feci io qui bocca da ridere; e si storsealquanto il signor Simplicio. - Ancora - riprese a dir la Marchesa - è bisognomi venga dichiarato che specie di vetro è cotestoche si chiama girasole. Ioconfesso non averne udito mai più far menzione da altriche dal signorSimplicio. - Oh voiMadama- io ripigliai - volete sapere il segreto del suoautore. Quel vetroche serviva altre volte a far guastadetteorciuoli e tali altre misceeandato giù di modaegli lo introdussenovellamente nell'ottica: ed è fatto con tal arte e misturache riflette iraggi azzurrie trasmette i gialli; e s'egli è alquanto più massicciotrasmette i rossi. - Ora ecco- ripigliò prestamente la Marchesa - chepostoun tal vetro nell'ombrase uno traguarda per esso una carta illuminata dalsolenon vede se non per via de' raggi mandati dalla carta e trasmessi dalvetro: e apparirà il color giallo o il rossoconforme un vuole; il gialloseil vetro è sottile; e il rossose massiccio. All'incontro annerata la cartaecollocatala nell'ombrache è lo stesso che scartarla dal giocoe il vetrofortemente illuminato posto tra quella e l'occhioil vetro è solamente vedutoper via dei raggi da esso riflessie apparirà l'azzurro. - E cotesto azzurro -io soggiunsi - un po' men chiarocome essere pur deequando il vetro non è nècosì grossonè così fortemente illuminatosarà apparito agli occhidell'autore de' canoni un violatoche è il colore più vicino all'azzurroeinsieme più languido di quello.

- Non è picciolo- disse la Marchesa - l'obbligoche io pur debbo averviche in così brevi parole dato mi avete la chiave di unsistema. - Di fatto - io ripigliai - che il produrre tali maraviglie sia virtùtutta propria del girasole si vede a questoche rifatte le medesime sperienzecon vetri o cristalli ordinaricioè con mezzi puri e innocentinon nascealcuna varietà di colori. E però il volere fondar canoni generali o sia regoleinfallibili sopra esperienze fatte con una viziatadirò cosìqualità divetroè lo stesso che se uno avendo 1'itterizia prendesse a sostenere chetutte le cose son gialle. - Par che non sappiate- rispose il signor Simplicio- o finghiate di non sapereche oltre al girasole l'autore si servì in quelleesperienze di alcuni liquorie se ne vide sempre risultare il medesimo. - E chealtro - io ripigliai - potea risultarne? mentre quei liquori erano tutti in unasola boccettala qual conteneva la infusione di un legno americanochiamatonefriticoche ha la proprietà anch'essa di apparire azzurra a' raggi riflessie rossa o gialla a' trasmessisecondo che più o meno panciuta è la boccetta;ed è una speciediremo noidi girasole fluido.

- Gran cosa - egli rispose - che queste cosìvittoriose obbiezioni non le facesse l'Accademia di Londraquando uscì ilnuovo sistema a combatter l'inglese. E non è già dubbio non abbiano aguzzatoquanto sapeanol'ingegno per toglier di mezzo e gittare a terra tutto quelloche contraddir potesse il loro Neutono. Ben sappiamo della sua riputazione sienoteneri e gelosi. - Che debbo dirvi? - io ripigliai. - Il vostro autore aveafabbricato il suo sistema sulle rovine dell'inglese. Ben vi ricorderetecomeegli a guisa di proemio si mette a negare le sperienze del Neutonochedimostrano le principali sue dottrineo almeno a cavillarvi sopra. Che feceroin Londra? furono contenti quegli accademici di rifare quelle medesimesperienzevariando soltanto qualche circostanza in alcuna di esse; e ciò perrimuovere ogni qualunque dubbietàogni cavillo. Le sperienze riconfermarono leverità già dimostratenè si cercò più là. - Veggo - disse la Marchesa -ch'e' fecero come Ruggieroquandoin vece di trar fuori la spadascuopre loscudo luminoso dinanzi alla turba che gl'impediva la viae passa oltre.- CrediateMadama- egli rispose - che quelloscudo non ha virtù di abbagliare la vista di tutti. Molto ancora ci sarebbe dadire - egli soggiunse rivoltosi a me. - Ma a che mettere in campo altresperienze ed altri canoni? - A che veramente- io ripigliai tosto - quando sienfrecce del medesimo turcassoquando sien arme della medesima tempera? - Giàvoi- egli continuò a dire - troppo avete in ammirazione le cose inglesi;

 

Salveo beata oltremarina piaggia

salveterra feliceo dagli dei

amataterra! A te produr fu dato

coluicui diè di propria man natura

leimmutabili leggiond'essa l'ampio

reggeuniversoa lui solo cortese

ritrosaagli altri

 

conquello che séguita. Credete a meche quando s'è fatta in cuore la sentenzaè superfluo udir le parti. - Oh qui - disse la Marchesa - ha molto ben ragioneil signor Simplicio. La verità non ammette parzialità alcuna; è nimicamortale di qualunque prevenzione paresse la meglio fondata. OrsùsignorSimplicioesponeteci voi medesimo qualche altro canone di quegli che avete inriserva; e vediamo se ci sarà modo di trovarci la spiegazionesì o no. -Senza stiracchiatura - egli rispose - credo fosse alquanto difficile trovar laspiegazione di quelloper cui si viene a stabilire che raggiando un fondo scuroper un mezzo prima chiaro e poi oscurocome si abbattono insieme quelle coseche producono il colore azzurro e il gialloo il violato e il gialloappariscesempre il color verde. Non so come di questa faccenda ne cavassero i piedi isignori neutoniani. - E quali sono le esperienze - ripigliò la Marchesa - sullequali è fondato questo novello canone? - Una carta nera - egli riprese a dire -è collocata nell'ombra; e tra essa e l'occhio si pongono due pezzetti digirasole a qualche distanza tra loro. Il più vicino alla carta è illuminatodal sole; il più lontanoe dietro al quale è l'occhio del riguardanteècoperto dall'ombra: e il colore che si vede comparire è verde. - Che dite voi -ripigliò la Marchesa rivoltasi a me - di quest'altro canone?

- Dico la prima cosa - io risposi - che scartataanche qui quella carta nera collocata nell'ombracioè quel fondo scuro cheopera su un mezzo chiaroil primo vetro illuminato dal sole riflette al secondoraggi azzurri in grandissima copia; ma oltre a questi ne riflette ancoradegl'indachi e dei verdiche sono così gli uni come gli altriin ordine allarefrangibilitàegualmente vicini agli azzurri. - Ohimè- interruppe ilsignor Simplicio - che quel vetroil quale poco fa rifletteva soltanto i raggiazzurrial presente ne riflette degli altri ancorae segnatamente de' verdi. Enon è punto difficile indovinar la ragione perché il fa. - Perché - iorisposi - la natura non opera mai per saltima gradatamente; perché niun corpoci è al mondoche rifletta o trasmetta una sola specie di raggi senza unaqualche mistura degli altri; ma i raggi che non sono del suo coloregliriflette o trasmette più o mancosecondo che sono a quello più o manco vicininell'ordine della refrangibilità: e ciò lo mostrano all'occhio le cosecolorate poste ne' differenti raggi della immagine solare separata dal prisma.Ora che farà egliMadamail secondo pezzetto di girasole posto nell'ombra alricevere dal primo dei raggi azzurri in grandissima copiae oltre a questidegli indachi e dei verdi? - I raggi azzurri - ella rispose - gli rifletteràanch'esso come ha fatto l'altroe similmente gl'indachi; e i verdi parte neverranno da esso riflessi e parte trasmessicome quelli che si trovano esseregiusto di mezzo tra gli azzurriche il girasole per la natura della suacomposizione riflettee i gialli che e' trasmette. E così l'occhiochetraguarda dopo questo secondo vetronon potrà vedere altro colore che ilverde. - Ed io ripresi: - Ella il dissesignor Simplicio; e quando bene a voidesse il cuore di appellare dalla sua autoritàgià non potreste opporre allesue ragioni. Per esse un canone così intralciatocome era questocol qualepur volevasi da voi toccare il polso a' neutonianidiviene una conseguenza pianissimaunariprova del loro sistema; e converrà dire del vostro autoreil più granrivale che mai sorgesse contro al Neutonoquel che dice Catone nella tragediainglese: che sino all'istesso Pompeo combatté per Cesare. - Io dirò - eglirispose - co' nostri italiani

 

chepiù tempo bisogna a tanta lite

 

echese questo sistema pur patisce una qualche difficoltàtutti i sistemicome si suol diresono tagliati a una misura: né già il neutoniano non andòesentee non va dal patirne di molte e di gravi. - Con questo però- qui entròa dir la Marchesa - che ne uscì sempre come gli eroid'in mezzo alle calunnie.- Madama- io ripresi a dire - pigliate guardia che di tutte le difficoltà nonpotrebbe forse così agevolmente uscirne. E che potreste voi rispondere aquelloche toccò già a me di udire dalla bocca di un valente bacelliere oltremonti? Troppo ha del ripugnanteegli asserivae però rinunziava al Neutono ea' suoi inganniche da sette cose scurequali sonodiceva eglii colori delprismariuscir ne possa una lucidaquale è il bianco. E forse anche talunopotrebbe mettere in campocome un nostro italiano sostiene in istampache loammettere la diversità de' colori ne' raggi della luce è lo stesso che delglorioso corpo del sole farne l'Arlecchino dell'universo.

- Il mio pensiero - riprese a dire il signorSimplicio - non andava sicuramente a tali inezie; sì bene a più altredifficoltà mossenon ha gran tempoin Francia da un grave filosofo. - Mancomale- io soggiunsi tosto - che voi non intendete dei rancidumi del Mariottonèd'altri che già si levarono in Francia contro al Neutono. - Io intendo e parlodel Dufay- ripigliò egli con impazienza - il quale nell'Accademia di Franciadimostrò novella-mente le molte fallacie di questo Neutonoche con tutto ilgran peso della sua autorità non gli venne fatto di darla ad intendere a tuttele accademie del mondocome a quella sua di Londra. Quivi egli era non menopresidente che tiranno; né gli potea venire in capo così strano concettochegià non avessero giurato nelle sue parole. - Niente vi ha senza dubbio- iorisposi - che sia di maggior impedimento a' progressi delle scienze e dellaragionee contro a cui si debba stare più in guardiaquanto l'autorità. Maringraziamo Iddio anche per questo di esser nati in Europa. Tra i vantaggidich'ella gode sopra le altre parti del mondonon è il meno considerabile quelloche il contagio della opinione non può così agevolmente appiccarsi da luogo aluogo; che l'autorità o tirannia de' nomi non vi può avere un così lungoregnocome veggiamo per esempio essere avvenuto nell'Asiadove gli abitiicostumi e le opinioni filosofiche sono le istesse oggigiorno che già eranomolti e molti secoli addietro. Divisa come è l'Europa da marida fiumi e damontagne più che alcuna altra parte del mondoella viene eziandio ad essere invari e distinti governi divisa. E così la emulazione o rivalità chenecessariamente nasce tra' differenti comuni è cagione che sieno rigorosamenteesaminate e poste ad angustissimo vaglio tutte le opinioni letterarieche visorgono; che si disperda il falsoe non resti finalmente che il vero. In unaparola la piazza filosoficadiremo noidi Europa fa come le piazze mercantilidella Cinache non ricevono moneta coniata; ma solamente argentoche saggianoe pesano. - Non so poi- replicò il signor Simplicio - se tutti abbiano semprela pietra del paragone e il bilancino in tascae non vadano assai volte presialla impronta della moneta. - E non vedete - disse la Marchesarivolte a me leparole - che il signor Simplicio vi richiama alle difficoltà mosse contro alNeutono dal Dufay nell'Accademia di Francia; delle quali pare che con cotestevostre riflessioni voi vogliate passarvene? - Di qual peso elle sieno- iorisposi - non sono però tali che vadano al cuore del sistema. - Come non vannoal cuore? - egli rispose - quando il numero de' colori primariche secondo ilNeutono sono setteegli lo ristringe ai soli trerossogiallo e azzurro. Dalrosso e dal giallo mescolati insieme nasce il doré; dal giallo e dall'azzurroil verdecome si vede per sensata esperienza; l'indaco e il violato non sonoaltra cosa che mezze tinte dell'azzurro; e in oltre il biancoper la cuicomposizione credeva il Neutono che ci volesserotutti e sette i suoi coloriil Dufay lo compone co' soli trerosso giallo e azzurro. - A buon conto- ioreplicai - vedete che dal Dufay negate non vengono nè la composizione del lumenè la differente refrangibilità de' ragginé la immutabilità de' colori.Quanto poi al numero de' colori primari non dovreste ignorare ciò che gli furisposto. Per qual causacondensati e riuniti per via di una lente convessa iraggi violati e gl'indachinon si ha egli il colore azzurro? E sparpagliati pervia di una lente concavache fa un effetto tutto contrario della convessaerarefatti i raggi azzurrinon si ha il violato o l'indaco? Se il violato el'indaco non sono altro che un azzurro men carico e men pienonon sono altroche mezze tintecome voi ditedell'azzurroper qual causa l'oro posto ne'raggi verdi della immagine formata dal prisma riceve egli il colore di quellieverdeggia? e più tosto non riman giallos'egli è vero che in quel lume verdeci abbia una egual doseo poco minore digiallo che di azzurro? Parimenti lo scarlatto posto nel doré rimanendosi rossoscoprirebbe que' raggi rossiche vi fossero nascosi dentroe a un tempoistesso l'errore del Neutono. - Che ve ne paresignor Simplicio? - disse laMarchesa. - Io per me non saprei che apporre alle sue ragioni. - Indirivolte ame le parolecosì soggiunse: - E chi fu che contro al Dufay prese la lancia afavor del sistema inglese? O non foste voi medesimo anche in Franciacomedianzi in Italiail campione del Neutono? - Madama- disse il signor Simplicio- quello che importa è la solidità delle ragioni medesimenon il nome di chile abbia prodotte. - Il giudizio della loro solidità - io gli risposi - ne siain voi. Sovvengavi di quella esperienzain cui posta una lente in mezzo a dueprismi nella stanza buiaov'entra per uno spiraglio il soleil Neutono nefaceva refrangere i raggi in maniera che uscivano dal secondo prisma parallelitra loro; e sì egli venne a comporre un raggio da lui detto artifiziale.Refratto cotesto raggio da un terzo prismane ritraeva la immagine coloratasimile a quella che per via del primo prisma dal raggio diretto si dispiegavadel sole. Sovvengavi ancora che quale de' colorie fosse il verdevenivapresso alla lente impedito di passar oltre al secondo prismanella secondaimmagine dispariva: e disparivabenché liberamente passassero per la lentel'azzurro e il giallo. Ma se il verde non è altrimenti primitivoed è purcomposto dalla mescolanza dell'azzurro e del gialloond'è che nel raggioartifizialepur essendovi in persona l'azzurro e il giallo essi medesiminonsi rifaceva il verde? In quanto a me non so veder maggior contraddizione diquesta: cherimanendo allo stesso modo che prima i componentidebba svanire ilcomposto. - Ed io - egli rispose - non so vedere maggior assurdo in filosofiaquanto il supporre che la natura faccia in due differenti maniere una cosamedesima. Col giallo e coll'azzurro della immagine solaremescolati che sienoinsiemenon si compone egli veramente il verde? - Mai sì - io risposi. - Cheha dunque bisogno la natura - egli riprese - di fare un verde primitivoquandocon la mescolanza del giallo e dell'azzurro è già bello e fatto cotesto verde?- Dite piuttosto - io risposi -

 

cheè tra le cose di natura strane

enon so se si sa perch'ella il faccia;

 

comedice il nostro Berniche non è già sempre bernesco. - Quello che si sa -disse il signor Simplicio - ed è posto fuori di ogni controversiaè che lanatura nelle operazioni sue è semplicissima. E questo fu tenutoin ogni tempoe in ogni scuolacome uno de' più fondamentali principi della filosofia:intantoché di più sistemiche soddisfacciano egualmente a' fenomeniquellosarà sempre preferito come il vero che sarà il più semplice. E la ragione èin pronto. Chi dice più semplicedice anche più bello. Che già non è dubbionon sia più bello lo arrivare a un fine ponendo in opera uno o due soli mezziche ponendone in opera tre. - Ecco - io risposi - che voi medesimo ci venite adire come a poter giudicare rettamente della semplicitào sia bellezza che ènelle opere della naturafa di mestieri la prima cosa conoscere i fini chenell'operare sa è proposta essa natura. Ma voi sapete che una tal ricerca èd'altri omeri soma che da' nostrie quanto un tal volo sia pieno di pericolo. Elo stesso Cartesio lasciòcome per ricordo a' suoia non si volere inframettere de' fini della natura; egli peraltroche nelle filosofiche imprese diede loro tanti esempi di un animo cosìrisoluto e franco. Chi potrà mai arrivare a sapere per qual ragioneper qualfine la natura abbia fornito di ale alcuni insettie alcuni altri gli abbiaforniti di gambe; mentre gli uni non ispiegano mai voloe gli altri non furonomai visti camminare de' lor dìma vanno da luogo a luogo strascinandosi con laschiena per terra. Avrete forse uditoMadamacome tratta la milza d'in corpo aparecchi caninon per questo si rimasero di mangiaredi correredi saltare;faceano ogni cosa come gli altri cani. Qual uso si abbia veramente la milzanonsi sa. E mi potreste voi diresignor Simplicioa qual uso sieno ne' medesimicani appropriate quelle partiche nelle femmine sono fatte per raccogliere illatte e nutrire i loro picciolini? Se adunque sia da procedere con cautelegrandissime e con li calzaricome si suol diredel piomboa fondare argomentie discorsi sopra la semplicità e sopra i fini della naturavedetel voi. Veroè che il Neutono non si mostrò alcun tratto tanto schivo del ragionare soprale cause finali; ma è vero altresì ch'egli avea spesso in bocca quel detto: ofisicoguardati dalla metafisica; ben sapendo quanto noi fossimo lontani con laveduta corta di una spanna dal poter vedere le ragioniperché le cose esser debbano in questopiuttosto che in quell'altro modo. - E già egli nel nostro caso - disseprontamente il signor Simplicio - non vorrà per niente concedere chequandodue cose si trovino in tutto e per tutto esser simili tra lorose ne debbainferire che simileanzi la stessa ne sia la naturaessendo pur questo unprincipio metafisicodi cui converrà aver pauracome della befana ifanciulli. - Assai chiaro si comprende - io risposi - che da voi si crede essereuna cosa medesima il verdeche si compone col giallo e coll'azzurroe il verdedella immagine solareperché somiglianti si mostrano all'occhio. Ma vedete nonv'inganni l'apparenza. Ne chiarirà sopra di ciò il fatto medesimo: ed anchenoicome dicono facessenon ch'altrilo stesso Aristoteleanteporremo atutti i discorsi le sensate sperienze.

 

Perchépredichereste un anno in vano

difendaogn'uno il suo co' vetri in mano;

 

chequesto è il brando dell'ottica. Entro ad una stanza buia sopra un picciolocerchietto di carta fate che sia il verde della immagine solare dipinta dalprisma; e sopra un altro simile cerchietto fate che vi dia l'azzurroe insiemeil giallo. Amendue i cerchietti appariranno verdi; e tra l'uno e l'altro non ciscorgerete la minima differenza. Ma se vi farete a guardarli con un prismaall'occhiol'uno di essi lo vedretequale vi apparisce guardato ad occhionudoverde tuttavia quale era primainalterabileimmutabile; e l'altro lovedrete trasmutarsie risolversi in due cerchietti l'uno giallo e l'altroazzurro. E simile prova potete fare col doréche simile ne vedrete l'effetto.- Prova - disse la Marchesa - che è un vero fendente di Durlindanae taglianetto la quistionesicché non può rimanere attacco o dubbietà alcuna che ilverde della immagine solare non sia colore primitivo e semplice. In fatti troppoavrebbe dello stranoche primitivo non fosse quel coloreche domina nel mondo.Di verde sono rivestiti gli alberi e le piante; di verde sono coperte lecampagne e la terra. Perché voler degradare un così bel coloreche si direbbeil colore favorito della natura; di cui ellaper dipinger le sue operee perrenderle alla vista più piacevolisi è servita più che d'ogni altro? - E cheè il simbolosi potrebbe anche dire- io soggiunsi - di una cosa tantoprimitiva nell'uomocom'è quellache mai non lo abbandonache è la prima anascere nel cuor suo el'ultima a morire; che tien vivi i nostri desiderie colla vista lontana di unbene immaginario ne fa scordare mali reali e presenti. Ma buon per noiMadamache abbiamo dalla nostra delle sperienze incontrastabili. E un tal modo diragionare potremo tenerlo in riserva per combattere non il Dufayma quell'altrofrancese che gli contese la gloria della scopertache tre soli sieno i coloriprimitivie non più. Asserisce gravemente costui avere il Neutono presonell'ottica di molti granchiper essere stato totalmente all'oscuro di quelgran principio che la naturanegli effetti moltepliceè unitariae assaisovente trinitaria nelle cause. - Che nuovo linguaggio è mai cotesto? - dissela Marchesa. - Il linguaggio d'un uomo- io risposi - che sta ora facendo inParigi la più nuova cosa del mondo. Questa si è un gravicembalo ocularedove al muover de' tasti comparirannovari pezzetti di nastri di diverso coloreche saranno tra loro in quellaarmoniache ne' gravicembali ordinari sono i suoni medesimi. Godranno gli occhisu tale strumento delle ariette del Pergolesi e di Rameau; e mercé di esso sipotrà anche aver tessuto e copiato in una stoffa un qualche passaggio diCaffariello. Matorniamo al Dufay; che non vorreiMadamaavesse da richiamarmici un'altravolta il signor Simplicio. E quanto alla composizione del biancoil Neutonochiaramente ha mostrato co' prismi e colle lenti alla mano chead avere unbianco affatto simile a quello di un raggio solareè di necessità riunireinsieme tutti i colori componenti esso raggiodopo che sono stati separati dalprisma. - Di fatto- prese a dire la Marchesa - se ben mi ricordo quel che giàmi dicestetagliato l'uno o l'altro raggio della immaginesicché non arrivialla lentee sia anche il verdeil bianco subito muta colore. - E il signorSimplicio:

 

ODonna intendi l'altra parte

che'l vero onde si parte

quest'Inglesedirà senza difetto.

 

IlDufay pur ci assicura essergli riuscito con tre soli colorirosso giallo edazzurrodi comporre un bianco. - E chi ci assicura - io risposi - che quel suobianco fosse il biancoo sia l'aurino della lucee non piuttosto un giallosbiadito? Vi dirò bene che il Dufay confessò esser necessario che quel suobianco di tre soli colori compostoperché si potesse dire un vero biancorendesse tutti e sette i colori della immagine solare; e promise solennemente difarne la provala quale non è mai comparita. Ma come mai il rossoil giallo el'azzurro potevan dare gli altri quattro colori? quando niuno di essi posto alcrociuoloposto al tormento di qualunque provanon ci dà altro colore che ilsuo proprio. E queste tali cose pur le sapeva il Dufay. Ma quello cheall'intelletto dovette fargli alcun veloed essergli anche occasione d'ingannofu l'aver udito dire che i pittori con tre soli colori vi sanno fare tutti glialtri. E similmente con tre soli ramil'uno per le tinte rossel'altro per legiallee il terzo per le azzurreimpressi dipoi sulla medesima cartail Blonlavorava quelle suestampe colorateche gareggiano cogli stessi quadri: una veramente delle belleinvenzioni della nostra età; macome avviene delle cose migliorifumoltissimo lodata da chi dovea favorirlae quasi niente promossa. - E perchéadunque i signori neutoniani - entrò qui a dire il signor Simplicio - nonvorrebbono eglino avvertire a quelle veritàche mostra l'esperienzagiornaliera di coloroche non hanno la mente preoccupata da niun sistema? Fu giàdettocon gran ragioneche le ordinarie nostre manifatture presentano tuttogiorno delle maraviglie agli occhi di coloro che sanno vederle. Ma forseisdegnano i neutonianiessi che sono sempre in cielo

 

mirarsì basso con la mente altera.

 

-Eglino avvertono - io risposi - chesiccome a' pittori conviene per li chiari ipiù alti servirsi di biaccain quelle stampe del Le Blon vi si lasciaper limedesimi chiariscoperto il fondo della carta; segno manifesto che con tre solicolori non si può veramente fare il bianco. Il Neutonoa cui non erano ignotesimiglianti cosetentò di farlo in più modi mesticandoinsieme polveri di vario colore; e il piùpassibileche gli venisse fattoera composto di orpimentodi porporadi cenere turchina e verderame. Ma pocoo nulla giovano cotali curiositàcome disse egli stessoad intendere glieffetti naturali: e voi pur sapetesignor Simplicioquanto i nostri coloriincomparazione de' prismaticisieno impuri e fecciosi. Talché colui il qualevista per esempio la diversa refrangibilità de' colori ne' raggi del solevolesse darvi la prova con ogni sorta di tinte nostralie cavillarci controsele sperienze non riuscisserosarebbe simile al Caco di Virgilioallora cheper la virtù di Ercole vinto in quella sua caverna dallo splendore del giornocaccia fuori d'in gola vapori e fumoper oscurare il giorno medesimo.- Dove vada - disse il signor Simplicio - apercuotere cotesto straleognuno può vederlo. I neutoniani vorrebbono a untratto dar l'esclusiva a tutte quelle sperienzeche potessero fare contra diloro. Ottimo provvedimento è pigliar da largo le difesee accattarsimilitudini e prove anche dalle favoleper vie maggiormente confermare eribadire la verità. - Prendete guardia - io risposi - che io ho detto di ognisorte di tinte nostralicome han voluto fare taluni per mettere a cimento ladiversa refrangibilità. E perché in certi casi la non si manifestòpresero anegarla. Che direste voi a unoil quale negasse che l'urto fa uscire i corpi diluogoperché da un fanciullo non può essere smosso un pietrone? A questi talinon è da far risposta. Per altro la diversa refrangibilità si manifesta e sicomprova anche ne' colori nostralichi li prende più vivi e più netti che unpuòcome se ne ha esperienza certissima. E chi dipinge a spicchi una palla dibei coloriimitando quelli del prismae la giri rapidamente intornoellaapparisce tutta bianca: salvochéper pochezza di lumequel bianco è languidoed ottusorispetto a quello che si genera rimescolando insieme i colori delsole separati dal prisma. E se la cenere turchina e la polvere del giallolino simeschino bene insiemese ne fa una polvere in apparenza verde che guardata conun buon microscopio apparisce come un granito di punti gialli ed azzurri; dovela polvere della terra verde guardata col medesimo microscopio apparirà verdetal quale si è: come avviene guardando col prisma i due cerchietti verdil'unosemplice e l'altro compostodi cui parlammo poc'anzi. - Parmi - disse qui laMarchesa - vedere il cuore al signor Simplicio. - E non siete voi fatta -ripigliò egli subito - per vederlo negli occhi di tutti? - Dall'una parte-continuò ella a dire rivoltasi a me - si sente mosso dalle vostre ragioni; madall'altracome mai vincere quella opinione che l'ha già vinto? - A dire comela sento- replicò egli - le semplici parole in simili quistioni me nontoccano gran cosa. Né io mi affaticherò a trovar risposte a sperienzecheprima di tutto si vogliono vedere co' propri occhi; che non so quanto drittovegga chi vede cogli occhi altrui. - Troppo gran dura legge - ripigliò laMarchesa - voi imponete alle persone: che non debba niuno quetarsi in ciò chefu fatto e rifattoveduto e rivedutonon già da un uomo soloma da molti emolti. Non sarebbe allora lecito ragionare di otticase non dentro alle stanzebuie co' vetri alla mano: e là ancora si potrebbe insistere che quanto si vedeè un inganno de' vetri; che sarebbe la via più spedita a liberarsi d'ognidifficoltà. Ma certi filosofi - ella seguitò a dire rivolte a me le parole -non sono eglino simili a quegli uomini di venturache altro non vorrebbononegli stati che confusioneonde avere la lor voltae almeno per qualche tempo farvi un personaggioanch'essi? - Madama- io risposi - così credo anch'io. Sebbene farebbe tortoal vero chi mettesse in questo numero il Dufay. Anzi io sono d'avvisose cosìbreve termine non avessero avuto i suoi giornichericonosciuto l'error suovolto si sarebbe a corredarese è possibilel'ottica neutoniana di nuovesperienzecome avea fatto dianzi le scoperte inglesi sopra l'elettricità: enoi gli avremmo avuto grand'obbligo; da che egli è pur vero che coloro neprocurano in certo modo di novelle cognizionii quali ci somministrano nuoviargomenti per confermarci nelle antiche.

- Se veramente - disse il signor Simplicio -dovesse vedersi questa conversione del Dufaynon so; so bene che nell'Accademiadi Francia ci sono stati e ci sono tuttavia di molti increduli del Neutono. -Poiché sento - io risposi - poter tanto nella vostra mente l'autorità diquell'Accademiadove tuttavia non manca de' vecchi zelanti delle dottrinecartesianemi penso che i principi del vostro filosofare saranno i vorticilamateria sottile. - Ed egli mi tagliò la parola dicendo: - Ancoraché io tengaper fermo che molto debba al Cartesio la filosofianon per questo ogni suaopinione la credo una verità. E quando io dovessi seguitare in ogni cosa unqualche filosofosarebbe il nostro Galilei primo maestrocome debbono tutticonvenire di color che sanno. - E verisimilmente dopo lui - qui entrò laMarchesa - l'autore del novello sistema d'ottica. - Basta- rispose il signorSimplicio - ch'egli abbia saputo apportare un qualche lume nella filosofia;benché né di lui né d'altri oramai è bisogno. Chi non sa che la natura erainvolta in profonde tenebre; venne il Neutonoe fu luce ogni cosa? - Ma come èmai  ripigliai io - che voi visiate dichiarato antineutonianoe non anche antigalileano? Se persona nel suofilosofare non si dipartì punto dalle vie del Galileiil Neutono è desso:purché voi non gli apponiate di averselo lasciato di gran spazio indietroe diaver toccate le più forti cime del sapere. - La verità è- diss'egli - chein Francia degli oppositori del Galilei non se ne trova alcuno; ma benmoltissimicome io vi dicevae voi dovete pur saperese ne trovano delNeutono. - Al quale io risposi: - Le ultime novelle che per me posso darvi dellaFranciasono che quanti con la geometria o co' prismi alla mano aveanoattaccato il Neutono han dovuto cantar la palinodia. Se non che non saranno maiper mancare di coloro che vanno tuttavia ripetendo le medesime obbiezioniillequali fu già fatto diffinitiva risposta; e tutto che atterrati dalla forza delveronon si vogliono mai dare per vinti. In fine dopo molta guerra è rimastopadrone del campo il Neutono; e la moda si già dichiarata in Francia a favoredella filosofia inglese. Le sperienze dell'ottica neutoniana si fannogiornalmente in Parigi; e le donne gentili vanno a vedere dal Nolletrefrangere diversamente i raggicome vanno alla Zairadel Voltaire. - E questo istesso Voltaire - disse la Marchesa - non ha egliper amore del Neutonocambiata per un tempo la lira col compasso? - Sì certo;- io risposi - e quegli che poteva essere il Lucrezio di questa filosofia amòmeglio di esserne il Gassendo. - Vorreste voi adunque - entrò qui a dire il signor Simplicio - ch' eglici avesse cantato e messo in rima la proporzione diretta delle masselareciproca dei quadrati delle distanzecon altre simili gentilezze? - Chi megliodi voi - io risposi - potrebbe giudicare dei soggetti convenienti alla poesia?Fate pur ragione che ho avuto il torto io. La ultima precisione e la fantasiasono in fatti quelle due gran nemiche da non si potere aggiungere insieme. Esembra così poco suscettibile di locuzione poetica una proposizione digeometriache sarebbe di mossa pittoresca l'attitudine di un equilibrista. Maquanti altri non si possono contareoltre il Voltaireche con illustrazioni econ chiose entrarono in lizza per il Neutono? De' quali è capo il Maupertuische primo piantò ilneutonismo nell'Accademia di Francianon ostante tutte le opposizioni ch'egliebbe a combattere ed a vincere. Che già a niun partito non vi avrebbono volutotal pianta esoticaquasi prevedessero l'aduggiamentoche ne doveano patire le loro piante natie. E tra ifrutti chetrapiantata nel terreno di Franciaella portòfurono di moltobelle speculazioni che fece il medesimo Maupertuis sopra alcuni particolarieffetti dell'attrazione. - Ora so ben io- disse qui il signor Simplicio - chenoi entriamo nel più cupo pelago della filosofia. - Come sarebbe - continuai ioa dire - l'origine dei satellitiche fanno corona ad alcuni pianetie il modocon che si venne a formare quel maraviglioso anello onde è ricinto Saturno. Isatelliti erano ab antico altrettante cometele quali ne' lunghissimi lorocorsi passarono troppo vicine di alcun pianetaentrarono nella sfera della suaattrazionefurono distolte dal loro cammino; e così di corpi primarichegiravano intorno al soledivennero secondariche girano intorno e ubbidisconoa un pianeta. Tali mutazioni di statocosì fatte catastrofe debbonosingolarmente essere cagionate da quei pianetiche sono i più grossi deglialtri e i più lontani dal sole. E benMadamane vedete il perché. Dove è piùdi grossezzaivi ancora è più di attrazione; ed essendo in una gran distanzadal sole rallentato di assai il moto delle cometeche presso al sole èvelocissimovengono esse a sentire per più lungo tempo l'attrazione delpianeta che costeggiano. In effetto vedete come alla nostra terrané moltogrossa né molto dal sole lontananon è sortito di far conquisto che di unasola cometa. Al contrario Giove tanto più grossoe più dal sole lontano dinoine ha conquistato quattro; e cinque ne sono state rapite da Saturnogrossoanch'egli la parte suae più lontano di tutti dal sole. - Cotesto Saturno -disse la Marchesa - è un mal passo per le comete; e dovrà essere per esso lorociò che per li nostri navigatori era altre volte quel grandissimo Capotantodifficile da superare che gli diedero il nomesecondo che ho udito a dirediTormentoso. - E oltre all'aversi rapito - io soggiunsi - quelle cinque cometevenne anche fatto a cotesto Saturno di spogliarne un'altra di una bellissimacodadi chetornando dal soleerasi arricchita; che ben vi è notoMadamacome vicino al sole le comete s'infuocanoe quasi altrettanti vesuvi mandanfuori que' torrenti di vapori e di fumoche corrono in cielo tanti milioni dimiglia. Avvenne adunque che la coda di una cometa costeggiò Saturnointantochéla testa o il nocciolo di essa faceva assai dalla lungi suo cammino. E però lacoda soltanto venne a restar presa nella sfera dell'attrazione di quel pianeta.E secondo le leggi della medesima attrazionecombinate col moto che avea lacodamostra il Maupertuis come ella dovette cinger Saturnocondensarsistiacciarsiprendere la forma di quel maraviglioso anello che gli sta sospesod'intorno.

- Quale è mai la sorta di personaggio- disse quiil signor Simplicio - che a coteste loro comete non facciano fare i neutoniani?Ecco che in Francia le trasformano in altrettante lunee le loro code inanelliper rendere più allegre le notti de' pianeti; mentre in Inghilterrafanno loro negli stessi pianeti commettere incendidiluviogni maniera ditristiziae sì danno a loro abitanti il mal giorno. Si vuol egli riparare alleperdite che il solemandando fuori da sé tanta lucefa di continuo? Vitroveranno così su due piedi un bel paio di cometeche egli a un bisogno unamattina o l'altra si tranghiottirà. E se temono per avventura non qualchepianetaper li troppi vapori che ne esalinovenga a patire il seccovispediscono detto fatto una cometache vi pioverà su della rugiada. L'alberodel coco dondesi cava di che far tante e tanto varie coseda coprir casamentida tesserestoieda filareda mangiare e da berenon può essere di tanto pregioagl'Indianidi quanto a' neutoniani esser debbono le comete. Comoda veramente ebenigna filosofiachepredicando agli altri il più stretto rigorismo inmateria di ragionarelascia che i suoi seguaci si abbandonino al più scorrettolibertinaggio. - Signor Simplicio- disse qui la Marchesa - vedete non sirisenta un po' troppo de tempo antico cotesta vostra austerità. Perché nonvorreste voi concedere anche a' neutoniani una qualche oradirò cosìdiricreazione? - Tanto più - io soggiunsi - che in que' sfoghi della mente nondepongono in tutto la gravità geometricané possono recare scandalo a coloroche conoscono il sistema del mondo. Le cometebenché regolatissime ne' loromotie soggette alle medesime leggi di attrazione che i pianetimovendosi peròper ogni verso e per ogni piano in ovali lunghissimeed ora trovandosivicinissime al sole ed ora in una distanza da esso sterminatissimaber paionofatte apposta per cagionare le più strane vicendeed anche le più opposte traloro: incendi o diluvi ne' pianeti a cui passassero dappressocangiamenti disituazione nelle orbite loro o ne' poli onde poi venissero a variaremaggiormente le stagioni di quelli oppure vi facesse una primavera eterna.Potrebbono ancora le comete esser distolte dal loro cammino e rapite da'pianetia cui passano d'appressose sono piccioline; ovvero condur via secoesse tal pianetase avviene che sieno più grosse e le più possenti.- Perchéno? - disse la Marchesa. - Largo campo di filosofare danno veramente agl'ingegnispeculativi coteste cometelargheggiando come fannone' loro movimenti.Peccato solamente che per la tanta varietà appunto de' loro moti la mente siviene a perdere in certo che d'indeterminato e di vago. Né si sa precisamentequello se ne abbia a temere o a sperare. - Noi siamo ancora ben lontani - iorisposi - dal sapere ogni particolarità di quella strana generazione di corpicelesti; e pare che abbia ardito di troppo chi ha voluto predire il ritorno dialcuno di essi. - Come? - entrò qui a dire il signor Simplicio in atto dimaraviglia - non è dunque arcisicuro il ritorno di quella cometache tra pochianni apparir deve in cielo a far fede alla terra della verità delle dottrineinglesi? La si dava purenon è gran tempoper certissima una tal nuova. Maora che i signori neutoniani sentono stringere il tempoche ismentire potrebbei loro prognosticipigliano il tratto innanzi e gli tacciano di troppo arditi. - Qual torto - io risposi - venisse aricevere il sistema neutoniano se la cometa non tornasse così per appuntoionon saprei dirlo. Dinanzi agli occhi di chi dritto estimalieve sarebbecertamentee da non ne fare niun caso; sarebbe come dire un punto di perfezionedi meno. Ma se la cometa tornasse mai al tempo prognosticatoconfessate puresignor Simplicioche si mostrerebbe ad evidenza come a' neutoniani è datoquello che troppo è al di sopra della condizion dell'uomo: il potereindovinare. Cotal ritorno sarebbe forse la più bella giornatae la piùgloriosa di quante mai ne avesser vinte. - In tal caso- replicò eglisorridendo - io vi prometto che dietro al carro trionfale pur mi vedrete delgran Neutono. - Piacesse a Dio- io risposi - che un uomo tale qual sete voifosse ancora de' nostri; lasciate che io vi dicacome già disse un Persianose non erroa un Greco di gran valore. - E lasciate - soggiunse la Marchesa -che io mi rallegri d'avanzo del nuovoconquisto che è per fare la Inghilterra. - Del rimanenteMadama- iocontinuai a dire - poco in là risale la vera storia delle cometeperché vi sipossano fondar su delle giuste predizioni. Non sono ancora cencinquanta annipassati che il Kepleroastronomo per altro chiarissimososteneva ch'elle eranole balene e i mostri dell'eteree per via di una facoltà animale venivano agenerarsidiceva eglidalla feccia di quello. Quegli stessiche stando allasentenza di qualche antica scuola le credevan corpi durevolie non altrimentipasseggieri o meteorel'ordine del tutto ignoravano de' loro movimenti; eavvisavano che fossero in molto maggior numero che in fatti non sono; siccomeall'opera una cinquantina di comparse ch'esconoentranoe ritornano in scenai fanciulli le prendono per uno esercito. Ticonefu il primo alla fine del Cinquecento ad osservarlecon esattezzaa mostrare che si doveano veramente riporre tra i corpi celestia tenerne un registro fedele; e solamente dal Neutono in qua si sanno le leggialle quali ubbidiscono anch'esse. Ma atteso la lunghezza delle loro orbitealcune delle quali superano di gran lunga l'età dell'uomonon se ne troverannoi periodi né il numerose non coll'andar de' secoli; e le Marchese cheverranno di qui a due mila anni potran forse sapere più precisamente di voiMadamaquello che si avrà da temere o da sperare di ciascuna di esse. A ognimodo noi avrem fatto non picciolo guadagno assicurandoci che non sono poi sempredi tristo augurio; e se possono inondarci d'acqueo mandarci in vampanepossono anche arricchire di qualche novella lunae forse anche di unbell'anello. - Certamente- ripigliò la Marchesa - si vuole saper grado alMaupertuis di una novella speranzadi che ci è stato cortese. La nostra vitaè più nell'avvenire che nel presentee si pasce più d'immaginazioni che direalità; e coluiche senza punto offendere la ragione ne sa mettere più ingioco la fantasiaconvien dire che non poco abbia meritato degli uomini.

- Quello - io continuai - onde il Maupertuis meritòassai piùed ha fatto più che mai sonare il suo nomeè la conferma che nediede col fatto della dimostrazione che avea data il Neutono della figura dellaterra. - Non so - disse il signor Simplicio - che dimostrazioni sien questechehan mosso tante liti. - Sopra le quali per altro- io risposi - fu già datasentenza. - Della figura della terra- disse qui la Marchesa - mi ricordo giàessersi tenuti vari ragionamenti; che è ben naturale che ognuno ami di saperecome è fatto il luogo ch'egli abita. Ed orapoiché il discorso è caduto suquestosono entrata in curiosità di sapere in fatti che ne sia; né dovràincrescere al signor Simplicio di sentir fedelmente rapportate le particolaritàdi questo affare. - Come è del piacer vostro- io allora dissi - Madama. Masapete voi che questo non è affare da sbrigarsene così presto; e converràincominciare alquanto da largo le parole? - Tanto meglio - ella rispose. Ond'iodopo un poco di pausa ripresi a dire in tal modo: - Fra i matematiciche adoggetto di perfezionare l'astronomia furono dalla munificenza di Luigi XIVmandati in varie parti della terratoccò al Richerio andare alla Caiennacheè un'isola francese nell'America situata quasi sotto l'equinozialeo vogliamdire la linea. Appena giunto si mise a far sue osservazioni. Né molto andò chesi fu accorto che ritardava considerabilmente il suo oriuolo a seconda di cuiavea regolato il pendolo in Parigie che avria pur dovutocome faceva inParigiandar benissimo anche alla Caienna. Provata e riprovata la cosae lostesso mantenutosi sempre l'effettosi diede a cercarne la ragione. Si credetteda principio averne colpa il caloreassai più grande alla Caienna che non èin Francia. Tutti i corpianche i più densicrescono alquanto di moleriscaldati che sieno. E però il metallodi che è fatto il pendolovenendosiad allungare un tal poco sotto la lineadovea far tardare l'oriuolo; mentreognuno pur sa che a maggior lunghezza del pendolo corrisponde nelle suevibrazioni lentezza maggiore. Si esaminò la faccenda con tutta la immaginabilesottigliezzae si trovò che troppo era picciola cosa l'allungamento delpendolo cagionato dal caloreperché ad esso attribuir si dovesse quelconsiderabile ritardamentoche pur si osservava nell'oriuolo. Talchéfinalmente fu forza conchiudere la gravità sotto la linea esser minore che quida noi. E la ragione è questa. Non per altra causa vibrando il pendolodell'oriuoloe scendendo a batter le seconde che per virtù della gravitàstessala gravità dovrà ivi appunto esser minoredove nella medesimalunghezza di pendolo più tarde si troveranno essere le vibrazioni di quello. -Una libbra adunque d'oro - disse la Marchesa - dovrà nel regno di Ghineanon solo valerema anche pesar meno che qui danoi! - Non ha dubbio; - io risposi - ma ben vedeteMadamache l'assicurarsenecon la bilancia è impossibileda che tutti gli altri pesi calano inproporzione. Accorgersene al senso è altresì impossibile: i nostri sensi nonsono fedelinon sono sempre nel medesimo uomo della medesima attività: nè danoi si può paragonare una sensazione presente con una sensazione ricevuta alcuntempo addietro. Bensì la gravità essere in fatti minore sotto la linea chenelle nostre regionice lo mostra indubitatamente la esperienza del pendolo: eche così esser debbalo dimostra il moto che la terra ha intorno a semedesima. Nè già crederei che sopra il moto della terra si potesse oggimaiaver da niuno la minima ombra di difficoltà. - La Marchesa ponendo mente inviso al signor Simplicio; - Già vedete - disse - che a cotesto moto egli non hache apporre. Quanto a menon mi cadranno mai di mente le ragionich'ebbe quelPrussiano difar man bassa sopra il sistema degli antichiquando spirato da un nobile estroastronomicodiè di piglio alla terracacciolla lungi dal centro del mondodove s'era intrusae a punirla dell'ozioin cui da tanto tempo avea quivimarcitole addossò quasi tutti quei movimenti che venivano da noi attribuitia' corpi celesti che ne sono d'attorno. E molte volte mi sono figurata anch'iodi trovarmi sospesa in aria e immobilein compagnia della Marchesa delFontenelleintantoché mi si rivolgea sotto a' piedi la terra. Pareami vedereprima di ogni altra cosa le sabbie ardenti dell'Affricacoperte d'un formicaiodi genteche paragonano la carnagione delle lor belle all'ebanocome da noi siparagona quella delle nostre all'avorio. Poco appresso veniva quel mare sparso qua e là di naviche da ogni parte della terra recano superfluitàin Europa tanto necessarie alla vita. E quindi mi passavano in mostra que' fiumidel nuovo mondoche menano diamanticon quelle montagne che sono come gliscrigni delle nostre ricchezze. E dopo passato quell'altro vastissimo marein cui sono cosaignota le tempesteio vedeva le isole felici di oriente; e m'era avviso sentirl'alito di noce moscata e di garofanidi che impregnano l'aria dintorno. Efinalmente io vedeva le coste di quel paesedove per cosa del mondo non sitorcerebbe un capello a una farfallae hannosi per niente le vite degli uomini;e dove la usanza vuole che le mogli abbiano da morire insieme con un maritochenaturalmente parlandonon amarono gran fatto in vita. Maohimèora miaccorgo della leggenda che narrata vi hoe dello avere troppo lungamentesospeso il ragionamento vostro e il piacer mio. - Né da voiMadama- ioripresi a dire - veder poteasi il giro della terra in miglior compagnianè anoi poteasene udire un ragguaglio migliore. Ma perché meglio possiamo conoscereciò che girando ha da succedere alla terrafermatela per un poco. E giàvedete che per la vicendevole attrazione della materiaond'è compostasiconformerà nella figura di una palladove le parti della superficie avrannotutte un peso eguale verso il centro. Ma non sarà già così se ella sirivolgecome pur faintorno a' suoi poli nello spazio di ventiquattro ore. Leparti di essaa guisa di altrettanti sassolini girati nella frombolaacquistano in tal caso una forza detta centrifugae fanno sforzo di scappar perlinea diritta e allontanarsi dal centro: lo che pur farebbonose la gravitàcomuneo l'attrazione insieme unite non le ritenesse. E questa forza centrifugatanto è maggiore e tanto più toglie alla gravitàquanto maggiori sono icerchiche in ventiquattro ore vengono corsi dalle varie parti della terra. Eperché fra tali cerchi il maggiore di tutti è l'equinoziale o la linealaforza centrifuga è quivi nel suo colmoed è niente ne' poliche sonoimmobili. Con cheavendo quivi le parti della terra un minor peso che altroveverranno come a rigonfiare levandosi un poco in alto; un po' meno il faranno diqua e di là della linea; meno ancora secondo che più se ne dilungano; e nientesotto a' polidove il loro peso non è diminuito per niente: e così la terradi perfettamente rotonda ch'era da primaviene ad acquistar la formadiciamcosìdi una melarancia colma sotto la linea e sotto a' poli stiacciata. Oraavendo il Neutonomercé della sua geometriacombinate le leggidell'attrazione con la quantità della forza centrifuga ricavata dalle sperienzedei pendolideterminò di quanto per appunto la terra è stiacciatacioè diquanto i poli sono più vicini al centro che i punti del cerchio equinoziale odella linea. E la verificazione del suo calcolo in misure itinerarie dipendevadalla diseguaglianza dei gradi della stessa terra. - Oh qui - interruppe ilsignor Simplicio - s'incomincia a intorbidar la cosa. - Dichiaratemi - ripigliòla Marchesa - come cammini la faccenda di cotesti gradiche io ho credutosempre fossero perfettamente eguali. - Nella supposizione - io risposi - che laterra abbia perfettamente la forma di una palla non è dubbio alcuno che ilsono; ma se la terra è quale la fa il Neutononon è possibile che il sieno; edovranno con certa proporzione trovarsi alquanto più lunghi nelle parti polariche nelle meridionali. La terra essendo ivi stiacciatache è lo stesso chedire più pianaavverràche unocamminando da tramontana a mezzodìdebbafare un più lungo tratto di viaperché una stellaper esempio la polarelasciandosela sempre più alle spallesiasi abbassata di una certa determinatamisuracome sarebbe di un grado. E il contrario avverrà nelle partimeridionalidove la terra è più tonda; come avviene a uno che cammina lungouna costa di monte. Sino a tanto che la costa è dirittaegli non perde divista gli oggetti del pianoche gli sono da lato; ma secondo ch'ella voltasegli lascia alle spalle. Ora avendo il Picardo astronomofrancese misurato per via di punti di stelle un grado da Parigi versotramontanae avendo dipoi il Cassini misurato i gradi della Francia da Parigi verso mezzodìconfrontati gliuni cogli altrii gradi meridionali furono ritrovati alquanto più lunghi de'settentrionali. - E qui la Marchesa mostrando di forte maravigliarsi: - NondubitateMadama- disse il signor Simplicio - che ben sapranno trovarci la viadi assestare ogni cosa a' loro computi e alle loro teorie. - In niente - iorisposi - non daranno la tortura ai computi; come non negheranno in niente ifattibene avverati che sieno. Ma ben saprebbono mostrarvise bisognassechenon è da rigettare un ben fondato sistemaperché alcuni effetti nonrispondessero in tutto alle teorieovvero paressero contraddirle. Non è eglitenuto communemente per vero la causa del calore che feconda e avviva la terraessere il sole? E con ragioneson sicurodirete voi; mentre una tal teoria èfondata su quelle sperienze immutabili e perpetueche fannosi non dagli uominima nel gran laboratorio della natura. Ciò postoquei paesi che sono sullaterra situati in modo che ricevano egualmente i raggi del solepur dovrebbonosentire un egual grado di calore; e quelli . . . - Stiamo a vedere - quim’interruppe il signor Simplicio - che si è novellamente discoperto comesotto il polo ci si muore di caldoe sotto la linea di freddo:

 

cosesovra natura altere e nuove.

 

-Egli è da gran tempo - io risposi - che a tutti è noto che al Perù il caldoè senza comparazione più rimesso che non è al Brasilecon tutto che sotto lamedesima parte della zona torrida sieno posti amendue que' paesie il sole glivegga egualmente a diritto e in maestà: il che nasce da altre causeparticolaridalle quali modificata viene e alterata l'operazione della causaprima. L'effetto del sole al Perù è bilanciato dalle nevi di quella immensacatena di montagneche soprastanno a quel paese di verso oriente e tengonoperpetuamente rinfrescata tutta intorno l'atmosfera. E i caldissimi ventiorientali che regnano nel Brasilee corrono il continente dell'Americasonoaltresì da quelle istesse montagne tenuti in colloe impediti di giugnere sino al Perù. EccosignorSimpliciocome si va differentemente modificando la naturasenza maicontrariare a se medesima; ed ecco come alla causa prima della rotazione dellaterra e dell'attrazione delle sue parti si potrebbono aggiugnere tali altrecoseche la impedissero di stiacciarsi sotto i poli. E se voi domandaste qualicause potessero esser questenon vi par forse che a ciò bastassero la nonintera e perfetta cedevolezza delle parti della terra e la costruzione internadella terra medesima? Sicchéquand'anche ella non fosse stiacciata sotto ipolinon per questo a rigettare si avrebbe il sistema neutoniano. - Non veldiss'ioMadama- egli rispose - che co' più bei ragionamenti del mondo vifarebbon vedere il nero per biancovi scambieranno ogni cosa in mano? E che nonsi ha egli da aspettare da cotesti filosofiche a un bisogno vi mettono incampo la interna costruzionela più secreta notomia della terra; che simili aTeseo e ad Enea possono penetrare sino a' regni di sottosino al centro delmondoe minutamente osservarvi quello che al restante de' mortali è negato divedere? - Fatto è- io ripigliai a direcalmato che si fu un poco il signorSimplicio - che in onta de' computi le osservazioni facevano la terra stiacciatasotto la linea e non sotto i poli: della figura di un limonecome dicevanoenon di una melarancia. E tanto più ciò si ebbe per fermoquanto cheripetutepiù volte in Francia le osservazioniriconfermarono sempre l'istesso. Nonostante tutto questoad alcuni sembrava strano di dover abbandonare la sentenzadi un filosofo fondata finalmente sopra indubitate esperienzesopra gli stessieffetti di natura ridotti ad esame geometrico; la quale era avvalorata dalvedere che notabilmente stiacciato sotto i poli è anche il pianeta di Gioveche pur rivolgesi sopra se stessocome fa la terra: e così tenevanosospeso il loro giudizio. - Anzi sapevano - disse il signor Simplicio - perquello che aveano osservato viaggiando per le interne bolge della terrachenella terra doveva appunto succedere il contrario che in Giove. - Ultimamente -io continuai a dire - la Francia sotto un altro Luigiche gloriosamente camminadietro alle tracce del bisavolo suovedendo quanto importa ne' viaggi di mareconoscer la vera figura della terradella cosa cioè sopra cui si navigarisolse di mandare due compagnie di matematici espertissimil'una al Perùsotto la lineal'altra in Laponia al cerchio polareacciocchéper lagrandissima distanza de' luoghila differenza tra grado e grado avesse daapparir più sensibile che non avea potuto apparire ne' gradi della Franciamisurati dal Picardo e dal Cassini. La compagnia adunque mandata in Laponiadicui fu capo il Maupertuisdopo le più accurate osservazioni fatte conistrumenti esquisitissimitrovò che il grado al cerchio polare veniva adessere sopra mille e cinquecento piedi più lungo di un grado mezzano diFrancia; né più né menoquanto da simili operazioni meccaniche si puòaspettare che lo richiedessero i calcoli deI Neutono. Tornato il Maupertuis aParigi col mondo stiacciato in manotrovò effettivamente parecchi in quellaAccademiache non sapevano acquetarsi alla decision sua: e grandi vi furono iromoricome ha detto il signor Simplicio. Ma in ultimodopo i più scrupolosiesamied anche rifatte di nuovo in Francia le osservazioniapertissima simostrò la verità; ed ebbero a ritrattarsi questi stessida' quali era statopiù acremente sostenuto il contrario. Che se pure qualche ombra di dubbiopoteva in alcuni esser rimasavenne a disgombrarla la compagnia del Perùcheritornò alcuni anni appresso. Di modo che si sta ora correggendo le carte danavigarerettificandole alla norma della vera figura della terra. E il Neutonoe il Maupertuis saranno da qui innanzi i due astri gemelliche camperanno lavita a molti e molti naviganti.

- I Francesi in ultimo- disse la Marchesa - conle loro osservazionie con i loro viaggi hanno trovato quello che il Neutonoavea già veduto senza metter piede fuori di stanza. - Non resta però - iorisposi - che molto obbligo non debba avere il Neutono a' Francesichelasciato il bel Parigisi avventurarono per paesi inospitiaffine ditestimoniare della verità; e insieme co' gigli d'oro portarono il suo nome cosìda lungi. - A somiglianti conti- soggiunse la Marchesa - egli ha anche lorol'obbligo che il suo nome sia salito tant'alto tra' suoi compatrioti medesimi.Per me crederei che nella sua patria lo mettano in cielo principalmente perquestoch'egli fu il distruttore della filosofia di quella nazionecontro allaqualese non combattono sempre coll'armidisputano sempre dell'ingegno. -Senza dubbio- io risposi - Madamail Neutono tiene a Londra nel mondofilosofico lo stesso gradoche tiene nel politico quel Malboroughoche fe' sentire all'opposto continente il nerboingleseche non pose mai assedio a piazza che non la espugnassenon fece maigiornata che non la vincesse. Del rimanente ben si può dire che senza iFrancesi non avrebbe mai costrutto il Neutono il bello suo edifiziodell'attrazione. Quando egli prese a confrontare il moto della luna col moto de'gravi cadenti qui presso alla superficie della terraper chiarirsi se anchenell'attrazion della terra si verificasse la legge della proporzione inversa deiquadrati delle distanzegli sarebbe stato necessario conoscere la precisadistanza della luna dalla terra: né ciò si poteva senza avere il preciso deldiametro della terrache è il passetto degliastronomicol quale misurano le distanze celesti. Non aveasi a quel tempo ildiametro della terrache per conietturafondata sulle stime dei pilotiche lofacevano più picciolo che non è. E con essopoiché altrimenti non poteasifatte sue provenon trovò il Neutono che la sua teoria tornasse così bene conle osservazionicome sarebbe stato necessario per metterla in seggio col vero:ed egli immantinente la rigettòo almeno lasciolla dormire. - Credete voisignor Simplicio- disse qui la Marchesa - che un altro filosofo in simil casoavesse tanto patito gli scrupoli e non avesse piuttosto cercato un qualche mezzotermineun qualche aggiustamento col cielo? - Non molto tempo dipoi- ioripigliai a dire - fu intrapresae bravamente eseguita d'ordine di Luigi XIV lamisura della terra: e il Neutonofornito allora del vero diametro che glibisognavapoté rifar sue prove; e sotto alla legge inversa dei quadrati delledistanze si ridusse puntualmente anche l'attrazione della terra. Cosìmercé iFrancesiil Neutono prese con franchezza il lancio a quegli ammirabili voliche fecero dire al Pope che gli angiolivista tanta scienza in forma umanaloguardano del medesimo occhio che noi guardiamo quello animale tanto simile anoi.

Ma che mi scordava io di dirviMadama- ioripresi di li a poco - che nel viaggio novellamente intrapreso da' Francesi allalinea hanno pur essi trovata e mostrata al mondo l'attrazionedirò cosìinpersona? - Che è quel che io odo? - disse la Marchesa. - E in qual miniera delnuovo mondo- soggiunse subito il signor Simplicio - fu maiche trovasserocosa che vale veramente un Perù? - Se anche qui - ripigliò la Marchesa - voinon ci recate delle osservazioni in bei contantimi penso che non sarà perdarvene credito il signor Simplicio. - Ed io: - Il Neutono dimostrò chel'attrazione delle più alte montagnedelle Alpide' Pireneidel Pico diTenariffa postoch'elle fossero tutte massiccieche non è credibile il sienonon deve essersentita da' corpi circonviciniper la tanto e tanto maggioreonde sonoattratti dal gran corpaccio della terra. Le montagne sono come altrettantigranelli di sabbia sparsi qua e là sulla superficie di un gran pallone: e noile reputiamo grandiperché picciolini siam noi. Con tutto ciò due de'matematici francesi che andarono al Perù non poterono non esser smossi allavista delle montagne della Cordelierae singolarmente del Chimborazochenonostante i caldi della zona umidaè in gran parte coperto di neve perpetuaein comparazione alle stesse nostre Alpi e de' Pirenei si direbbe un gigante;tanto co' gioghi e colle spalle si spigne verso il cielo. Essendo adunque quellamontagna di così eccessiva e disonestagrandezzaavvisaronodi calcolare quanta esser dovesse l'attrazion sua verso un corpicciuolo che lefosse d'appresso. Il calcolo mostrò loro che dovea essere pur tanta da rendersisensibile. E in fatti lo fu. Sentilla il piombino de' loro strumentiil qualein ogni altro luogo tenendo esattamente il perpendicolotrovossi averne deviatopresso alla montagnainclinando ad essa per il valore di sette in otto minutisecondi. - E tal deviazione - entrò qui subito il signor Simplicio - batteva talmentegiàne son sicuroco' calcoli neutonianiche non ci era pure il minimo divario diun capello. - Nel vero- io risposi - quella deviazione si trovò minore chenon avrebbe dovuto essere. Ma se qui io vi dicessicol vostro Petrarca

 

perlo migliore al desir tuo contese?

 

Cotestostesso divario mostra in sostanza la verità de' computi. - Ed egli rispose: -Odi nuova forma di sillogizzareche si mette ora in campo. Gli effettismentiscono i calcoli; e si ha da credere che i calcoli tornino a maravigliacogli effetti e col vero. Io per mesia detto con pace de' neutonianiho presodi volermi attenere alla loica che s'insegna di qua de' monti. - Pur non vi gravisignor Simplicio-io ripigliai - stare ad udire questo sillogizzare de' neutoniani. Pare a voi chesia da prestar fede a' matematiciquando dimostrano che l'acqua portata da'condotti risale alla medesima altezza da cui scende? - E chi ne dubita? - eglirispose. Ed io: - Ma effettivamentese ben guardatenon troverete già che laloro teoria si verifichi a puntino. Né altrimenti può essereperché tra lealtre ella considera tali risalimenticome se dovessero farsi non nell'ariache pur loro resiste e contrastama nel voto. E però l'acqua nel risalire nonarriva mai a toccare il segno a che la fanno arrivare i computi. Nei computiche si fanno dell'attrazione delle montagnenon potendo noi conoscere quali equante sieno le interne loro cavitàbenché si sappia che pur ce ne hanno daessereconviene pigliarle come se fossero massicce: a quel modo che neiconteggiquando non si possono sapere i rottisi mette un numero tondo invantaggio di chi ha da avere. E così fu fatto dal Chimborazoquantunque per lepietre calcinate che vi si trovano alle falde senza parlar della tradizione checorre nel paesesi vede manifestamente essere già stata un'ardente fornacesimile al nostro Vesuvioe però avere dentro di sé di cavità grandissime. -Assai chiaro comprendo - riprese la Marchesa non lasciandomi dir più avanti -chesiccome il risalimento dell'acqua scema di tantoquanto vi toglie laresistenza dell'ariacosì minore sarà l'effetto dell'attrazione delChimborazo di quanto sarebbe da togliere al massiccio di quella montagnachi lainterna sua struttura ne potesse appieno conoscere: onde l'errore di difetto chesi trovò in pratica mostra in effetto la veritàcome voi ditedella teorica.

- Chi desse fede - disse il signor Simplicio - alletante maraviglie che ne raccontano i neutonianiconverrebbe dir con loro che

 

    . . .se il vero è vero

aveder tanto non surse il secondo;

 

cheil problema proposto da Dio agli uomini nella formazione dell'universoilNeutono lo ha sciolto. Tuttavia sia a me lecito il credere che

 

contutta quanta la sua matematica

 

egliavverrà del sistema del Neutono quello che è avvenuto di tanti altri ne' tempiaddietro; e quello che pur veduto abbiamosi può dire a' dì nostrideisistemi del Gassendo e del Cartesio. S'essi avessero lunga vitabene il sapete;non ostante i tanti applausi ch'ebbero da principio nelle scuolenon ostanteche si predicassecome si fa oraaver essi finalmente levato il velocon chea' guardi de' mortali si asconde la natura. Le opinioni filosofiche si succedononel corso del tempo l'una all'altracome fa onda a onda nell'ampiezza del mare.Appena una ne è insorta ed è fatta un monteche si spiana ben presto per farluogo ad un'altrache presto si spianerà anch'essanon lasciando di sé altrovestigio che un po' di schiuma nell'acqua. Così semprecon buona vostralicenza

 

iocredeicredoe creder credo il vero.

 

Ed io ripresi: - SignorSimpliciocredereste voi ancora che l'aria pesi? - Se io il credo? - eglirispose. - Intorno a cose tali io non ho credenzama scienza. Del resto nonvedo dove vogliate riuscire con tale vostra domanda; se già non intendestecavare dal peso dell'aria una novella pruova della vostra attrazione. - Ecotesta scienza - io soggiunsi - sarà fondatason certosopra di ben salderagioni. - E chi non sa - egli rispose - la tanto famosa sperienza del nostroTorricelli? L'argento vivo resta sospeso nel barometro a ventisette onced'altezza per la gravità dell'ariache gli contrasta discender più basso.Recato il barometro in cima di una montagnasi vede alquanto discendere essoargento vivoperché minore è ivi l'altezza della sovrapposta atmosfera. Ma ache tutto questo proemio? - Per dire - io risposi - che quantunque si convincanodi false le ipotesi del Cartesiodel Gassendoe quante altre immaginate nefurono ad ispiegare la gravitàresterà sempre vero che l'aria pesa; e voi nonrimarrete dal creder l'effettoe di cavarne di molte utilitàcomunque sifantastichi sulla causa. E perché? perché la sperienza del Torricelliconquante altre vanno insiememostreranno sempre il medesimo a qualunque tempoinqualunque climain qualunque region della terra. E perché adunque non vorrestevoi credere a quanto vi dice il Neutono? perché vorreste voi essergli avaro difede? quando le sperienze intorno alla immutabilità de' coloriintorno alladiversa refrangibilità de' raggi della luce mostrano sempre il medesimo; quandoi pianeti percorrono sempre intorno al sole aie proporzionali ai tempi; quandoin somma invariabili sono le leggi della naturadelle quali il neutonianismoaltro non èa propriamente parlareche il codice matematico. Né già voisignor Simpliciovorrete confondere i sistemi antiteticicome il cartesiano esuoi compagniche accomodanosecondo il detto del Galileil'architettura allafabbricacol sistema del Neutonoil quale ha costrutto la fabbrica conforme aiprecetti dell'architettura. Che sarebbe tutt'uno col mettere in un fascio lapoesia del Seicento con la grecai secreti degli empirici cogli aforismid'Ippocrate. E dove la filosofia fantasticaerronea nelle sue conclusionicomene' suoi suppostiè totalmente disutile nelle operazioni della praticalafilosofia sensata e matematicaa cui per la certezza de' suoi principi è datod'indovinaresi trova esser mirabilmente feconda per gli usi della vita. Datutta la scuola dell'ardito Cartesio che altro è mai uscitose non che diceriee strepito di vane parole? Quale utilitàqual comodo è derivato mai allacivile società dal giro de' vorticidal premere della materia globulosa odella sottile? Laddove il modesto Neutonomercé le nuove proprietà da luiviste nella luceha con un nuovo cannocchiale perfezionato i nostri sensi; mercél'attrazione da lui discoperta nella materiaha veramente assoggettato a'nostri computi i pianeti e le comete; ne ha fatti in certa maniera cittadini delcielo; ed ha reso agli uomini più sicure e più facili le vie per uno elementoda cui pareva gli avesse esclusi la naturae per cui i suoi compatriotidistendono il trafficole armi e l'imperio in ogni lato del mondo.

Non aveva io ancora posto fine alle mie parole cheil signor Simpliciosotto colore di non so che faccenda domestica che gli eravenuta in mente pur alloraprese commiato dalla Marchesa. Ed ellacome è delsuo costumegli dicevaed anche nel pregava a volere almeno rimanere a pranzocon noi; ma non ci fu via di ritenerlo. E così dopo che noi fummo rimasi solila Marchesa riprese a dire: - Da voi io pur debbo riconoscere d'essere stata duevolte liberata dal signor Simplicioprima in qualità di poetae poi difilosofo: e l'obbligo che vi ho al presente è tanto maggiore dell'altroquantoi falsi ragionamenti riescono più incomodi che i cattivi sonetti. - Madama-io risposi - perché voler riconoscere da altri quanto avete principalmenteoperato voi medesima. Voi foste già la Venereche prestò il cinto allaMinerva neutoniana per renderla dinanzi agli uomini graziosa: ed ora da Minervastessa preso avete l'armi per difendere anche contro a' filosofi la verità. Eben pare che le belle donne esser sanno tutto quello che lor piace di essere.